Suprema Corte di Cassazione
sezione tributaria
sentenza 9 luglio 2014, n. 15633
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere
Dott. GRECO Antonio – Consigliere
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), rappr. e dif. dall’avv. (OMISSIS), elett. dom. in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t, rappr. e dif. dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– costituita ai fini del’udienza di discussione –
per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Reg. di Napoli 20.1.2006;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 9 aprile 2014 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro.
IL PROCESSO
(OMISSIS) impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Napoli 20.1.2006 che, pur in riforma parziale della sentenza C.T.P. di Napoli n. 82/40/2005, ebbe ad accogliere solo in parte l’appello del contribuente, cosi’ riducendone alla minor somma di euro 25.574 il reddito gia’ rideterminato induttivamente per l’anno 1999 dall’Ufficio a seguito di accesso mirato e controllo documentale, con sottoposizione dei risultati a confronto con tabelle ministeriali per il settore.
L’originario avviso di accertamento, notificato nel 2002, riguardava un reddito maggiore di quello dichiarato (per lire 22 milioni circa), in ragione dei ricavi, rivisti ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, ed in lire 195 milioni circa contro quelli esposti (per lire 118 milioni circa), cosi’ emergendo un accertamento induttivo in lire 99 milioni circa del reddito d’impresa. Osservava l’Ufficio che vi era un’anomala percentuale di ricarico sul costo del venduto e dei prodotti della somministrazione, relativi all’attivita’ di bar, caffe’ e pasticceria condotta dal contribuente.
La C.T.R., esaminando lo scostamento tra i ricavi dichiarati dal contribuente ed il ricarico medio del settore, ha rilevato che il metodo di rideterminazione utilizzato dall’Ufficio (calcolo dei ricavi del caffe’ frazionando i grammi necessari per ciascuna tazzina sul totale dei chili acquistati e riaumento del 100% per la somministrazione degli altri beni) pecca di eccessivita’ nel fondamento presuntivo: quanto ai caffe’, e’ stata condivisa l’alternativa spiegazione di una vendita diretta al pubblico dei sacchi stessi piuttosto che di un loro integrale impiego per il servizio di tazzina; quanto agli altri beni, la loro estrema varieta’ – dalle caramelle ai giornali – imponeva una differenziazione. Ne deriva che la rideterminazione del reddito, quale operata dall’Ufficio, opera su basi di presunzione solo relativa ed il giudice tributario, entrando nel merito dell’accertamento e cogliendone i limiti, ha ritenuto ragionevole diminuire, nella specie, la percentuale di ricarico e ricorrere al sistema della media ponderale, piuttosto che a quello della media semplice, cosi’ pervenendo alla misura indicata.
Il ricorso e’ affidato a cinque motivi. Agenzia delle Entrate si e’ costituita ai fini della partecipazione all’udienza.
Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione di legge con riguardo alla Legge n. 241 del 1990, articolo 3, Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, Legge n. 212 del 2000, articolo 7, Decreto Legislativo n. 32 del 2001, articolo 1, essendo l’accertamento mancante degli elementi connotativi necessari dell’atto amministrativo, tra cui la motivazione, nemmeno rintracciabile negli elementi di supporto, inclusa la mancanza dei pretesi parametri e tabelle.
Con il terzo motivo, si deduce la violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, con riguardo alle regole procedurali di cui all’articolo 112 c.p.c., Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 18, comma 2, lettera e), e articolo 53, e omessa pronuncia su motivi rilevati, avendo la C.T.R. evitato di pronunciarsi sul vizio eccepito di difetto di allegazione dei supporti a sostegno del contestato scostamento nei ricavi.
Con il quarto motivo, si deduce la nullita’ del procedimento e della sentenza per ultrapetizione ovvero extrapetizione, nonche’ violazione delle disposizioni di cui all’articolo 112 c.p.c., Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 18, comma 2, lettera e), e comma 4, articolo 53, articolo 56, non avendo la C.T.R. dato adeguato conto della non contestata regolarita’ delle scritture contabili ed invece avendo assunto, con propria decisione non sollecitata dall’Ufficio, un valore ponderato sulla base di una media del settore non esplicita.
Con il quinto motivo, si solleva vizio di motivazione, non avendo la sentenza evidenziato il percorso logico che ha condotto alla decisione e pero’ arrivando ad affermare ricavi presunti, e dunque redditi non dichiarati, nonostante l’attendibilita’ delle scritture e la previa affermazione dell’insussistenza di fondamento dell’accertamento induttivo.
1. I primi due motivi ed il quinto, da trattare congiuntamente perche’ connessi, sono fondati. Risulta non contestato che la stessa C.T.R. ha ammesso che la rettifica dell’Ufficio ha tratto luogo in via esclusiva dalla considerazione dello scostamento fra i ricavi esposti e quelli presunti, sulla base di una media di settore inapplicabile e tuttavia sostituita con altra ponderale, peraltro non oggetto di puntuale enunciazione nei suoi elementi di riferimento. Nella specie, e’ dunque mancato innanzitutto, con riguardo all’atto di accertamento alfine condiviso e sia pure in parte, l’ossequio al principio, che qui si ribadisce, per cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico extracontabile e quello condotto con metodo induttivo sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilita’ dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsita’ od inesattezza” degli elementi indicati non e’ tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, essendo legittimato l’Ufficio accertatore solo a completare le lacune riscontrate, utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’articolo 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare l’attendibilita’ – e dunque l’utilizzabilita’, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che l’amministrazione finanziaria puo’ “prescindere in tutto o in parte dalle risultante del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti ed e’ legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziali, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex articoli 2727 e 2729 c.c., (Cass. 17952/2013). A propria volta la motivazione dell’atto di accertamento non puo’ esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, solo cosi’ emergendo la gravita’, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilita’ di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente (Cass. 27822/2013). Tale principio, per la necessita’ della precisione e puntualita’ degli elementi di riferimento, puo’ fungere da criterio guida anche oltre la fattispecie decisa, ogni qual volta la motivazione assuma serie di dati comparativi esterni su cui misurare l’inattendibilita’ del dato della singola posizione del contribuente.
2. Nella vicenda, infatti, risulta acclarato che lo scostamento venne imputato – nell’avviso di accertamento – avendo riguardo espresso a parametri di cui e’ stata pero’ contestata la stessa allegazione all’atto di accertamento, circostanza che, oltre ad alterare la delineazione ordinata del contraddittorio, nemmeno permette di verificare i termini dello scostamento tra il reddito dichiarato e quello presunto, valendo altresi’ il principio per cui, in tema di accertamento induttivo, quale va riconosciuto essere stato espletato dall’Ufficio, nell’ipotesi in cui risulti una contabilita’ regolarmente tenuta (come implicitamente ravvisato dalla stessa C.T.R. ove accoglie il motivo d’appello, a pag. 4 della sentenza), l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa puo’ essere affidato alla considerazione della difformita’ della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, soltanto quando raggiunga livelli di abnormita’ ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilita’ (Cass. 20201/2010). Sul punto, anche la motivazione della pronuncia censurata e’ del tutto assente, non risultando dalla stessa quale fosse la media ponderale del settore ovvero, anche per territorio e omologa collocazione sociogeografica, il parametro di riferimento tipologico di raffronto. Il terzo motivo e’ conseguentemente assorbito.
3. E’ invece infondato il quarto motivo, valendo in materia il principio per cui il processo tributario non e’ diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’ufficio: ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), e’ tenuto ad esaminare nel merito – come correttamente, sul punto, svolto nel presente giudizio, ancorche’ con esito non condivisibile – la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. 26157/2013).
Conclusivamente, rilevata la fondatezza dei motivi 1, 2 e 5, l’assorbimento del motivo 3 ed il non fondamento del motivo 4, va cassata la pronuncia impugnata, con rinvio al giudice di merito come da dispositivo e altresi’ per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.
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