Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 5 agosto 2014, n. 34505
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria – Presidente
Dott. BEVERE Antonio – Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1840/2005 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 21/02/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/06/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MARZO GIUSEPPE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. STABILE Carmine, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
1) lire 280.000.000 distratti dalla (OMISSIS) s.r.l., con la giustificazione di rimborso finanziamento soci (capo a);
2) lire 424.000.000 distratti dalla (OMISSIS) s.r.l., a seguito di finanziamento concesso dalla (OMISSIS) s.r.l. senza Delib. assembleare (capo c);
3) lire 190.000.000 distratti dalla (OMISSIS) s.r.l., con la giustificazione di rimborso finanziamento soci (capo d).
2. Nell’interesse dell’imputato e’ stato proposto ricorso per cassazione affidato ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali nonche’ violazione o erronea applicazione dell’articolo 216 L.F., con riferimento alla condotta ascritta al capo a).
In particolare, il ricorrente rileva che la coincidenza della qualita’ di amministratore e di socio di maggioranza non e’ profilo idoneo a superare la considerazione difensiva secondo la quale non puo’ darsi condotta fraudolenta se la ricchezza uscita dal patrimonio del soggetto debitore e’ servita ad estinguere una obbligazione effettivamente esistente, dal momento che la stessa Corte territoriale non pone in discussione ne’ il preesistente finanziamento in favore della societa’ fallita ne’ il fatto che l’imputato aveva immesso liquidita’ nelle casse sociali per complessive lire 248.016.529, rimanendo creditore, alla data del fallimento, della somma di lire 283.642.284.
A tutto voler concedere tale condotta era riconducibile alla bancarotta preferenziale, come dimostrato dal fatto che all’articolo 216, comma 3 e articolo 223, comma 1, L.F., nel sanzionare gli amministratori per tale ipotesi, non distinguono il caso in cui l’amministratore paghi un credito in favore di terzi dal caso in cui soddisfi un credito personale.
Con ulteriore articolazione, concernente la condotta di cui al capo c), il ricorrente osserva che il finanziamento concesso dalla (OMISSIS) s.r.l. alla (OMISSIS) s.r.l., senza delibera o verbale assembleare autorizzativo, comunque non configura una distrazione, poiche’ l’operazione non era priva di contropartita per la societa’ finanziatrice, che aveva acquisito al suo patrimonio un corrispondente diritto di credito.
Al riguardo, si aggiunge:
a) che le parziali, ma ingenti, restituzioni di somme da parte della societa’ finanziata, nel dimostrare l’insussistenza di una situazione di insolvenza delle due societa’, escludevano in radice l’originaria inesigibilita’ dei crediti;
b) che, in ogni caso, poiche’ la societa’ finanziata era il braccio operativo della societa’ finanziatrice, la condotta andava considerata nella prospettiva dell’articolo 2634 c.c., comma 3, in relazione al vantaggio che la (OMISSIS) s.r.l. aveva ritratto dal proseguimento dell’attivita’ edile della (OMISSIS) s.r.l., vantaggio identificabile se non nell’evitare il fallimento, quantomeno nella possibilita’ di consegnare e vendere gli immobili ai clienti. Del resto, contraddittoriamente, la stessa sentenza impugnata aveva riconosciuto che la finalita’ del finanziamento era quella di consentire il pagamento dei fornitori. Quanto, infine, all’assenza di delibera assembleare autorizzativa, si sottolinea che la qualificazione penalistica della condotta non puo’ dipendere, nel caso di specie, dal rispetto delle norme societarie, che, peraltro, non impongono, per l’operazione di finanziamento, uno specifico atto deliberativo.
In relazione, infine, alla condotta di cui al capo d), il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia omesso di affrontare la questione sollevata con l’atto di appello, concernente la contraddittorieta’ di una decisione che, per un verso, aveva sanzionato l’imputato, per avere disposto il finanziamento di cui al capo c) e, per altro verso, aveva ritenuto sussistente una condotta distrattiva (quella di cui al capo d), con riferimento alla posizione di amministratore della societa’ finanziata, nel momento in cui era stata effettuata la parziale restituzione del finanziamento. Anche la parte di erogazione proveniente dalla (OMISSIS) s.r.l. e confluita non nel patrimonio della (OMISSIS) s.r.l., ma nel patrimonio dell’imputato non poteva avere valenza distrattiva, sia per le ragioni sopra esposte in riferimento al reato di cui al capo a), ossia in presenza di un precedente finanziamento operato dal (OMISSIS), sia perche’, in questo caso, l’imputato era un mero socio.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione o erronea applicazione dell’articolo 216 L.F., e dell’articolo 40 c.p., per avere la Corte territoriale trascurato di considerare le argomentazioni difensive aventi ad oggetto la mancanza di nesso di causalita’ tra condotte contestate e fallimento nonche’ l’assenza di consapevolezza, nell’imputato, dello stato di insolvenza della societa’, discostandosi dalle conclusioni raggiunte dalla sentenza n. 47502 del 24/09/2012 di questa Corte e che, sulla scorta dell’evoluzione della giurisprudenza anche della Corte costituzionale, impongono di ritenere che la situazione di dissesto, oltre a doversi porre, quale elemento costitutivo del reato, in rapporto di causalita’ con la condotta distrattiva, deve anche essere rappresentata e voluta dall’agente.
A voler diversamente opinare, occorrerebbe comunque prendere atto dell’esistenza di un contrasto interpretativo che richiede la rimessione della questione alle Sezioni Unite.
Da ultimo, il ricorrente rileva che comunque la Corte territoriale non aveva indicato il fondamento della conclusione relativa alla sussistenza della consapevolezza dell’idoneita’ degli atti posti in essere a pregiudicare gli interessi dei creditori.
2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali nonche’ violazione o erronea applicazione della legge penale, ribadendo e approfondendo le considerazioni critiche svolte a proposito della mancata riqualificazione delle condotte suo a) e d) come bancarotta preferenziale.
2.4. Con il quarto motivo, si lamenta violazione o erronea applicazione della legge penale, per non avere la Corte territoriale dichiarato la prescrizione di tutti i reati, intervenuta in data anteriore alla sentenza di secondo grado, alla stregua della piu’ favorevole disciplina introdotta dalla Legge n. 251 del 2005.
2.5. Con il quinto motivo, si lamenta violazione o erronea applicazione della legge penale, in relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’articolo 219, comma 3, L.F., criticando la decisione della sentenza impugnata per non avere tenuto conto ne’ dell’attivo ne’ dell’effettiva consistenza del danno che sarebbe stato provocato ai creditori al momento della consumazione del reato. In ogni caso, anche a voler commisurare, secondo le argomentazioni della Corte territoriale, l’entita’ dei pagamenti al valore del passivo, risulterebbero sottratti beni che rappresentano non piu’ di un decimo del passivo indicato dalla sentenza impugnata.
2.6. Con il sesto motivo, si lamentano vizi motivazionali nonche’ erronea applicazione della legge penale, in ordine alla determinazione degli importi liquidati a titolo di risarcimento del danno, per non avere la Corte territoriale tenuto conto ne’ della rilevanza estintiva che le condotte distrattive contestate avevano assunto in relazione alle obbligazioni contratte nei confronti del (OMISSIS), ne’ delle restituzioni operate dalla (OMISSIS) s.r.l. in favore della (OMISSIS) s.r.l..
2.7. Con il settimo motivo, si lamenta violazione di legge, per non avere la Corte territoriale contenuto l’entita’ della pena accessoria nei limiti di durata della pena principale, facendo applicazione di un orientamento giurisprudenziale che appare contrastante con gli articolo 27, 35 e 41 Cost..
Con riferimento alla distrazione di cui al capo a), va ribadito che, qualora il socio creditore si identifichi con lo stesso amministratore della societa’, la condotta di quest’ultimo, volta alla restituzione, in periodo di dissesto, di finanziamenti in precedenza concessi, integra l’ipotesi di bancarotta per distrazione e non quella di bancarotta preferenziale (Sez. 5, n. 42710 del 03/07/2012, De Falco, Rv. 254456).
Ne discende che il rimborso della somma di lire 280.000.000 in favore dell’imputato, anche muovendo dal presupposto dell’effettiva sussistenza del finanziamento effettato dal (OMISSIS), non puo’ essere qualificato nei termini di bancarotta preferenziale.
Lo stesso e’ a dirsi, quanto alla quota del rimborso in favore del medesimo (OMISSIS), operata (capo d) dalla (OMISSIS) s.r.l., della quale il primo era amministratore, laddove, al contrario, quanto al versamento di lire 178.000.000 erogato da quest’ultima in favore della (OMISSIS) s.r.l., come rimborso di altro finanziamento, il fatto deve essere riqualificato nei termini di bancarotta preferenziale, con conseguente declaratoria di intervenuta prescrizione.
Va aggiunto che l’annullamento imposto da tale decisione non comporta alcuna incidenza sulla pena, in ragione della ritenuta prevalenza delle concesse attenuanti generiche.
Infondato e’ il motivo di ricorso, con riferimento alla distrazione di cui al capo c), in quanto, integra distrazione rilevante, ai fini della bancarotta fraudolenta, la condotta di finanziamento di ingenti somme in favore di societa’ dello stesso gruppo, effettuato dalla societa’ fallita quando gia’ si trovava in situazione di difficolta’ finanziaria, in mancanza di garanzie e senza vantaggi compensativi sia per il gruppo nel suo complesso che per la stessa societa’ fallita (Sez. 5, n. 20039 del 21/02/2013, Turchi, Rv. 255646).
Peraltro, la mera circostanza della collocazione della societa’ fallita all’interno di un gruppo non esclude la penale rilevanza del fatto, essendo necessaria a tale fine la sussistenza di uno specifico vantaggio, anche indiretto, che si dimostri idoneo a compensare gli effetti immediatamente negativi della operazione per la stessa societa’, trasferendo su quest’ultima il risultato positivo riferibile al gruppo. (Sez. 5, n. 44963 del 27/09/2012, Bozzano, Rv. 254519), laddove, nel caso di specie, i rilievi del ricorrente appaiono assolutamente generici e sganciati da un puntuale riferimento agli atti processuali, dai quali si desumerebbero le ragioni giustificative dei pagamenti.
2. Il secondo motivo e’ infondato.
Al riguardo, va ribadito che, nonostante l’isolata decisione di Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493, la giurisprudenza di questa Corte e’ ferma nel ritenere che il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione e’ reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non e’ necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, ne’ che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012 -dep. 22/01/2013, Rossetto, Rv. 253932). Occorre piuttosto che la condotta distrattiva, idonea a determinare uno squilibrio tra attivita’ e passivita’ – ossia un pericolo per le ragioni creditorie – risulti assistita dalla consapevolezza di dare al patrimonio sociale, o ad alcune attivita’, una destinazione diversa rispetto alla finalita’ dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare danno ai creditori: occorre, in altre parole, che l’agente, pur non perseguendo direttamente tale danno, sia quantomeno in condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo (Sez. 5, n. 40726 del 06/11/2006, Abbate, Rv. 235767).
L’estraneita’ della dichiarazione di fallimento rispetto agli elementi costitutivi del reato e’ stata ribadita di recente anche con riferimento al profilo del nesso eziologico (Sez. 5, n. 27993 del 12/02/2013, Di Grandi, Rv. 255567). Ne deriva che, atteso il consolidato orientamento espresso sul punto dalla giurisprudenza di legittimita’, non appare necessario investire le Sezioni Unite della questione.
3. Il quarto motivo, salvo quanto si e’ detto supra sub 1, a proposito del reato di cui al capo d), con riferimento alla somma di lire 178 milioni, e’ infondato, in quanto la sentenza di primo grado e’ intervenuta in data 04/03/2005.
Al riguardo, e’ stato condivisibilmente affermato che, ai fini dell’operativita’ delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di primo grado, indipendentemente dall’esito di condanna o di assoluzione, determina la pendenza in grado d’appello del procedimento, ostativa all’applicazione retroattiva delle norme piu’ favorevoli. (Sez. U, n. 15933 del 24/11/2011 – dep. 24/04/2012, Rancan, Rv. 252012)
4. Il quinto motivo e’ infondato.
In tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo alla particolare tenuita’ del fatto di cui all’articolo 219, comma 3, L.F., deve essere posto in relazione alla diminuzione (non percentuale, ma globale) che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti; ne’ e’ necessario che l’entita’ dell’attivo sia interamente e dettagliatamente ricostruita, essendo sufficiente, al fine di escludere la circostanza attenuante di cui all’articolo 219, comma 3, L.F., la distrazione di beni di rilevante entita’, idonea di per se’ ad incidere, in misura consistente, sul riparto (Sez. 5, n. 5300 del 16/01/2008, De Biase, Rv. 239118).
Cio’ posto, del tutto logicamente la Corte territoriale ha escluso la sussistenza dell’attenuante, a fronte dell’entita’ degli importi distratti, i quali restano certamente non “di speciale tenuita’”, anche a voler operare le invocate compensazioni.
5. Il settimo motivo, da trattare prioritariamente, in quanto investe le statuizioni penali, e’ infondato, in quanto, secondo l’orientamento condiviso dal Collegio, in tema di bancarotta fraudolenta, la pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacita’ di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa ha la durata fissa ed inderogabile di dieci anni (Sez. 5, n. 628
del 18/10/2013 – dep. 10/01/2014, Di Cesare, Rv. 257947).
Tale soluzione emerge dal confronto tra l’articolo 216, comma 4, L.F., che prevede una durata predeterminata di dieci anni, e l’articolo 217, comma 3, L.F., che invece contempla una pena accessoria fino a due anni.
Ne discende la chiara volonta’ del legislatore di assicurare per un periodo di tempo decennale l’allontanamento dal mondo dell’impresa di chi si sia reso responsabile di fatti valutati come maggiormente idonei a menomare la regolarita’ e la certezza delle transazioni commerciali.
Ne’ tale scelta legislativa appare in contrasto con le regole dalla Carta
costituzionale, come ribadito da Corte cost. 31/05/2012, n. 134.
6. Il sesto motivo e’ fondato, dal momento che, ai fini della determinazione del danno, una volta che si muova dalla premessa del carattere non fittizio delle operazioni di finanziamento, occorre certamente tenere conto dell’efficacia estintiva delle obbligazioni che i pagamenti operati hanno realizzato.
Ne segue che, sul punto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello.
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