La esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, configurando anche il reato continuato una ipotesi di “comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio, non individuandosi, nel testo della disposizione di cui all’art. 131-bis, comma 3, c.p. alcun indizio che consenta di ritenere che l’indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria dei reati della stessa indole. Una tale lettura si appalesa, oltretutto, in linea con il principio di non meritevolezza di pena per un fatto oggettivamente tenue che innerva l’istituto di cui all’art. 131-bis c.p., poiché risponde alla logica indicata che il soggetto che abbia violato più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio puniendi non possa avvantaggiarsi della menzionata causa di non punibilità, atteso che, in tale evenienza, è la stessa norma a considerare il “fatto”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola, connotato, nella sua dimensione “plurima”, da una gravità tale da non potere essere considerato di particolare tenuità.
Suprema Corte di Cassazione
sezione V penale
sentenza 1 febbraio 2017, n. 4852
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Catanzaro confermava la sentenza del 8 aprile 2014 con la quale il Tribunale di Cosenza in composizione monocratica aveva dichiarato D. M. A. colpevole del delitto continuato di falso materiale in atto pubblico commesso dal privato ai sensi degli artt. 81, comma 2, 476 e 482 c.p., per avere formato, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, due falsi bollettini di versamento su conto corrente postale, recanti l’impronta dell’Ufficio postale di Camarda di Aprigliano, attestanti rispettivamente l’avvenuto pagamento del canone Rai per l’anno 2009 (pari ad Euro 107,5) e della sanzione per il ritardato versamento (pari ad Euro 8,45), e per averne fatto uso inviandoli alla competente Agenzia delle Entrate – anche allo scopo di commettere il delitto di truffa ai danni della RAI, in relazione al quale non si era proceduto per difetto di querela dell’ente offeso – e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione.
2. Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dell’imputato, avv. Cristian Cristiano, ha proposto ricorso per cassazione denunciandone, in un unico motivo, i vizi di violazione di legge e di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) c.p.p..
2.1. In particolare della sentenza impugnata si contestava l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 131-bis c.p., avendo la corte territoriale rigettato la richiesta di applicazione di tale disposizione normativa, sulla base della ritenuta non trascurabile capacità a delinquere connotante la condotta dell’imputato, che, in realtà, non poteva essere presa in considerazione, in quanto, secondo l’articolazione testuale della norma richiamata, i criteri da valutare ai fini dell’applicazione della prevista causa di esclusione della punibilità sono solo quelli indicati nell’art. 133, comma 1, c.p. (modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo, intensità del dolo o grado della colpa) e non anche quelli (attinenti alla personalità del reo), di cui all’art. 133, comma 2, c.p..
2.2. Si censuravano, altresì, la contraddittorietà e la lacunosità della motivazione resa dalla Corte di Appello in punto di diniego dell’invocata causa di esclusione della punibilità, atteso che il giudice di seconda istanza si era discostato dalla valutazione di tenuità della condotta operata da quello di primo grado – il quale, infatti, aveva contenuto la pena irrogata al di sotto del limite edittale ed aveva concesso le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante teleologica di cui all’art. 61 n. 2, c.p. – attribuendo un peso determinante ed una valenza esclusiva al dato dell’evasione dell’intero tributo dovuto ed alla ridetta capacità a delinquere dell’imputato resa palese dal suo comportamento, senza compiere la dovuta valutazione globale di tutti gli indici indicati dall’art. 131-bis c.p. così da verificare se, pur esclusi gli indici in concreto valorizzati, sarebbe stato comunque possibile, come ritenuto dalla difesa, pervenire ad una soluzione di favore per l’imputato.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato e, perciò, deve essere dichiarato inammissibile.
1. Le censure mosse alla sentenza impugnata non colgono nel segno. E’ di tutta evidenza, infatti, che, con il riferirsi alla non trascurabile capacità a delinquere connotante il comportamento dell’imputato, quale condizione ostativa all’applicabilità nei suoi confronti della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudice di appello abbia inteso evocare non la capacità a delinquere, quale manifestazione della personalità dell’imputato medesimo, desumibile dagli elementi di cui all’art. 133, comma 2, c.p., ma gli indici di particolare tenuità del fatto indicati dall’art. 131-bis, comma 1, c.p. valutati ai sensi dell’art. 133, comma 1, c.p.: segnatamente le modalità dell’azione e l’intensità del dolo. E della sussistenza di tali tratti qualificanti della condotta la corte territoriale ha, in effetti, dato atto nel passaggio motivazionale in cui ha sottolineato come il peculiare modus agendi dell’imputato – esplicitatosi nella formazione di due falsi bollettini di versamento su conto corrente postale, attestanti l’avvenuto pagamento del canone Rai per l’anno 2009 (pari ad Euro 107,5) e della sanzione per il ritardato versamento (pari ad Euro 8,45), e nel farne uso inviandoli alla competente Agenzia delle Entrate, allo scopo, altresì, di commettere il delitto di truffa ai danni della RAI – sia stato sintomatico della significativa decettività della sua condotta, come tale idonea ed intenzionalmente diretta ad arrecare offesa non solo al bene giuridico della fede pubblica ma anche a quello del patrimonio dell’ente cui il tributo evaso sarebbe stato destinato.
2. Tuttavia, anche a volere assegnare al riferimento alla capacità a delinquere compiuto dal giudice di secondo grado la valenza semantica attribuitale dalla difesa dell’imputato, la decisione impugnata va, comunque, confermata, sia pure sulla base di un diverso principio di diritto che, ai sensi dell’art. 619, comma 1, c.p.p. compete a questa Corte affermare.
Poiché, infatti, all’imputato è contestato il delitto continuato di contraffazione di due atti fidefacenti, la questio iuris che occorre ex officio affrontare è relativa alla possibilità di estendere l’applicazione della disposizione di cui all’art. 131-bis, comma 3, c.p., che nega la possibilità di riconoscere la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto in favore di chi abbia commesso più reati della stessa indole, anche nell’ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, al caso di reati della stessa indole presi in considerazione nell’ambito del medesimo procedimento penale perché avvinti dal vincolo della continuazione. A tale quesito, invero, la giurisprudenza di legittimità ha sinora fornito soluzione favorevole, affermando il principio di diritto – cui il Collegio ritiene di prestare adesione – per il quale la esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, configurando anche il reato continuato una ipotesi di “comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio, non individuandosi, nel testo della disposizione di cui all’art. 131-bis, comma 3, c.p. alcun indizio che consenta di ritenere che l’indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria dei reati della stessa indole (Sez. 3, n. 43816 del 01/07/2015 – dep. 30/10/2015, A., Rv. 26508401; Sez. 3, n. 29897 del 28/05/2015 – dep. 13/07/2015, G., Rv. 26403401). Una tale lettura si appalesa, oltretutto, in linea con il principio di non meritevolezza di pena per un fatto oggettivamente tenue che innerva l’istituto di cui all’art. 131-bis c.p., poiché risponde alla logica indicata che il soggetto che abbia violato più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio puniendi non possa avvantaggiarsi della menzionata causa di non punibilità, atteso che, in tale evenienza, è la stessa norma a considerare il “fatto”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola, connotato, nella sua dimensione “plurima”, da una gravità tale da non potere essere considerato di particolare tenuità (Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016 Ud. (dep. 28/06/2016) Rv. 267262, G.).
Applicando tale principio alla fattispecie in esame, non può, dunque, che rilevarsi l’impossibilità di riconoscere al D. M. la causa di non punibilità di cui si discute, essendosi egli reso responsabile, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, di due reati della stessa indole, in quanto lesivi del medesimo bene giuridico, vale a dire quello della fede pubblica.
3. Le ragioni sin qui utilizzate si rivelano assorbenti anche rispetto alle eccepite contraddittorietà e lacunosità che vizierebbero la motivazione provvedimento impugnato, essendosi evidenziata la completezza del percorso giustificativo della decisione del giudice di merito, che, in sintonia con il dettato della disposizione invocata dal ricorrente, ha compiuto una valutazione complessiva in fatto degli indici di particolare tenuità dell’offesa e di non abitualità del comportamento, giungendo, in maniera logicamente condivisibile, ad una valutazione negativa in ordine all’applicabilità all’imputato della causa di non punibilità ex art. 131-bis. c.p.. Né è tale da compromettere la razionalità dell’impianto argomentativo della decisione censurata l’essersi la corte di appello discostata dalla valutazione di tenuità della condotta operata dal tribunale, che aveva contenuto la pena irrogata al di sotto del limite edittale, dal momento che tale scelta non può considerarsi indice di particolare tenuità del fatto secondo i criteri indicati dall’art. 131-bis c.p., bensì solo della ritenuta non particolare gravità del medesimo secondo i parametri della dosimetria della pena.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di Euro 2000.00 alla Cassa delle ammende
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