iva

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 5 settembre 2014, n. 18757

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCININNI Carlo – Presidente
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7346/2011 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI BENEVENTO;
– intimata –
avverso la sentenza n. 10/2010 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositata il 25/01/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/06/2014 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza 10/51/10 del 25.01.2010 con la quale la CTR Campania, confermando la sentenza di primo grado che aveva respinto in parte qua il ricorso proposto dal contribuente sul presupposto che la relativa dichiarazione era stata emendata oltre i termini consentiti (il 16.5.2008), ha ritenuto legittima la cartella di pagamento notificatagli in conseguenza dell’omesso versamento dell’IVA dovuta per l’anno 2004.
La CTR ha motivato il proprio deliberato di rigetto del gravame osservando, sul preliminare rilievo dell’alternativita’ offerta nella specie dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, tra l’effettuare il versamento dell’imposta al momento di eseguire la prestazione o al momento di conseguirne il corrispettivo, che “l’avere inserito nella dichiarazione originariamente prodotta anche l’IVA non ancora incassata … non puo’ essere un errore bensi’ il libero esercizio di una facolta’ fissata dal legislatore che pertanto non puo’ essere revocata attraverso una dichiarazione integrativa” e che “pertanto la relativa IVA dichiarata e non versata risulta correttamente iscritta a ruolo con le relative sanzioni ed interessi”.
Il ricorso e’ affidato a due motivi.
Non ha svolto attivita’ difensiva la parte pubblica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo di gravame il (OMISSIS) lamenta la violazione dell’articolo 112 c.p.c., atteso che la CTR nel rigettarne l’appello “si e’ pronunciata oltre i limiti dei fatti dedotti in giudizio, non essendo mai stata prospettata dall’ufficio la circostanza relativa all’IVA ad esigibilita’ differita e alla possibilita’ prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6”, in tal modo violando il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato perche’ la decisione risulta fondata “su un dato fattuale mai dedotto in giudizio dalle parti e sul quale non si era mai instaurato il contraddittorio”.
2.2. Il motivo e’ infondato.
Questa Corte ha reiteratamente affermato che “in materia di procedimento civile, sussiste vizio di “ultra” o “extra” petizione ex articolo 112 cod. proc. civ., quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Tale principio va peraltro posto in immediata correlazione con il principio “iura novit curia” di cui all’articolo 113 cod. proc. civ., comma 1, rimanendo pertanto sempre salva la possibilita’ per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonche’ all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti” (12943/12; 25140/10; 14468/09).
Nel richiamare l’argomento del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, comma 4, secondo periodo (“… l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi, salva la facolta’ di applicare le disposizioni del primo periodo”) la CTR non ha affatto alterato i termini originali della domanda, che dal punto di vista sostanziale era e resta quella consacrata nell’atto impositivo adottato dal fisco, ma ha piu’ rettamente fatto uso del potere di ricondurre la fattispecie nell’alveo previsionale piu’ appropriato, “ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame” e sviluppando il ragionamento giuridico intorno ad essa in modo libero, ma sempre nel rispetto dei fatti sostanziali dedotti da ciascuna parte. Non sussiste percio’ la lamentata violazione essendosi la CTR esattamente attenuto a questi principi.
3.1. Il secondo motivo censura l’impugnata sentenza per quanto da essa osservato in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6 e ne chiede la cassazione in quanto, contrariamente al pensiero della CTR il contribuente “non si era avvalso di alcuna facolta’, ma era semplicemente incorso nell’errore di aver riportato in dichiarazione un debito IVA che, in realta’, doveva essere registrato in sospensione di imposta”.
3.2. Il motivo e’ infondato.
Com’e’ noto la dichiarazione dei redditi del contribuente e’ in linea di principio emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e piu’ gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Cio’ in quanto la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria (S.U. 15063/02). Com’e’ stato tuttavia precisato, il principio valido in linea generale non lo e’ peraltro in senso assoluto, dal momento che esso non consente la riformulazione ex novo della dichiarazione, non attribuisce al contribuente un potere illimitato di modificare e financo di revocare e sostituire la precedente dichiarazione. Esso deve piu’ correttamente circoscriversi alla indicazione di quei dati, relativi alla quantificazione delle poste reddituali positive o negative, che integrino errori tipicamente materiali (ad es. errori di calcolo od anche errata liquidazione degli importi), ovvero anche formali (concernenti la esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta) (7294/14).
Il potere di emenda, implicitamente sotteso alla natura di dichiarazione di scienza dell’atto, si esprime percio’ in un campo i cui confini risultano, per oggettive esigenze di salvaguardia del gettito, necessariamente circoscritti. Questo porta a ritenere che l’emendabilita’ della dichiarazione sia consentita nei limiti in cui ne sia apprezzabile la coerenza rispetto alla sua qualificazione iniziale ovverosia laddove l’esercizio del potere di modificare il risultato della dichiarazione non esorbiti dall’essere essa un’esternazione di pensiero priva di efficacia volitiva. E’ stato cosi’ affermato che sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno quando il legislatore subordina per esempio la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volonta’ del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’erario, “la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione” (1427/13). Rimane, in particolare, estranea all’area dell’emendabilita’ la fattispecie in cui il contribuente, con la stessa dichiarazione, viene ad esercitare una facolta’ di opzione riconosciutagli dalla norma tributaria. “Tale opzione” – si e’ detto – “integra esercizio di un potere discrezionale di scelta nell'”an” e nel “quando” riconducibile ad una tipica manifestazione di autonomia negoziale del soggetto che e’ diretta ad incidere sulla obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento alla imposta” (7294/14).
Questo giudizio, espresso in relazione all’ipotesi a suo tempo disciplinata dall’articolo 102 T.U.I.R., che attribuiva al contribuente il potere di scegliere liberamente di portare in diminuzione dal reddito dichiarato le perdite (maturate nel precedente quinquennio) oppure di riportare nelle dichiarazioni relative ai successivi anni di imposta le perdite (verificatesi non anteriormente al quadriennio) non utilizzate per la compensazione, e’ puntualmente replicabile anche in relazione all’ipotesi in disamina, dovendo invero giudicarsi immune da errori il ragionamento della CTR che ha qualificato come “libero esercizio di una facolta’” la scelta esercitata dall’impugnante tra il regime di esigibilita’ immediata dell’imposta e quello di esigibilita’ differita. In tale scelta si estrinseca infatti propriamente la manifestazione di una determinazione volitiva a carattere negoziale, che vincola il dichiarante e che come tale non si presta a costituire materia di successivo ripensamento a cui si possa pervenire per mezzo dell’ordinario potere di emenda delle dichiarazioni di scienza. E dunque, allorche’ il contribuente l’abbia effettuata, ogni sua successiva modificazione risulta preclusa.
4. Il ricorso va dunque respinto. Nulla per le spese non avendo la controparte svolto alcuna attivita’.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONERespinge il ricorso.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *