Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 23 dicembre 2014, n. 27323

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCININNI Carlo – Presidente
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8012-2009 proposto da:

(OMISSIS) coniuge dichiarante, (OMISSIS) coniuge dichiarante, (OMISSIS) SNC IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore, (OMISSIS) in proprio e quale socio, (OMISSIS) in proprio e quale socio e legale …. rappresentante, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3/2008 della COMM.TRIB.REG. di TRIESTE, depositata il 13/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2014 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.A seguito di p.v.c. della G. di F. di Codroipo, che aveva evidenziato, tra l’altro, il coinvolgimento della societa’ e delle parti in un fitto giro di operazioni inesistenti, alla (OMISSIS) s.n.c. in liquidazione, nonche’ ai soci della medesima e ai loro coniugi erano notificati distinti avvisi di accertamento a mezzo dei quali l’ufficio procedente, facendo propri i rilievi emergenti dal citato p.v.c., rideterminava ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d), il reddito di impresa ed i redditi da partecipazione dei soci e rettificava ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54 le dichiarazioni IVA, liquidando imposte interessi e sanzioni.
La sentenza di primo grado, che aveva parzialmente accolto i ricorsi riuniti delle parti, rideterminando il quantum della pretesa, ma respingendo le doglianze in punto di accertamento parziale, di accertamento integrativo, di fondatezza nel merito dei rilievi, di responsabilita’ solidale dei coniugi, di sanzioni e, da ultimo, di violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, era appellata dalle parti avanti alla CTR Friuli-Venezia Giulia che respingeva il gravame con la sentenza qui impugnata. Osservavano nell’occasione i giudici di appello a conforto del proprio deliberato, quanto alla contestazione relativa all’accertamento parziale, che la tesi degli appellanti, dell’avviso che nella specie non ricorressero i presupposti giuridici per farvi luogo, “risulta essere irragionevolmente restrittiva delle facolta’ attribuite all’Agenzia delle Entrate”, che ha l’onere di valutare le segnalazioni in suo possesso con la riconosciuta discrezionalita’ tecnica al fine di adottarle o meno e in tutto o in parte”; quanto alla contestazione relativa all’accertamento integrativo, che “il recupero delle deduzioni Ilor, ritenuto come avviso integrativo, “risulta piu’ propriamente essere necessaria conseguenza del difetto dei presupposti per la deduzione stessa”; quanto al merito dei rilievi e, segnatamente, quanto al fatto che l’esposizione verso le banche era stata ricoperta con versamenti in contanti o similari dei soci, assunti a prova di ricavi presunti, che gli appellanti nulla riferiscono “in ordine alla fonte della disponibilita’ di dette risorse finanziarie in mano ai soci stessi, affinche’ esse non potessero essere ritenute corrispondenti a ricavi presunti e occultati”; quanto alla responsabilita’ solidale dei coniugi e alle sanzioni, che “non possono che confermarsi le conclusioni e motivazioni dell’appellata sentenza”; e quanto infine alla pretesa violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, che “agli atti non risulta provata la richiesta di copia della documentazione sequestrata” e che lo stesso p.v.c. … non sia stato rilasciato in copia alla ricorrente”.
La cassazione di detta sentenza e’ ora chiesta dalle parti in forza di nove motivi di ricorso, illustrati pure con memoria ex articolo 378 c.p.c..
Resiste con controricorso la parte pubblica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Va preliminarmente dichiarata “ex officio” l’inammissibilita’ del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva della parte resistente, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di secondo grado svoltosi avanti al giudice di appello. Invero in tutti i casi in cui l’appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale sia stato proposto soltanto da o – come nel caso di specie – contro l’ufficio periferico dell’Agenzia delle Entrate (succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze, nel corso del giudizio di secondo grado ai sensi del Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300, articolo 57 con effetto dal 1 gennaio 2001 ai sensi del Decreto Ministeriale 28 dicembre 2000, articolo 1), deve ritenersi verificata, sia pure per implicito, l’estromissione del dante causa Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la conseguenza che l’unico soggetto legittimato a resistere al ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale e’ l’Agenzia delle Entrate; per cui il ricorso proposto nei confronti del Ministero deve essere dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione passiva (S.U. 3116/06).
3.1. Nel merito con il primo motivo di ricorso, svolto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 53 Cost., Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 1 e Legge n. 114 del 1977, articolo 17 nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto legittima l’estensione della responsabilita’ solidale del coniuge dichiarante in ordine alle maggiori imposte accertate, quantunque “la responsabilita’ solidale tra coniugi prevista dalla legge sussista limitatamente alle imposte dovute in base alla dichiarazione presentata congiuntamente e non possa essere estesa anche alla maggiore imposta risultante dagli accertamenti successivi emessi nei confronti del dichiarante”.
3.2. Il motivo e’ infondato.
La Legge n. 114 del 1977, articolo 17, in allora vigente, prevede testualmente, al comma 4 che “gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi … ” e al comma quinto, che “i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito”. In margine a queste disposizioni la Corte ha potuto piu’ volte affermare che “la responsabilita’ solidale dei coniugi che abbiano presentato dichiarazione congiunta dei redditi “per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito”, prevista dalla Legge 13 aprile 1977, n. 114, articolo 17, u.c., vale anche per gli accertamenti dipendenti da comportamenti non riconducibili alla sfera volitiva e cognitiva di entrambi, in quanto conseguenti ad atti di accertamento in rettifica condotti esclusivamente nei confronti di uno solo di essi” (19029/14; 3129/14; 9209/11). Ed invero, come si e’ pure piu’ volte precisato, “la dichiarazione dei redditi congiunta, consentita a coniugi non separati, costituisce una facolta’ che, una volta esercitata per libera scelta degli interessati, produce tutte le conseguenze, vantaggiose ed eventualmente svantaggiose, che derivano dalla legge e che ne connotano il peculiare regime” (17160/14) e, con la volontaria, libera scelta di presentare la dichiarazione congiunta, i coniugi dichiaranti hanno accettato “anche i rischi inerenti alla disciplina propria dell’istituto” (19029/14).
4.1. Violazione e/o falsa applicazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600, articolo 43, u.c., nonche’, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza per omessa pronuncia sul punto, si denuncia con il secondo motivo di ricorso, in quanto nella specie, in relazione alla posizione dei coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS), raggiunti da accertamento integrativo, sarebbe stato consentito all’ufficio la notificazione di accertamenti integrativi “in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” che “nell’avviso devono essere specificatamente indicati a pena di nullita’”, risultando invece la motivazione dell’avviso in parola “assolutamente carente sotto questo profilo”.
4.2. Il motivo e’ doppiamente inammissibile.
Va innanzi tutto rilevata la novita’ della questione, atteso che ne’ in primo grado ne’ in appello la censura aveva riguardato la posizione dei coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS), perche’ e’ vero che dai ricorrenti si era eccepito la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 43, u.c., per inosservanza dell’obbligo di indicazione specifica dei nuovi elementi di cognizione che consentono l’emissione dell’avviso integrativo, ma lo si era fatto con riferimento alla posizione del solo (OMISSIS) e peraltro limitatamente al debito ILOR del medesimo. E, dunque, la sua introduzione per la prima volta in questa sede urta contro il consolidato principio affermato dalla Corte secondo cui “non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimita’ le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito, ne’ rilevabili di ufficio” (16381/14; 27302/13; 19164/07), posto che il giudizio di cassazione “ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarita’ formale del processo ed alle questioni di diritto proposte” (20100/14; 19784/14; 4087/12).
Rileva poi doppiamente il difetto di autosufficienza del ricorso. In una prima direzione, perche’ il ricorrente, proprio in ragione del resto della novita’ della questione, ha omesso di indicare dove e quando essa sia stata prospettata nel corso dei pregressi gradi di giudizio, laddove al contrario e’ suo onere precipuo “di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione” (SS.UU. 2399/14; 6230/14; 5679/14). In una seconda direzione, perche’ e’ omessa la trascrizione ovvero la riproduzione dell’atto impositivo oggetto di doglianza e, piu’ esattamente, della parte di esso che si appella all’articolo 43 cit., u.c. di modo che esso possa qualificarsi ex tabula quale avviso integrativo e se ne possa cosi’ riscontrare la difformita’ rispetto al modello legale. Del resto, la censura e’ frutto non gia’ di un oggettivo riscontro cartolare, ma di una mera supposizione della parte che, ragionando sulla mera circostanza che l’ufficio avesse proceduto a notificare l’atto “ad integrazione dell’accertamento citato”, e’ indotto a concludere che nella specie si tratta “evidentemente” di un accertamento integrativo ex articolo 43 cit..
5.1. Il terzo motivo di ricorso imputa all’impugnata sentenza violazione e/o falsa applicazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 41-bis, e/o del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, nonche’ vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5; per aver adottato “una motivazione assolutamente inidonea a suffragare il decisum”, in quanto contrariamente all’assunto fatto proprio dalla CTR, l’accertamento parziale risulta praticabile “esclusivamente nei casi in cui l’atto emanando si fondi sull’attivita’ istruttoria compiuta da altri soggetti rispetto all’ufficio procedente”, sicche’, se l’ufficio per la completezza degli atti a sua disposizione abbia “consumato i propri poteri”, “operare Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 41-bis, (ovvero Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 54) … costituisce una contraddizione in termini ed una manifesta violazione di legge”.
5.1. Il motivo e’ infondato sia come errore di diritto che come preteso vizio di motivazione.
Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 41-bis, comma 1, prevedeva, per quel che qui rileva, nel testo vigente ratione temporis – ma non mutato nel tempo – che “senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’articolo 43, gli uffici delle imposte, qualora, dalle segnalazioni effettuate dal Centro informativo delle imposte dirette, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in societa’, associazioni ed imprese di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 5 o l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili”. A sua volta disposizione analoga era recata – ed e’ recata tutt’ora – quanto all’IVA, dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, comma 5.
Gia’ il tenore letterale di entrambe queste disposizioni non giustifica l’interpretazione restrittiva propalata dalla parte, e non solo perche’ non vi e’ in essa alcun appiglio testuale che lasci intendere che l’amministrazione non possa emettere un avviso parziale, allorche’ disponga di elementi tali da consentire di procedere uno actu ad un accertamento unitario e globale della posizione del contribuente. Ne’ in questa direzione e’ influente la circostanza che l’amministrazione possa procedere con un accertamento parziale solo se la segnalazione provenga da un soggetto ad essa estraneo, vero che le segnalazioni, oltre che dalla Guardia di Finanza, o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici, possono essere attinte anche da fonti interne dell’amministrazione come per esempio per dati estrapolati dell’Anagrafe tributaria. Decisiva e’ piuttosto in senso opposto la ratio sottesa all’accertamento parziale, che e’ strumento diretto a perseguire finalita’ di sollecita emersione della materia imponibile laddove le attivita’ istruttorie – e non solo, perche’ il ricorso all’accertamento parziale e’ esperibile anche quando l’infedelta’ dichiarativa emerga direttamente dalla dichiarazione (6574/08) – diano contezza della sussistenza a qualsiasi titolo di attendibili posiziona debitorie e non richiedano percio’, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di un ufficio valutativo ulteriore rispetto a quello che si risolve nel recepire e fare proprio il contenuto della segnalazione. Questo porta anche a sottolineare, nel confronto con gli altri strumenti accertativi di cui dispone l’amministrazione, che, rispetto all’accertamento che ha luogo nelle forme ordinarie,, sia esso analitico o induttivo, l’accertamento parziale, pur potendo fare perno sulle medesime acquisizioni istruttorie che sono talora alla radice del primo, risulta tuttavia qualitativamente diverso, poiche’ esso si vale, come si e’ affermato (13799/14), di una sorta di “automatismo argomentativo” indotto da quelle fonti di conoscenza, in guisa del quale il confezionamento dell’atto risulta possibile sulla base della sola segnalazione, senza che si renda necessario percio’ dar corso ad ulteriori attivita’ di approfondimento che sono appannaggio di regola degli accertamenti piu’ complessi. Da qui la Corte ha tratto la convinzione, a cui il collegio crede di dover dare continuita’, che l’accertamento parziale possa basarsi anche su una verifica generale, in quanto “la segnalazione costituisce solo l’atto di comunicazione che consente l’accertamento, distinto dall’attivita’ istruttoria, anche se di modestissima entita’, da esso necessariamente presupposta” (25486/13; 12819/10; 2761/09) e che esso possa percio’ essere legittimamente adottato, come appunto avvenuto qui, anche su iniziativa propria dell’ufficio titolare del potere di accertamento totale (12577/10).
Parimenti insussistente e’ il vizio di motivazione pure denunciato sotto il medesimo profilo, posto che la CTR, osservando previamente che “la tesi dell’appellante societa’ risulta essere irragionevolmente restrittiva”, quindi puntualmente sottolineando che “l’accertamento parziale … possa avvenire a seguito di segnalazioni … che l’ufficio ha l’onere di valutare con la riconosciuta discrezionalita’ tecnica al fine di adottarle o meno e in tutto o in parte” e pervenendo percio’ alla conclusione che l’utilizzo della potesta’ di accertamento “che, una volta consumata non possa essere riproposta, riguarda l’accertamento totale e non l’accertamento parziale”, ha rettamente e compiutamente adempiuto l’obbligo motivazionale su di se’ incombente, senza incorrere in omissioni e tanto meno senza evidenziare carenze argomentative di sorta nell’esposizione del ragionamento decisorio.
6.1. Con il quarto motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si allegano rispettivamente violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 43, u.c., e nullita’ della sentenza per omessa pronuncia sul punto, in quanto nella specie, ancorche’ fosse stata adottata la forma dell’accertamento parziale, il recupero delle deduzioni Ilor relative al socio (OMISSIS) era avvenuto con un avviso integrativo la cui motivazione, circa i presupposti che in base all’articolo 43 citato ne consentono l’adozione, “e’ assolutamente carente sotto questo profilo con conseguente nullita’ dell’atto impugnato”.
6.2. Il motivo, nella duplice articolazione impressagli dai ricorrenti, e’ inammissibile per difetto di autosufficienza quanto al lamentato errore di diritto, mentre e’ infondato quanto alla nullita’ procedimentale..
E’ invero stabile insegnamento di legittimita’ che “nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’articolo 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruita’ del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento e’ necessario, a pena di inammissibilita’, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensi’ amministrativo, la cui legittimita’ e’ necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento” (21776/14; 20701/14; 9536/13). Non avendo parte ricorrente assolto integralmente l’onere su di essa incombente al riguardo, trascrivendo o riproducendo il contenuto dell’atto la cui motivazione e’ oggetto di censura, il ricorso non soddisfa il requisito anzidetto e si espone percio’ ad inevitabile inammissibilita’. Ne’ sussiste come anticipato il vizio di omessa pronuncia, poiche’ la relativa eccezione e’ stata tutt’altro che negletta dalla CTR che l’ha invero respinta, osservando che “il recupero delle deduzioni Ilor ritenuto come avviso integrativo risulta piu’ propriamente essere necessaria conseguenza del difetto dei presupposti per la deduzione stessa”.
7.1. “Nullita’ della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di legge” ex “articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 2” in relazione all’articolo 115 c.p.c. e articolo 2697 c.c., nonche’ vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che sul punto dalla CTR “non una parola viene spesa al fine di confermare la legittimita’, correttezza e fondatezza dell’operato dell’ufficio”, sono materia del quinto motivo di ricorso, con cui i ricorrenti si dolgono che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, “agli atti non c’e’ nulla, nulla che possa suffragare la bonta’ dell’operato dell’ufficio, nulla atto a dimostrare la pretesa tributaria che i giudici di secondo grado hanno considerato ex se fondata, in palese dispregio dei piu’ elementari principi di diritto e delle specifiche norme consacrate nell’articolo 115 c.p.c. e articolo 2697 c.c.”.
7.2. Il motivo e’ in parte inammissibile, allorche’ si lamenta, pur se con erronea intestazione della rubrica, un errore di diritto sotto forma della violazione dell’articolo 115 c.p.c. e articolo 2697 c.c., e in parte infondato, laddove si imputa alla sentenza un difetto di motivazione. Esso e’ invero inammissibile sotto il primo profilo, poiche’ come questa Corte ha piu’ volte affermato, ove il ragionamento presuntivo si riveli rispettoso dello schema procedimentale, secondo cui il giudice e’ tenuto ad operare dapprima una selezione degli elementi indiziari, scartando quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservando quelli che presentino una positivita’ parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria e, quindi, una doverosa valutazione complessiva della loro concordanza onde trarre la prova del fatto ignoto (19894/05) – del che per la verita’ i ricorrenti non fanno mostra di dubitare, come si evince dall’indicazione dei parametri asseritamente violati da essi richiamati -, esso si presta, in sede di legittimita’, al solo controllo di logicita’ sotto il profilo del vizio di motivazione (9108/12; 19321/11; 8023/09), di tal che la deduzione riguardo ad esso di un errore di diritto postula la rinnovazione di un giudizio di fatto, di un apprezzamento ex novo degli elementi fattuali che compete esclusivamente al giudice di merito e che non puo’ percio’ avere luogo in questa sede.
E’ invece infondato sotto il secondo profilo, poiche’ laddove la CTR, enunciando partitamente le irregolarita’ riscontrate nella specie, rileva che le argomentazioni difensive rappresentate dall’appellante societa’, quando conferma la sussistenza nel proprio operato di taluni fatti certamente segnaletici in negativo … implicitamente riconoscono in capo all’ufficio un potere-dovere di accertamento su basi presuntive di cui risultano evidenti i presupposti di gravita’, precisione e concordanza che riconducono a carico della parte contribuente l’onere di provare il contrario”, mostra di assolvere compiutamente e senza omissioni o lacune argomentative l’obbligo motivazionale a cui era chiamata nella specie.
8.1. Con il sesto motivo di ricorso la censura ricorrente evidenzia per gli effetti dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di motivazione, avendo la CTR respinto la doglianza in punto di violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, con una motivazione “palesemente insufficiente, incongrua, assurda”, e cio’ malgrado la stessa CTR, a indiretta conferma della doglianza, “avesse rilevato l’unilateralita’ delle conclusioni raggiunte dal c.t.u.” e “avesse imposto allo stesso c.t.u. il deposito degli atti utilizzati”.
Parimenti con il nono motivo, che qui si esamina anticipatamente per economia di esposizione, si censura l’impugnata decisione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver posto “con motivazione palesemente contraddittoria” a carico dei ricorrenti le spese di c.t.u., pur ritenendo che le doglianze dell’appellante sull’operato del c.t.u. non fossero prive di fondamento.
8.2. Entrambi i motivi sono inammissibili per difetto del momento di sintesi.
E’ ben noto, previamente ricordato che la specie soggiace ratione temporis al vigore dell’articolo 366-bis c.p.c., che secondo lo stabile insegnamento della Corte “anche nel caso previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione, sintetica ed autonoma, del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’” (S.U. 20603/07; 2602/14; 2711/14) e che consenta l’immediata “rilevabilita’ del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente”. (12480/14; 28545/13; 5858/13).
Nella specie i motivi in rassegna non sono accompagnati pure dalla formulazione del momento di sintesi che e’ qui totalmente omessa per gli effetti di inammissibilita’ appunto decretati dall’articolo 366-bis c.p.c..
9.1. Violazione e/o falsa applicazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli articoli 24 e 111 Cost., nonche’ vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deducono con il settimo motivo di ricorso, lamentando che “nei confronti delle sig.re (OMISSIS) e (OMISSIS) mere coniugi dei dichiaranti non soci della societa’ accertata” la violazione denunciata con il sesto motivo di ricorso “si presenta viepiu’ odiosa”, non essendo state costoro poste, in ragione della loro estraneita’ alla societa’, nella condizione di visionare la documentazione posta a fondamento degli atti impositivi.
9.2. Il motivo e’ infondato.
Come gia’ si e’ osservato nella disamina del primo motivo di ricorso quanto e’ oggetto della doglianza attorea e’ diretta conseguenza del dettato di legge (la Legge n. 114 del 1977, articolo 17, in allora vigente, che, si ricorda, prevede testualmente al comma 4 che “gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi …” e al comma 5, che “i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito”) e come si e’ gia’ ricordato “la dichiarazione dei redditi congiunta, consentita a coniugi non separati, costituisce una facolta’ che, una volta esercitata per libera scelta degli interessati, produce tutte le conseguenze, vantaggiose ed eventualmente svantaggiose, che derivano dalla legge e che ne connotano il peculiare regime” (17160/14) e, con la volontaria, libera scelta di presentare la dichiarazione congiunta, i coniugi dichiaranti hanno accettato “anche i rischi inerenti alla disciplina propria dell’istituto” (19029/14).
10.1. L’ottavo motivo rappresenta violazione e/o falsa applicazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’articolo 53 Cost., articoli 1, 56, 81 e ss. e 163 Tuir e Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, nonche’ vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poiche’ la CTR, respingendo nel merito il gravame degli odierni ricorrente, “ha ritenuto corretto l’agire dell’ufficio”, che aveva proceduto alla determinazione reddituale senza operare “nessuna depurazione dei ricavi dichiarati e pacificamente inesistenti” e desumendo “ulteriori ricavi da assoggettare a tassazione sulla base di fatture attive riconosciute false”, e cio’ malgrado fosse pacifico che la situazione della societa’ fosse artefatta “inquinata sia dal lato attivo che passivo del conto patrimoniale”.
10.2 Il motivo e’ inammissibile per difetto di specificita’. Ricordato invero che in base alla prescrizione recata dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, secondo cui “il ricorso deve indicare, a pena di inammissibilita’, … 4) i motivi per i quali si chiede la cassazione con l’individuazione delle norme di diritto su cui si fondono, secondo quanto previsto dall’articolo 366 bis”, questa Corte ha reiteramente affermato che “il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilita’, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificita’, completezza e riferibilita’ alla decisione impugnata, il che comporta la necessita’ dell’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e dell’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione” (22454/14; 185/14; 20652/09). Nell’illustrazione del motivo in rassegna nessuna delle dette condizioni trova compiuta soddisfazione, posto che la parte, pur intrattenendosi estesamente sul merito delle singole riprese effettuate dall’ufficio, di cui ha cura di condurre una minuta ricognizione in parallelo ai corrispondenti rilievi critici che per ciascuna di esse muove, prima, all’operato dei verbalizzanti e, di poi, al deliberato dei giudici d’appello, – con cio’ soffermandosi su aspetti della vicenda che integrano accertamenti di fatto sottratti com’e’ noto al sindacato del giudice di legittimita’ – non assolve ne’ l’uno ne’ l’altro onere sotteso alla regola della specificita’ dei motivi di ricorso. Ed invero, in cio’, essa mostra di venir meno tanto all’onere di procedere all’esatta individuazione del capo della pronunzia censurato, indicando con precisione e pertinenza la specifica statuizione o lo specifico passaggio argomentativo della decisione oggetto di censura, preferendo piuttosto imboccare la via di una critica radicale ed a largo raggio, che, com’e’ noto, non puo’ trovare seguito alcuno nell’ambito di un giudizio rigorosamente ancorato al principio della critica vincolata; quanto al convergente onere di esporre in maniera intelligibile ed esauriente le ragioni che, secondo il suo giudizio renderebbero la decisione meritevole di cassazione, poiche’ in parte qua la rappresentazione del motivo, in luogo di prodursi in un fruttuoso esercizio di puntualita’ e concisione in grado di assicurare completezza e conoscibilita’ a quelle ragioni, si risolve tutto al contrario nel dar vita ad un ampio ventaglio di rimostranze di incerto tenore e di dubbia decifrazione, che investono nel loro complesso le risultanze impositive acquisite dall’amministrazione e condivise dai giudici di appello e che in quanto tali non sono scrutinabili dalla Corte.
11. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e va invece respinto quanto al resto.
12. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Respinge il ricorso nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida nella somma di euro 15.000.00 oltre spese prenotate a debito.

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