Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 3 aprile 2014, n. 15386
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza dell’1/10/2012, ha confermato, in punto di responsabilità, quella emessa dal Tribunale di Urbino, all’esito di giudizio abbreviato, nei confronti di C.A. per furto aggravato in danno di P.A. ed ha rimodulato la pena. Secondo i giudici, il ladro, dopo essersi impossessato delle chiavi dell’abitazione di P.A. , prelevandole dall’autovettura che questi aveva parcheggiato sulla pubblica via, si introdusse nell’abitazione della vittima per asportarne gli oggetti d’oro ivi custoditi.
La prova della responsabilità è stata desunta dal fatto che nella stessa giornata e nello stesso posto (all’esterno di un ristorante in cui erano in corso i festeggiamenti per un matrimonio) furono prelevate da altra autovettura (quella di M.E. ) le chiavi di casa del proprietario, per poi svaligiarne l’abitazione sita a circa 60 km di distanza. In questo caso il C. fu colto in flagranza di reato, arrestato e processato per direttissima.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse dell’imputato, l’avv. P. G., con due motivi.
2.1. Col primo censura la sentenza per illogicità della motivazione con riguardo all’affermazione di responsabilità. Lamenta che la Corte d’appello abbia attribuito valore indiziario a semplici congetture, in assenza di prove concrete che rimandino ad una partecipazione del C. al furto, ed abbia dato per certa la partecipazione di un concorrente nei reati (quello per cui è processo e quello per cui C. è già stato giudicato), in assenza di prove o indizi che suffraghino tale impostazione; che non abbia dato una precisa qualificazione al concorso ipotizzato per il C. (se morale o materiale) e non ne abbia individuato, in concreto, le forme di espressione; che abbia valorizzato, contro l’imputato, un dato assolutamente neutro (il fatto che l’auto della moglie fu notata nei pressi dell’abitazione del M. : luogo in cui il C. fu arrestato), oltre che estraneo al materiale probatorio legittimamente acquisito al processo.
2.2. Col secondo si duole della ritenuta sussistenza, in relazione al furto delle chiavi dell’abitazione (capo A), dell’aggravante dell’art. 625, comma 1, n. 7, cp, motivata con l’osservazione, del tutto incongrua, che insieme alle chiavi dell’abitazione si trovavano altre chiavi (verosimilmente, quelle di dotazione dell’auto), nonché della ritenuta inammissibilità del motivo per carenza d’interesse (la Corte ha ritenuto che l’eliminazione dell’aggravante dell’art. 625, comma 1, n. 7, non gioverebbe all’imputato, atteso che il numero delle aggravanti contestate farebbe comunque rientrare il fatto nella previsione dell’art. 625, comma 2, cp.). Il ricorrente segnala, per converso, il pregiudizio derivantegli dall’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., ove sia confermata la condanna per furto pluriaggravato.
Considerato in diritto
Entrambi i motivi di ricorso sono fondati.
1. Secondo i giudici di merito, la prova della responsabilità per entrambi i furti contestati, avvinti dal nesso teleologia), è di ordine logico: il contesto ambientale e le modalità dell’azione fanno ritenere, incontrovertibilmente, che entrambi i furti (quello in danno di M. e quello in danno di P. ) siano opera dello stesso autore o degli stessi autori (i giudici hanno sottolineato che le auto erano parcheggiate nello stesso piazzale e che entrambi i proprietari erano invitati alla stessa cerimonia; che in entrambi i casi furono rubate prima le chiavi di casa e poi svaligiate le abitazioni; che in occasione di uno dei furti fu notata, nei pressi dell’abitazione del derubato, l’auto della moglie del C. . Hanno pure sottolineato che la complessità dell’operazione – le abitazioni distavano tra loro circa 60 km ed entrambe distavano dal luogo della cerimonia altri 60 km – richiedeva una meticolosa preordinazione dell’azione o una cooperazione nel reato da parte di soggetti rimasti sconosciuti).
Il suddetto argomentare – sebbene espressione di un notevole sforzo di razionalizzazione e di comprensione della vicenda – non è idoneo, però, a ritenere provata la responsabilità del C. oltre il ragionevole dubbio, perché muove da presupposti che non hanno valenza univoca e sono in un caso congetturale e in un altro incoerente col ragionamento spiegato. L’affermazione che il ladro conoscesse tanto bene le abitudini delle vittime da sapere che entrambe solevano lasciare in auto le chiavi dell’abitazione richiede, infatti, la prova che il C. conoscesse e frequentasse le famiglie di M. e P. o un membro delle stesse, o almeno qualcuno in contatto con costoro: circostanza su cui, invece, la sentenza tace. La distanza tra le abitazioni delle vittime e quella tra (OMISSIS) (dove fu consumato il furto delle chiavi) e l’abitazione dei derubati è stata valorizzata contro l’imputato (perché richiedeva preordinazione e rapidità d’azione), ma depone anche in direzione contraria: per le difficoltà che frapponeva all’esecuzione dei delitti da parte della stessa persona, la quale avrebbe dovuto forzare le portiere delle automobili e impossessarsi delle chiavi, individuare l’abitazione delle vittime (in sentenza non è chiarito come ciò sia avvenuto), recarsi a (…) (dove risiedeva il P. ) e frugare nell’abitazione di costui (dopo averla individuata), disfarsi della refurtiva e quindi recarsi a (omissis) , nell’abitazione del M. (dopo averla individuata), dove fu sorpreso e arrestato. È evidente che tali condotte esigevano la disponibilità di un lasso di tempo notevole, su cui i giudici di merito non risulta si siano interrogati (in sentenza non viene precisato quanto tempo sia intercorso tra il furto delle chiavi a (omissis) e la sorpresa in flagrante a (omissis) ), sebbene si tratti di un dato essenziale per la congruità della ricostruzione operata dalla Corte di merito. Infine, privo di significato – come correttamente rilevato dal difensore – è il dato rappresentato dalla notazione dell’auto del C. presso l’abitazione del M. , posto che si tratta del luogo in cui l’imputato fu arrestato.
Quanto, poi, all’eventualità che C. si sia avvalso della collaborazione di un complice, si tratta di possibilità e non di evenienza concretamente accertata, che introduce proprio la prospettiva in cui si è mossa la difesa: quella, cioè, che i furti siano stati consumati da soggetti operanti autonomamente, seppur in singolare coincidenza di tempi e di modi. D’altra parte, anche la cooperazione nel reato, ipotizzata, in alternativa, dalla Corte d’appello, esige pur sempre che vengano chiariti e provati i termini del concorso, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale con l’indifferenza delle sue manifestazioni nella realtà. E tanto vale anche per il concorso morale, che esige, quantomeno, un’attività rafforzativa dell’altrui proposito criminoso, su cui non risulta che la sentenza si sia proficuamente intrattenuta.
2. Fondata è pure la doglianza che investe la contestate, e ritenuta, aggravante della esposizione alla pubblica fede, sia sotto il profilo della sussistenza della circostanza che della ammissibilità del motivo. Sotto quest’ultimo profilo è senz’altro da condividere l’argomento del ricorrente, secondo cui non è per lui indifferente che vengano ritenute sussistenti una o due aggravanti tra quelle contemplate dall’art. 625, comma 1, cp, giacché, se è vero che bastano le aggravanti dell’art. 625, comma 1, n. 2, cp. e dell’art. 61, n. 2, cp., pure a lui contestate, per rendere applicabile la più grave sanzione dell’art. 625, comma 2, cp., è anche vero che solo il concorso delle aggravanti (in numero di almeno due) dell’art. 625, comma 1, rende inoperante – a favore del condannato – la sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 656, comma 5, cp.
Quanto, poi, al merito del motivo, va considerato che, secondo la risalente giurisprudenza di questa Corte, il furto di oggetti che si trovino all’interno di un’autovettura, lasciata incustodita sulla pubblica via, deve considerarsi aggravato per l’esposizione alla pubblica fede a norma dell’art. 625, n. 7 cod. pen., quando si tratti di oggetti costituenti parte integrante del veicolo, come autoradio, attrezzi in dotazione per le minute riparazioni, i pezzi di ricambio comunemente indispensabili e i documenti di circolazione che, per necessita o consuetudine, non vengano portati via al momento in cui l’autoveicolo viene lasciato incustodito (Cass. N. 10298 del 29/9/93; Cass., n. 7132 del 7/3/1972).
Allorché il furto ricada, invece, sopra oggetti solo temporaneamente o occasionalmente lasciati nell’autovettura, per la sussistenza dell’aggravante de quo deve ricorrere una situazione contingente di necessità, tale da indurre il possessore a confidare nella “buona fede” dei consociati e nel rispetto della cosa altrui che dagli stessi è lecito pretendere, tenendo altresì conto che il concetto di “necessità” va inteso in senso relativo e non assoluto e comprende ogni apprezzabile esigenza di condotta imposta da particolari situazioni, in contrapposizione agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella vigilanza (Cass., n. 14978 del 24/3/2005). È necessario, pertanto, che il giudice dia conto delle speciali ragioni che – in base alle circostanze concrete – hanno reso necessitata la custodia della cosa all’intervo dell’autoveicolo.
Nel caso di specie tale “necessità” non è stata esplicitata, essendosi la Corte di merito limitata ad affermare che “il mazzo di chiavi sottratto non conteneva solo quelle dell’abitazione della persona offesa ma anche altre chiavi, alcune delle quali verosimile dotazione dell’auto”. Dal che non è dato comprendere se la “necessità”, rilevante ai sensi dell’art. 625, comma 1, n. 7, c.p., sia collegata alla presenza, nell’auto, di una copia delle chiavi della stessa vettura e se le la presenza delle chiavi suddette sia reale o solo “verosimile”.
3. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice a quo – rappresentato, nella specie, dalla Corte di appello di Bologna, essendo la Corte d’appello di Ancona è a sezione unica – affinché, alla luce dei criteri sopra esposti, riesamini il profilo della responsabilità e, ove concluda la propria indagine in senso affermativo, giudichi della ricorrenza dell’aggravante dell’art. 625, comma 1, n. 7 c.p. secondo i criteri pure dianzi esposti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
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