Cassazione 6

Suprema Corte Cassazione

sezione lavoro

sentenza 13 gennaio 2015, n. 344

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato da C.T.S. s.p.a. il 22 agosto 2008, a seguito di contestazione disciplinare, a C.S.A. , suo dipendente dalla fine del 2004 con qualifica di impiegato di primo livello del CCNL trasporto merci e condannato la società datrice alla sua reintegrazione nel posto di lavoro e, in via generica, al pagamento delle retribuzioni spettanti), con sentenza 15 settembre 2011, ritenuto il licenziamento per giustificato motivo soggettivo secondo la domanda subordinata del lavoratore, condannava C.T.S. s.p.a. al pagamento dell’indennità di preavviso, in favore del predetto, a sua volta condannato alla restituzione di quanto percepito per retribuzioni fino alla data di reintegrazione, compensando le spese del grado di giudizio.
A differenza del primo giudice, di cui rilevava pure l’inopportuna coincidenza con quello autore di provvedimento cautelare riformato in sede di reclamo, la Corte territoriale riteneva la sottrazione del lavoratore a reperibilità, ostativa ai controlli della società datrice sul suo stato di malattia (la cui autenticità pure opinabile) e l’abnorme utilizzazione, sia pure dal coniuge, dell’autovettura in (palese abuso della sua concessione in) benefit per lunghe percorrenze in periodi di sospensione del rapporto di lavoro per malattia,ben qualificabili alla stregua di giustificato motivo soggettivo, in cui era convertibile la giusta causa di recesso, comportante la corresponsione datoriale dell’indennità di preavviso, in favore del lavoratore e la restituzione da quest’ultimo degli importi retributivi percepiti in eccedenza fino alla reintegrazione.
C.S.A. ricorre per cassazione con due motivi, cui C.T.S. s.p.a. resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale sulla base di due motivi; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente deduce insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per avere la Corte territoriale fondato la propria decisione su circostanze, quali l’assenza dalla propria abitazione durante lunghi periodi di malattia, l’aggravamento dello stato di malattia e l’utilizzo abnorme, ancorché dal coniuge, dell’auto in benefit aziendale, in parte incerte e in parte mai contestate dalla datrice di lavoro (così come neppure contestata la non tempestiva comunicazione delle assenze per malattia). Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 5 l. 300/1970, 5 l. 604/1966, 2697 c.c. e 32 CCNL Trasporto Merci e logistica, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., per individuazione del giustificato motivo soggettivo in fatto (percorso di troppi km. in auto concessa in benefit durante i periodi di malattia) neppure oggetto della contestazione disciplinare datoriale del 30 luglio 2008 (uso dell’auto aziendale in periodo di malattia ed esecuzione di rifornimenti di carburante in orari compresi nelle fasce giornaliere di reperibilità), con inidoneo rilievo della supposta assenza dal domicilio di dette fasce, in difetto di alcuna richiesta datoriale di visita di controllo: con la conseguente inidoneità del solo uso promiscuo dell’auto aziendale, peraltro consentito, all’integrazione del giustificato motivo soggettivo di licenziamento ritenuto dalla Corte territoriale.
Con il primo motivo, C.T.S. s.p.a. a propria volta deduce, in via incidentale, violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119 c.c. e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., per erronea esclusione della giusta causa di licenziamento, neppure con esauriente spiegazione delle ragioni.
Con il secondo, essa deduce vizio di contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per la ritenuta natura di benefit dell’auto aziendale concessa in uso promiscuo al dipendente e possibilità di utilizzo anche della moglie, in contrasto con la riconosciuta responsabilità esclusiva del primo per allontanamento da casa, in orari rientranti nelle fasce orarie di reperibilità, per rifornimenti di carburante documentati dalla carta in suo possesso. In via preliminare, devono essere riuniti i ricorsi principale e incidentale, in quanto relativi alla stessa sentenza.
Il primo motivo di ricorso principale (di insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per il fondamento della sentenza impugnata su circostanze in parte incerte in parte mai contestate dalla datrice di lavoro) è congiuntamente esaminabile, per stretta connessione, con il secondo (di violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 5 l. 300/1970, 5 l. 604/1966, 2697 c.c. e 32 CCNL Trasporto Merci e logistica, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., per individuazione di giustificato motivo soggettivo in fatto non oggetto di contestazione disciplinare datoriale 30 luglio 2008, con inidoneo rilievo della supposta assenza dal domicilio nelle fasce giornaliere di reperibilità, in difetto di alcuna richiesta datoriale di visita di controllo e conseguente inesistenza del giustificato motivo soggettivo di licenziamento).
Essi sono infondati.
Ed infatti, chiarito che entrambi si risolvono in una denuncia di vizio di motivazione (anche il secondo, per insussistenza dei requisiti propri della violazione delle norme di diritto denunciate: Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984), occorre rilevare come la Corte territoriale abbia (sia pur succintamente, ma) esaurientemente motivato, con argomentazione giuridicamente corretta e logicamente congrua condividendo, le ragioni disciplinari specificamente contestate dalla società datrice nella lettera 6 agosto 2008 (integralmente trascritta a pgg. da 7 a 9 del ricorso). Ed esse sono state individuate dalla sentenza impugnata nell’abuso palese della concessione del benefit dei”l’utilizzo dell’autovettura, ancorché affidata al coniuge, in modo abnorme per lunghe percorrenze in periodi in cui il rapporto era sospeso per malattia” (come appunto oggetto di dettagliata contestazione nella lettera citata, con puntuale indicazione dei periodi di assenza del lavoratore per malattia e dei rifornimenti di carburante compiuti e dell’entità di chilometri, oltre 4.000, assolutamente ingiustificabile in periodo di malattia), pure rendendo “impossibili i controlli che il datore di lavoro avrebbe potuto richiedere” in tali periodi di malattia per assenza dalla propria abitazione, pure oggetto di specifica contestazione datoriale nella suddetta lettera (in cui si legge, come sia “emerso che Ella, nonostante fosse in malattia, ha dichiarato di aver effettuato i seguenti rifornimenti, in occasione dei quali peraltro avrebbe dovuto essere al Suo domicilio per poter essere sottoposto alle eventuali visite di controllo”). A fronte dell’emergenza di tali risultanze, frutto di un adeguato accertamento in fatto del giudice di merito (pure insindacabile in sede di legittimità: Cass. 12 marzo 2003, n. 3624; Cass. 9 novembre 2000, n. 14552), appare priva di ogni plausibile fondatezza confutativa del ragionamento della Corte territoriale l’insistita contestazione in ordine alla concessione dell’uso “promiscuo” dell’autovettura, non potendosi seriamente dubitare come essa non rilevi in relazione a periodi così lunghi di assenza per malattia (dal 23 marzo 2008 al 22 giugno 2008 e dal 25 giugno 2008 al 22 agosto 2008, secondo la lettera di contestazione), in cui il numero abnorme di km. percorsi risponde ad un uso “esclusivo” per ragioni non di ufficio, né in alcun modo giustificabile, a fronte dell’obbligo del lavoratore di non allontanarsi dall’abitazione ed anzi in aperta contraddizione con esso. Quanto poi all’assenza da casa in fasce orarie di reperibilità, incontestata e comunque documentata, essa non è stata apprezzata sotto il profilo di rituale modalità del suo accertamento, in supposta violazione dell’art. 5 l. 300/1970, ma piuttosto sotto quello del notevole inadempimento agli obblighi contrattuali di buona fede e diligenza ai sensi degli artt. 2104 e 2110 c.c., indubbiamente sussistenti anche in riferimento al periodo di malattia, in cui il rapporto di lavoro deve ritenersi vigente, ancorché sospeso (Cass. 24 luglio 2000, n. 9709).
Il comportamento accertato è stato quindi, in ragione della ravvisata ripetuta indulgenza datoriale, correttamente ritenuto come integrante, anziché giusta causa, giustificato motivo soggettivo di licenziamento, con una conversione (nel caso di specie, in accoglimento di domanda subordinata del lavoratore) nel potere di qualificazione giuridica del giudice, fermo restando il principio di immutabilità della contestazione (Cass. 9 giugno 2014, n. 12884).
Il primo motivo incidentale, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119 c.c. e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., per erronea esclusione della giusta causa di licenziamento, è inammissibile.
Con esso è stata dedotta la violazione di norme di diritto solo formalmente enunciate, in difetto dei requisiti propri del vizio denunciato, non avendo il ricorrente proceduto, come pure avrebbe dovuto, ad una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, né nella sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa (Cass. 28 novembre 2007, n. 24756): neppure avendo specificato le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
Quanto al vizio di motivazione, anch’esso è stato dedotto in modo generico e pertanto inammissibile) a fronte della sintetica, ma esauriente motivazione (all’ultimo capoverso dei “Motivi della decisione” della sentenza), con la quale la Corte territoriale ha argomentato la ragione, sopra illustrata, della conversione della giusta causa di licenziamento in giustificato motivo soggettivo.
Il secondo motivo incidentale, relativo a contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per ritenuta natura di benefit dell’auto aziendale concessa in uso promiscuo al dipendente e possibilità di utilizzo anche dalla moglie, è parimenti inammissibile.
Esso è, infatti, privo di decisività, riguardando un mero passaggio argomentativo privo di autonoma efficacia decisoria ed è pertanto generico, in violazione della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; 17 luglio 2007, n. 15952).
Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso principale e l’inammissibilità di quello incidentale, con la compensazione delle spese del giudizio, per reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale; dichiara le spese del giudizio interamente compensate tra le parti.

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