Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 26 gennaio 2015, n. 1382
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 7901-2010 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di avente causa del Sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dell’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 64/10 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del 16/11/2009, depositato il 21/01/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 7901-2010 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di avente causa del Sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dell’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 64/10 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del 16/11/2009, depositato il 21/01/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.
FATTO E DIRITTO
E’ stata proposta da (OMISSIS) domanda di equa riparazione del danno sofferto in ordine all’irragionevole durata di un procedimento civile iniziato nel gennaio 1975 e definito in sede di cognizione il 22/1/2000 con ordinanza d’inammissibilita’ della Corte di Cassazione.
Dopo la complessa fase di cognizione che aveva determinato la condanna della controparte della ricorrente all’abbattimento di un fabbricato che oltrepassava il confine, era seguita la fase di esecuzione intrapresa dalla ricorrente nel 2002 ed ancora pendente al momento dell’introduzione della domanda ex Legge n. 89 del 2001.
La (OMISSIS) ha richiesto alla Corte d’Appello di Perugia l’indennizzo per l’intera durata del procedimento, comprensivo del giudizio di cognizione e di quello esecuzione senza soluzione di continuita’, dal momento che solo con la chiusura di quest’ultima fase poteva dirsi effettivamente soddisfatto l’interesse tutelato.
La Corte territoriale ha invece ritenuto che per “definitivita’” della decisione ai fini del decorso del termine semestrale di decadenza fissato nella Legge n. 89 del 2001 debba intendersi quello in cui si consegue il fine al quale il singolo procedimento e’ deputato. In relazione al giudizio di cognizione tale definitivita’ si determina con il passaggio in giudicato della sentenza che chiude tale fase.
Alla luce di queste premesse la Corte territoriale ha ritenuto decaduta la parte ricorrente dal diritto di proporre la domanda d’indennizzo.
In ordine alla fase relativa al procedimento esecutivo ha osservato la Corte d’Appello:
l’attuazione ha posto problemi tecnici in quanto il fabbricato da demolire parzialmente e’ adiacente ad un rudere di proprieta’ della stessa ricorrente; la demolizione parziale, pertanto, non doveva danneggiare la statica dell’intero edificio; e’ stato necessario acquisire i necessari assensi amministrativi e procedere alla nomina di due consulenti d’ufficio, un architetto e un geologo; le indagini peritali ed in particolare le perforazioni esplorative non potevano essere eseguite a causa delle condizioni pericolanti dell’edificio adiacente di proprieta’ della ricorrente; non era possibile procedere tempestivamente all’ispezione di quest’ultimo fabbricato per mancata collaborazione della ricorrente; in corso di procedimento esecutivo veniva depositato dalla ricorrente progetto di demolizione di quest’ultimo fabbricato, in ordine al quale dovevano attendersi le debite autorizzazioni amministrative; in mancanza di queste ultime e del successivo abbattimento del fabbricato della ricorrente, non era possibile procedere legalmente all’esecuzione forzata della sentenza definitiva di demolizione parziale di quello illegalmente sconfinante.
In conclusione, la Corte territoriale riteneva che lo stallo della procedura esecutiva era stato dettato dalla condotta della ricorrente che, lasciando andare in rovina il proprio edificio adiacente a quello oggetto di esecuzione, aveva reso impossibile non solo la demolizione parziale dell’altro edificio ma anche le attivita’ propedeutiche ad essa finalizzate. Anche la domanda d’indennizzo relativa alla fase esecutiva doveva pertanto essere disattesa e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), affidato ad un unico motivo illustrato da sei quesiti cui e’ seguita memoria esplicativa. Ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia.
E’ stata dedotta la violazione della Legge n. 89 del 2001, articoli 2, 4 e 6 oltre che la violazione e mancata applicazione dell’articolo 6, par. 1 e dell’articolo 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, nonche’ il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della durata dell’intera procedura giurisdizionale.
La censura ex articolo 360 c.p.c., n. 5 e’ stata prospettata anche in ordine alla violazione dei criteri elaborati dalla consolidata giurisprudenza CEDU in materia di decisione interna definitiva nonche’ in ordine all’errata attribuzione della responsabilita’ dell’eccessiva durata della mancata riparazione del fabbricato confinante.
La medesima censura (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) e’ stata formulata anche in ordine alla statuizione relativa alle spese di lite, non potendo la ricorrente essere ritenuta soccombente in mancanza di responsabilita’ della medesima.
In ordine alla censura relativa alla errata identificazione della decisione interna definitiva la ricorrente ha evidenziato che il processo esecutivo non puo’ essere considerato una fase autonoma rispetto a quello di cognizione bensi’ un unicum teso al conseguimento del bene della vita conteso. Cio’ che rileva anche secondo la giurisprudenza di legittimita’ e’ il tempo necessario ad ottenere una risposta effettiva alla domanda di giustizia. Al riguardo la Corte di Strasburgo e’ stata lapidaria nell’affermare che ex articolo 6 CEDU per decisione definitiva deve intendersi il momento in cui il diritto ha avuto effettiva realizzazione. Pertanto anche quando per il diritto interno il giudizio si articola in due fasi la definitivita’ si puo’ individuare non quando vi e’ stata la pronuncia sull’esistenza del diritto ma quando si siano stabilite le modalita’ effettive del suo esercizio. Per quanto riguarda l’addebitabilita’ alla parte ricorrente della responsabilita’ per la durata della fase esecutiva la parte ricorrente ha osservato che il giudice dell’esecuzione ha il potere di richiedere il rilascio di autorizzazioni, concessioni od altri provvedimenti alla pubblica amministrazione, avendo l’obbligo di risolvere i problemi tecnici e procedurali che si frappongono all’attuazione del diritto. La durata del processo esecutivo e’ esclusivamente addebitabile alle inefficienze della giustizia relative all’assenza reiterata dei tecnici d’ufficio, alle valutazioni non condivisibili del perito geologo, alla tardiva conoscenza dell’ostacolo costituito dal fabbricato della ricorrente. Anche l’accesso al fabbricato non e’ stato impedito dalla ricorrente ma da transenne apposte dai vigili del fuoco. Anche in ordine a tale ostacolo i consulenti d’ufficio erano tenuti a richiedere le autorizzazioni necessarie e procedere al sopralluogo.
Infine per quanto concerne la statuizione sulle spese, viene osservato, ferma l’assenza di responsabilita’ della ricorrente in ordine alla durata della fase esecutiva, che la complessita’ delle questioni avrebbe imposto la compensazione delle spese processuali.
Nella memoria la parte ricorrente rafforza le proprie argomentazioni relative alla qualificazione giuridica della “decisione interna definitiva” con il rinvio alla recente pronuncia delle S.U. n. 6312 del 2014.
Tale decisione, come correttamente individuato dalla parte ricorrente deve costituire la base logica per l’esame dei motivi prospettati. In particolare devono essere sottolineati i principi esposti nella pronuncia delle Sezioni Unite riguardanti il rapporto tra la fase di cognizione e quella di esecuzione del procedimento giurisdizionale. Le Sezioni Unite hanno affermato al riguardo:
– il principio di effettivita’ della tutela giurisdizionale comprende qualsiasi attivita’ processuale prevista dall’ordinamento volta a rendere concreta la realizzazione dei diritti azionati;
– l’esecuzione forzata, come stabilito dalla Corte Costituzionale (sent. 321 del 1998 e 198 del 2010) deve ritenersi costituzionalmente necessaria, in quanto connotato intrinseco della funzione giurisdizionale;
– la Corte EDU, in numerose pronunce ed in particolare nella sentenza Cocchiarella contro Italia della Grande Camera del 29 marzo 2006 ha ribadito che la fase di esecuzione costituisce parte integrante del processo ai fini dell’articolo 6 della Convenzione, sottolineando l’unicita’ del procedimento;
– il procedimento giurisdizionale, secondo una ricostruzione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, rispettosa degli articoli 24 e 111 Cost., nonche’ dell’articolo 6 della Convenzione cosi’ come declinato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo deve essere considerato come un unicum che ha inizio con l’accesso al giudice e fine con l’esecuzione della decisione, definitiva ed obbligatoria;
– il giudizio di equa riparazione costituisce un’applicazione dei principi sopra esposti, cosi’ come indicato in numerose sentenze EDU, nelle quali si afferma che nei ricorsi in tema di durata della causa civile il procedimento di esecuzione costituisce la seconda fase del procedimento e il diritto rivendicato diventa effettivo soltanto al momento dell’esecuzione;
– puo’ essere integrata la violazione dell’articolo 6 della Convenzione sotto l’autonomo profilo del diritto all’esecuzione delle decisioni interne esecutive anche nei casi di ritardo nel pagamento dell’indennizzo per irragionevole durata del procedimento.
La pronuncia delle Sezioni Unite e’ stata sollecitata da specifiche questioni riguardanti il riconoscimento del diritto all’indennizzo ex Legge 89 del 2001 in caso di ritardato pagamento da parte della P.A. dell’importo maturato per il medesimo titolo a causa dell’irragionevole durata di un procedimento giurisdizionale e la ricomprensione di tale specifica tipologia d’indennizzo nell’ambito di applicazione della Legge n. 89 del 2001, articolo 2. La fattispecie, di conseguenza, e’ radicalmente diversa da quella formante oggetto del presente giudizio, avendo in comune esclusivamente l’attivazione in entrambi i procedimenti della fase di esecuzione forzata, finalizzata, in un caso, ad ottenere mediante l’espropriazione forzata, la somma riconosciuta a carico della P. A. derivante dall’accertamento dell’irragionevole durata di un procedimento; nell’altro a realizzare coattivamente la demolizione parziale del fabbricato illegalmente sconfinante. Proprio l’avvenuta instaurazione di tale fase ha dato luogo alle puntuali indicazioni delle S.U. relative alla riconducibilita’ ad un unicum della fase di cognizione e di esecuzione sulle quali si fonda il motivo di censura della parte ricorrente relativo all’inoperativita’ della decadenza semestrale Legge n. 89 del 2001, ex articolo 4 in ordine al procedimento di cognizione, in quanto seguito dal successivo di esecuzione forzata. Il computo dei termini e del conseguente indennizzo dovrebbe, secondo la parte ricorrente, in virtu’ dei principi espressi dalle S.U., essere eseguito senza soluzione di continuita’, risultando superato il precedente orientamento, consacrato nella sentenza n. 27365 del 2009, in quanto fondato sul contrapposto principio dell’autonomia delle due fasi e sulla natura definitiva delle decisioni non piu’ oppugnabili assunte in ciascuna di esse, anche ai fini del decorso del termine semestrale di decadenza.
In quest’ultima pronuncia le S.U. avevano affermato l’autonomia della durata delle singole fasi e, come gia’ rilevato, l’applicabilita’ del termine semestrale di decadenza per ciascuna di esse, all’esito di una decisione definitiva. Gli orientamenti successivi avevano dato continuita’ ai principi affermati dalle S.U. (Cfr. Cass. 16828 del 2010, 26875 del 2013).
Si tratta, pertanto, di stabilire se l’unicita’ della fase di cognizione e di esecuzione, in quanto entrambe rivolte a dare attuazione ed a realizzare il diritto tutelato, espressamente affermate dalle S.U. alla stregua di consolidati principi di natura costituzionale e convenzionale, possa determinare l’inapplicabilita’ della Legge n. 89 del 2001, articolo 4 nell’ipotesi, coerente con la fattispecie dedotta nel presente giudizio, in cui il procedimento di cognizione si sia chiuso con decisione definitiva, in un tempo irragionevole secondo di parametri CEDU senza che sia stata proposta tempestivamente domanda d’indennizzo Legge n. 89 del 2001, ex articolo 2 ed ad essa sia seguita, peraltro dopo un certo lasso di tempo, la fase di esecuzione forzata.
In particolare il quesito e’ il seguente: l’attivazione della fase di esecuzione forzata consente il computo dell’irragionevole durata del processo di cognizione anche quando quest’ultimo si sia chiuso con decisione definitiva e sia decorso il termine semestrale di decadenza dall’azione ex articolo 2.
L’affermazione dell’unicita’ delle due fasi si contrappone al pregresso orientamento fondato sull’autonomia delle medesime fino al punto di rendere inapplicabile il predetto termine decadenziale per il procedimento di cognizione quando si sia chiuso con decisione definitiva? Deve osservarsi al riguardo che l’esecuzione forzata costituisce una facolta’ della parte vincitrice nel giudizio di cognizione, esercitarle nei limiti temporali (molto ampi) della prescrizione del diritto sostanziale. Non infrequentemente si ricorre ad essa quando non siano andate a buon fine trattative volte ad ottenere l’adempimento spontaneo o in virtu’ di altre scelte insindacabili della parte. Il principio dell’unicita’ delle due fasi, di agevole applicabilita’ nelle fattispecie esaminate dalla giurisprudenza di Strasburgo ed anche in quella sottoposta al recentissimo esame delle S.U., in quanto caratterizzato da una fase di cognizione nella quale non si era oltrepassato il termine di ragionevole durata e dalla mancata perenzione di alcun termine di decadenza, determina rilevanti perplessita’ se correlato alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, nella quale il giudizio di cognizione era durato ben oltre il termine di ragionevole durata e l’esecuzione forzata era stata intrapresa dopo lo spirare del termine semestrale di decadenza Legge n. 89 del 2001, ex articolo 4. A giudizio del Collegio, le S.U., con la pronuncia n. 6312 del 2014, non affrontano specificamente questo profilo degli effetti dell’affermato principio dell’unicita’ del processo, ancorche’ articolato nelle due fasi di cognizione ed esecuzione. L’eliminazione, per effetto dell’instaurazione del procedimento di esecuzione forzata, della decadenza stabilita nel citato articolo 4 (ritenuta del tutto compatibile con i principi regolanti in sede CEDU il giusto ed equo processo), non appare un corollario obbligato anche in considerazione dei possibili profili di abuso del diritto che si possono adombrare, hi particolare, non appare risolta la questione relativa alla compatibilita’ con l’articolo 111 Cost. dell’estensione della facolta’ di proporre la domanda d’indennizzo Legge n. 89 del 2001, ex articolo 2 fino al limite della prescrizione del diritto in contesa nel processo presupposto, lasciando quiescente ed incerto, per un tempo potenzialmente molto lungo, nonostante l’espressa previsione di uno sbarramento temporale decadenziale, l’esercizio dell’azione sopra indicata (e l’adempimento dell’obbligo della p.a.).
E’ necessario, pertanto, investire nuovamente le sezioni unite di questa Corte, trattandosi di questioni di particolare importanza, perche’ stabiliscano:
– come coordinare il principio dell’unicita’ dei giudizi di cognizione ed esecuzione, applicabile anche in ordine al computo del tempo ai fini della valutazione della durata ragionevole od irragionevole di un processo con la previsione di un termine di decadenza, cosi’ come stabilito nella Legge n. 89 del 2001, articolo 4 nella versione ratione temporis applicabile, ovvero quella in vigore fino al giorno 11/8/2012 (Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 55, comma 2 conv. nella Legge n. 134 del 2012) di sei mesi decorrente dal momento in cui la decisione e’ divenuta definitiva;
– se il dies a quo costituito dalla “decisione definitiva” cosi’ come indicato dal citato articolo 4 ai fini del computo del termine semestrale di decadenza possa ritenersi applicabile alla pronuncia passata in giudicato nel giudizio di cognizione, quando esso abbia avuto una durata irragionevole o invece debba identificarsi soltanto con la decisione conclusiva della successiva fase di esecuzione forzata; – in quest’ultima ipotesi come computare la fase di quiescenza del procedimento, successiva alla conclusione definitiva del giudizio di cognizione ed anteriore all’instaurazione del giudizio di esecuzione.
Dopo la complessa fase di cognizione che aveva determinato la condanna della controparte della ricorrente all’abbattimento di un fabbricato che oltrepassava il confine, era seguita la fase di esecuzione intrapresa dalla ricorrente nel 2002 ed ancora pendente al momento dell’introduzione della domanda ex Legge n. 89 del 2001.
La (OMISSIS) ha richiesto alla Corte d’Appello di Perugia l’indennizzo per l’intera durata del procedimento, comprensivo del giudizio di cognizione e di quello esecuzione senza soluzione di continuita’, dal momento che solo con la chiusura di quest’ultima fase poteva dirsi effettivamente soddisfatto l’interesse tutelato.
La Corte territoriale ha invece ritenuto che per “definitivita’” della decisione ai fini del decorso del termine semestrale di decadenza fissato nella Legge n. 89 del 2001 debba intendersi quello in cui si consegue il fine al quale il singolo procedimento e’ deputato. In relazione al giudizio di cognizione tale definitivita’ si determina con il passaggio in giudicato della sentenza che chiude tale fase.
Alla luce di queste premesse la Corte territoriale ha ritenuto decaduta la parte ricorrente dal diritto di proporre la domanda d’indennizzo.
In ordine alla fase relativa al procedimento esecutivo ha osservato la Corte d’Appello:
l’attuazione ha posto problemi tecnici in quanto il fabbricato da demolire parzialmente e’ adiacente ad un rudere di proprieta’ della stessa ricorrente; la demolizione parziale, pertanto, non doveva danneggiare la statica dell’intero edificio; e’ stato necessario acquisire i necessari assensi amministrativi e procedere alla nomina di due consulenti d’ufficio, un architetto e un geologo; le indagini peritali ed in particolare le perforazioni esplorative non potevano essere eseguite a causa delle condizioni pericolanti dell’edificio adiacente di proprieta’ della ricorrente; non era possibile procedere tempestivamente all’ispezione di quest’ultimo fabbricato per mancata collaborazione della ricorrente; in corso di procedimento esecutivo veniva depositato dalla ricorrente progetto di demolizione di quest’ultimo fabbricato, in ordine al quale dovevano attendersi le debite autorizzazioni amministrative; in mancanza di queste ultime e del successivo abbattimento del fabbricato della ricorrente, non era possibile procedere legalmente all’esecuzione forzata della sentenza definitiva di demolizione parziale di quello illegalmente sconfinante.
In conclusione, la Corte territoriale riteneva che lo stallo della procedura esecutiva era stato dettato dalla condotta della ricorrente che, lasciando andare in rovina il proprio edificio adiacente a quello oggetto di esecuzione, aveva reso impossibile non solo la demolizione parziale dell’altro edificio ma anche le attivita’ propedeutiche ad essa finalizzate. Anche la domanda d’indennizzo relativa alla fase esecutiva doveva pertanto essere disattesa e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), affidato ad un unico motivo illustrato da sei quesiti cui e’ seguita memoria esplicativa. Ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia.
E’ stata dedotta la violazione della Legge n. 89 del 2001, articoli 2, 4 e 6 oltre che la violazione e mancata applicazione dell’articolo 6, par. 1 e dell’articolo 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, nonche’ il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della durata dell’intera procedura giurisdizionale.
La censura ex articolo 360 c.p.c., n. 5 e’ stata prospettata anche in ordine alla violazione dei criteri elaborati dalla consolidata giurisprudenza CEDU in materia di decisione interna definitiva nonche’ in ordine all’errata attribuzione della responsabilita’ dell’eccessiva durata della mancata riparazione del fabbricato confinante.
La medesima censura (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) e’ stata formulata anche in ordine alla statuizione relativa alle spese di lite, non potendo la ricorrente essere ritenuta soccombente in mancanza di responsabilita’ della medesima.
In ordine alla censura relativa alla errata identificazione della decisione interna definitiva la ricorrente ha evidenziato che il processo esecutivo non puo’ essere considerato una fase autonoma rispetto a quello di cognizione bensi’ un unicum teso al conseguimento del bene della vita conteso. Cio’ che rileva anche secondo la giurisprudenza di legittimita’ e’ il tempo necessario ad ottenere una risposta effettiva alla domanda di giustizia. Al riguardo la Corte di Strasburgo e’ stata lapidaria nell’affermare che ex articolo 6 CEDU per decisione definitiva deve intendersi il momento in cui il diritto ha avuto effettiva realizzazione. Pertanto anche quando per il diritto interno il giudizio si articola in due fasi la definitivita’ si puo’ individuare non quando vi e’ stata la pronuncia sull’esistenza del diritto ma quando si siano stabilite le modalita’ effettive del suo esercizio. Per quanto riguarda l’addebitabilita’ alla parte ricorrente della responsabilita’ per la durata della fase esecutiva la parte ricorrente ha osservato che il giudice dell’esecuzione ha il potere di richiedere il rilascio di autorizzazioni, concessioni od altri provvedimenti alla pubblica amministrazione, avendo l’obbligo di risolvere i problemi tecnici e procedurali che si frappongono all’attuazione del diritto. La durata del processo esecutivo e’ esclusivamente addebitabile alle inefficienze della giustizia relative all’assenza reiterata dei tecnici d’ufficio, alle valutazioni non condivisibili del perito geologo, alla tardiva conoscenza dell’ostacolo costituito dal fabbricato della ricorrente. Anche l’accesso al fabbricato non e’ stato impedito dalla ricorrente ma da transenne apposte dai vigili del fuoco. Anche in ordine a tale ostacolo i consulenti d’ufficio erano tenuti a richiedere le autorizzazioni necessarie e procedere al sopralluogo.
Infine per quanto concerne la statuizione sulle spese, viene osservato, ferma l’assenza di responsabilita’ della ricorrente in ordine alla durata della fase esecutiva, che la complessita’ delle questioni avrebbe imposto la compensazione delle spese processuali.
Nella memoria la parte ricorrente rafforza le proprie argomentazioni relative alla qualificazione giuridica della “decisione interna definitiva” con il rinvio alla recente pronuncia delle S.U. n. 6312 del 2014.
Tale decisione, come correttamente individuato dalla parte ricorrente deve costituire la base logica per l’esame dei motivi prospettati. In particolare devono essere sottolineati i principi esposti nella pronuncia delle Sezioni Unite riguardanti il rapporto tra la fase di cognizione e quella di esecuzione del procedimento giurisdizionale. Le Sezioni Unite hanno affermato al riguardo:
– il principio di effettivita’ della tutela giurisdizionale comprende qualsiasi attivita’ processuale prevista dall’ordinamento volta a rendere concreta la realizzazione dei diritti azionati;
– l’esecuzione forzata, come stabilito dalla Corte Costituzionale (sent. 321 del 1998 e 198 del 2010) deve ritenersi costituzionalmente necessaria, in quanto connotato intrinseco della funzione giurisdizionale;
– la Corte EDU, in numerose pronunce ed in particolare nella sentenza Cocchiarella contro Italia della Grande Camera del 29 marzo 2006 ha ribadito che la fase di esecuzione costituisce parte integrante del processo ai fini dell’articolo 6 della Convenzione, sottolineando l’unicita’ del procedimento;
– il procedimento giurisdizionale, secondo una ricostruzione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, rispettosa degli articoli 24 e 111 Cost., nonche’ dell’articolo 6 della Convenzione cosi’ come declinato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo deve essere considerato come un unicum che ha inizio con l’accesso al giudice e fine con l’esecuzione della decisione, definitiva ed obbligatoria;
– il giudizio di equa riparazione costituisce un’applicazione dei principi sopra esposti, cosi’ come indicato in numerose sentenze EDU, nelle quali si afferma che nei ricorsi in tema di durata della causa civile il procedimento di esecuzione costituisce la seconda fase del procedimento e il diritto rivendicato diventa effettivo soltanto al momento dell’esecuzione;
– puo’ essere integrata la violazione dell’articolo 6 della Convenzione sotto l’autonomo profilo del diritto all’esecuzione delle decisioni interne esecutive anche nei casi di ritardo nel pagamento dell’indennizzo per irragionevole durata del procedimento.
La pronuncia delle Sezioni Unite e’ stata sollecitata da specifiche questioni riguardanti il riconoscimento del diritto all’indennizzo ex Legge 89 del 2001 in caso di ritardato pagamento da parte della P.A. dell’importo maturato per il medesimo titolo a causa dell’irragionevole durata di un procedimento giurisdizionale e la ricomprensione di tale specifica tipologia d’indennizzo nell’ambito di applicazione della Legge n. 89 del 2001, articolo 2. La fattispecie, di conseguenza, e’ radicalmente diversa da quella formante oggetto del presente giudizio, avendo in comune esclusivamente l’attivazione in entrambi i procedimenti della fase di esecuzione forzata, finalizzata, in un caso, ad ottenere mediante l’espropriazione forzata, la somma riconosciuta a carico della P. A. derivante dall’accertamento dell’irragionevole durata di un procedimento; nell’altro a realizzare coattivamente la demolizione parziale del fabbricato illegalmente sconfinante. Proprio l’avvenuta instaurazione di tale fase ha dato luogo alle puntuali indicazioni delle S.U. relative alla riconducibilita’ ad un unicum della fase di cognizione e di esecuzione sulle quali si fonda il motivo di censura della parte ricorrente relativo all’inoperativita’ della decadenza semestrale Legge n. 89 del 2001, ex articolo 4 in ordine al procedimento di cognizione, in quanto seguito dal successivo di esecuzione forzata. Il computo dei termini e del conseguente indennizzo dovrebbe, secondo la parte ricorrente, in virtu’ dei principi espressi dalle S.U., essere eseguito senza soluzione di continuita’, risultando superato il precedente orientamento, consacrato nella sentenza n. 27365 del 2009, in quanto fondato sul contrapposto principio dell’autonomia delle due fasi e sulla natura definitiva delle decisioni non piu’ oppugnabili assunte in ciascuna di esse, anche ai fini del decorso del termine semestrale di decadenza.
In quest’ultima pronuncia le S.U. avevano affermato l’autonomia della durata delle singole fasi e, come gia’ rilevato, l’applicabilita’ del termine semestrale di decadenza per ciascuna di esse, all’esito di una decisione definitiva. Gli orientamenti successivi avevano dato continuita’ ai principi affermati dalle S.U. (Cfr. Cass. 16828 del 2010, 26875 del 2013).
Si tratta, pertanto, di stabilire se l’unicita’ della fase di cognizione e di esecuzione, in quanto entrambe rivolte a dare attuazione ed a realizzare il diritto tutelato, espressamente affermate dalle S.U. alla stregua di consolidati principi di natura costituzionale e convenzionale, possa determinare l’inapplicabilita’ della Legge n. 89 del 2001, articolo 4 nell’ipotesi, coerente con la fattispecie dedotta nel presente giudizio, in cui il procedimento di cognizione si sia chiuso con decisione definitiva, in un tempo irragionevole secondo di parametri CEDU senza che sia stata proposta tempestivamente domanda d’indennizzo Legge n. 89 del 2001, ex articolo 2 ed ad essa sia seguita, peraltro dopo un certo lasso di tempo, la fase di esecuzione forzata.
In particolare il quesito e’ il seguente: l’attivazione della fase di esecuzione forzata consente il computo dell’irragionevole durata del processo di cognizione anche quando quest’ultimo si sia chiuso con decisione definitiva e sia decorso il termine semestrale di decadenza dall’azione ex articolo 2.
L’affermazione dell’unicita’ delle due fasi si contrappone al pregresso orientamento fondato sull’autonomia delle medesime fino al punto di rendere inapplicabile il predetto termine decadenziale per il procedimento di cognizione quando si sia chiuso con decisione definitiva? Deve osservarsi al riguardo che l’esecuzione forzata costituisce una facolta’ della parte vincitrice nel giudizio di cognizione, esercitarle nei limiti temporali (molto ampi) della prescrizione del diritto sostanziale. Non infrequentemente si ricorre ad essa quando non siano andate a buon fine trattative volte ad ottenere l’adempimento spontaneo o in virtu’ di altre scelte insindacabili della parte. Il principio dell’unicita’ delle due fasi, di agevole applicabilita’ nelle fattispecie esaminate dalla giurisprudenza di Strasburgo ed anche in quella sottoposta al recentissimo esame delle S.U., in quanto caratterizzato da una fase di cognizione nella quale non si era oltrepassato il termine di ragionevole durata e dalla mancata perenzione di alcun termine di decadenza, determina rilevanti perplessita’ se correlato alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, nella quale il giudizio di cognizione era durato ben oltre il termine di ragionevole durata e l’esecuzione forzata era stata intrapresa dopo lo spirare del termine semestrale di decadenza Legge n. 89 del 2001, ex articolo 4. A giudizio del Collegio, le S.U., con la pronuncia n. 6312 del 2014, non affrontano specificamente questo profilo degli effetti dell’affermato principio dell’unicita’ del processo, ancorche’ articolato nelle due fasi di cognizione ed esecuzione. L’eliminazione, per effetto dell’instaurazione del procedimento di esecuzione forzata, della decadenza stabilita nel citato articolo 4 (ritenuta del tutto compatibile con i principi regolanti in sede CEDU il giusto ed equo processo), non appare un corollario obbligato anche in considerazione dei possibili profili di abuso del diritto che si possono adombrare, hi particolare, non appare risolta la questione relativa alla compatibilita’ con l’articolo 111 Cost. dell’estensione della facolta’ di proporre la domanda d’indennizzo Legge n. 89 del 2001, ex articolo 2 fino al limite della prescrizione del diritto in contesa nel processo presupposto, lasciando quiescente ed incerto, per un tempo potenzialmente molto lungo, nonostante l’espressa previsione di uno sbarramento temporale decadenziale, l’esercizio dell’azione sopra indicata (e l’adempimento dell’obbligo della p.a.).
E’ necessario, pertanto, investire nuovamente le sezioni unite di questa Corte, trattandosi di questioni di particolare importanza, perche’ stabiliscano:
– come coordinare il principio dell’unicita’ dei giudizi di cognizione ed esecuzione, applicabile anche in ordine al computo del tempo ai fini della valutazione della durata ragionevole od irragionevole di un processo con la previsione di un termine di decadenza, cosi’ come stabilito nella Legge n. 89 del 2001, articolo 4 nella versione ratione temporis applicabile, ovvero quella in vigore fino al giorno 11/8/2012 (Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 55, comma 2 conv. nella Legge n. 134 del 2012) di sei mesi decorrente dal momento in cui la decisione e’ divenuta definitiva;
– se il dies a quo costituito dalla “decisione definitiva” cosi’ come indicato dal citato articolo 4 ai fini del computo del termine semestrale di decadenza possa ritenersi applicabile alla pronuncia passata in giudicato nel giudizio di cognizione, quando esso abbia avuto una durata irragionevole o invece debba identificarsi soltanto con la decisione conclusiva della successiva fase di esecuzione forzata; – in quest’ultima ipotesi come computare la fase di quiescenza del procedimento, successiva alla conclusione definitiva del giudizio di cognizione ed anteriore all’instaurazione del giudizio di esecuzione.
P.Q.M.
La Corte:
rimette la causa alle sezioni unite
rimette la causa alle sezioni unite
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