Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 12 settembre 2014, n. 19331
Svolgimento del processo e motivi della decisione
E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti. “Il relatore, cons. A.A. esaminati gli atti, osserva:
1. R.G. propose opposizione avverso l’atto di precetto notificato dall’avvocato F.E.C. per il recupero di somme riconosciute a suo favore quale procuratore distrattario, dal Tribunale di Lamezia Terme nella sentenza n. 915 del 2009. Dedusse, a fondamento del mezzo, che il C. aveva avanzato richiesta di rilascio delle copie autentiche della sentenza in data 2 ottobre 2009, e cioè in epoca anteriore al deposito della stessa, essendo questo avvenuto solo il 5 ottobre successivo.
L’opposto, costituitosi in giudizio, contestò le avverse deduzioni.
2. Con sentenza del 20 dicembre 2011 il giudice adito ha rigettato l’opposizione.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte R.G., formulando tre motivi.
Resiste con controricorso F.E.C..
3. Il ricorso è soggetto, in ragione della data della sentenza impugnata, successiva al 4 luglio 2009, 2112, disciplina dettata dall’art. 360 bis, inserito dall’art. 47, comma 1, lett. a) della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Esso può pertanto essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli ant. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ. per esservi rigettato.
Queste le ragioni.
4. Con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione dell’art. 182 cod. proc. civ. Deduce che l’avvocato C. aveva conferito all’avvocato S. mandato per azionare l’atto di precetto opposto ma poi si era costituito personalmente nel giudizio di opposizione. Secondo l’esponente, tale costituzione, non preceduta dalla revoca del precedente mandato difensivo, sarebbe nulla. 5. Le critiche sono destituite di ogni fondamento.
La nomina di un nuovo difensore e domiciliatario nel corso del processo comporta la revoca tacita del precedente difensore e domiciliatario, salva diversa manifestazione di volontà, potendo la revoca pacificamente avvenire anche per facta concluderia (confr. Cass. civ. 20 dicembre 2004, n. 23589).
A ciò aggiungasi che le vicende della procura alle liti sono disciplinate, dall’art. 85 cod. proc. civ. in maniera diversa da quelle della procura al compimento di atti di diritto sostanziale, perché, mentre nella disciplina sostanziale è previsto che chi ha conferito i poteri può revocarli (o chi li ha ricevuti, dismetterli) con efficacia immediata, invece né la revoca, né la rinuncia privano – di per sé – il difensore della capacità di compiere o di ricevere atti. La giustificazione di tale diversa disciplina deriva dal fatto che i poteri attribuiti dalla legge processuale al procuratore non sono quelli che liberamente determina chi conferisce la procura, ma – in quanto poteri in cui si concreta lo ius .postulandi – sono attribuiti dalla legge al procuratore che la parte si limita a designare. Ne deriva che, in base all’art. 85 cod. proc. civ., ciò che priva il procuratore della capacità di compiere o ricevere atti, non è la revoca o la rinuncia di per se soli, bensì il fatto che alla revoca o alla rinuncia si accompagni la sostituzione del difensore.
6. Ora, siffatti principi sono sicuramente operativi anche nell’ipotesi in cui la parte, avendo la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, decida di stare in giudizio di persona, posto che la circostanza che lo stesso sia inizialmente ricorso al ministero di altro professionista, non lo disabilita di certo a difendersi da solo.
Ciò comporta, in applicazione del criterio della validità della revoca del mandato difensivo manifestata in forma orale o in via di mero fatto nonché dei principi di una disciplina incentrata soprattutto sull’esigenza di evitare ogni vacatio dello ius postulandi, a presidio del diritto di difesa, che non sussiste il vizio denunciato dal ricorrente.
7. Con il secondo mezzo l’impugnante lamenta vizi motivazionali in relazione alla pretesa nullità del titolo esecutivo posto a base del precetto. Evidenzia che, a differenza di quanto affermato dal giudice a quo, non era stata censurata l’erronea indicazione della data di rilascio delle copie autentiche della sentenza azionata, bensì il fatto che la richiesta di rilascio fosse stata avanzata ancor prima della pubblicazione della stessa. Sostiene che l’irregolarità aveva limitato l’attività difensiva dell’opponente che, a fronte di una richiesta di copia avanzata in epoca antecedente alla pubblicazione, aveva legittimamente ritenuto di essere in presenza di un atto viziato.
8. Anche tali censure sono prive di pregio.
Richiamato il disposto dell’art. 156 cod. proc. civ., a tenor del quale non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge (primo comma); la nullità può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo (secondo comma); la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato (terzo comma), nessuna lesione ai diritti difensivi dell’opponente è all’evidenza derivata dall’erronea indicazione della data in cui è stata avanzata la richiesta di rilascio di copie autentiche della sentenza impugnata e neppure, in tesi (ove errore non vi fosse stato), dal fatto stesso che la richiesta di rilascio sia stata inoltrata in epoca antecedente alla pubblicazione del titolo, posto che si sarebbe, in ogni caso, in presenza di una mera irregolarità (di carattere fiscale o amministrativo, come correttamente ritenuto dal giudice di merito) inidonea tuttavia a viziare il procedimento di formazione del titolo esecutivo perciò solo che la controparte abbia invece erroneamente attribuito a quella irregolarità siffatta idoneità.
9. Infine neppure colgono nel segno le critiche svolte nel terzo motivo, con il quale il ricorrente deduce vizi motivazionali in relazione alla sua condanna al pagamento delle spese del giudizio di opposizione, posto che la condanna è stata all’evidenza pronunciata nella corretta applicazione del principio della soccombenza. Il ricorso appare pertanto destinato al rigetto”. A seguito della discussione svoltasi in camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni in fatto e in diritto esposte nella relazione, non ritenendole infirmate dalle deduzioni esposte nella memoria di parte ricorrente.
In particolare, i rilievi ivi svolti in ordine alla pretesa inesistenza della sentenza impugnata per incertezza sul nome del resistente – individuato come F.E.C., piuttosto che F.E.C. – non colgono nel segno, considerato che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte Regolatrice, alla quale si intende dare continuità, l’omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 cod. proc. civ., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti, laddove comporta la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell’art. 1011 cod. proc. civ., e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intera sentenza, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce (confr. Cass. civ. 26 marzo 2010, n. 7343).
Ora, nella fattispecie, tale eventualità è esclusa per tabular, a tacer d’altro, dal fatto che l’errore incorso nella decisione impugnata non ha impedito al ricorrente di impugnarla nei confronti della giusta parte. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 4.300,00 (di cui euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali e accessori, come per legge.
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