CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 14 novembre 2014, n. 24327

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCININNI Carlo – Presidente
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 784-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SNC, (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 46/2008 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SASSARI, depositata il 06/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2014 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La societa’ (OMISSIS) s.n.c., nonche’ i due soci per il reddito di partecipazione, impugnavano avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2003, conseguente all’inclusione della societa’ in una lista di imprese che presentavano uno scostamento, per due anni su tre, tra l’ammontare dei ricavi dichiarati e quelli derivanti dall’applicazione degli studi di settore. La CTP rigettava il ricorso. La Commissione Tributaria Regionale della Sardegna accoglieva l’appello sulla base della seguente motivazione. Dall’esame del bilancio al 31 dicembre 2013 si evinceva un quadro di indebitamento rilevante e sproporzionato rispetto ai cespiti posti nell’attivo, tale che avrebbe imposto la ricostituzione del capitale sociale; per effetto del grave squilibrio la societa’ ebbe a licenziare il personale e poi a porsi in liquidazione; senza il riferimento alla reale situazione dell’azienda, del settore e del contesto di operativita’, gli studi di settore costituiscono semplici indizi.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di tre motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 53 in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4. Lamenta la ricorrente che l’atto di appello era inammissibile in quanto si limitava alla mera riproposizione dei motivi indicati in primo grado, senza specifiche censure alla sentenza della CTP.
Con il secondo motivo si denuncia violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42 e dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Lamenta la ricorrente che l’infondatezza dell’accertamento e’ stato ritenuto mediante il riferimento alle passivita’ dichiarate, che invece, in quanto contenute nella dichiarazione oggetto di accertamento, non potevano smentire l’accertamento.
Con il terzo motivo si denuncia violazione del Decreto Legge n. 331 del 1993, articolo 62 bis e del Decreto Legge n. 69 del 1989, articoli 11 e 12, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Deduce la ricorrente che i risultati desunti dall’applicazione degli studi di settore avevano il carattere di presunzione legale, con l’effetto di porre a carico del contribuente l’onere della prova contraria. Aggiunge che poi, mediante il riferimento per quanto possibile ai dati della contabilita’ aziendale, si era proceduto alla rideterminazione del volume d’affari.
Il primo motivo e’ inammissibile. La specificita’ dei motivi di appello di cui all’articolo 342 c.p.c. deve essere valutata in base all’imprescindibile raffronto tra le ragioni della doglianza, esposte nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, e quelle che nella sentenza sorreggono il punto oggetto dell’impugnazione (Cass. 24 agosto 2007, n. 17960). In violazione del principio di autosufficienza del ricorso la ricorrente non ha indicato le ragioni della decisione di primo grado rispetto alle quali i motivi di impugnazione difetterebbero del requisito di specificita’, sicche’ non e’ possibile valutare se tale requisito sia effettivamente mancante.
Il secondo ed il terzo motivo, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono infondati. Come affermato dalle sezioni unite (Cass. 18 dicembre 2009, n. 26635; conforme Cass. 15 maggio 2013, n. 11633), la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravita’, precisione e concordanza non e’ ex lege determinata in relazione ai soli standard in se’ considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullita’ dell’accertamento, con il contribuente (che puo’ tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realta’ economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruita’) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attivita’ accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la piu’ ampia facolta’ di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice puo’ liberamente valutare tanto l’applicabilita’ degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente.
La sentenza impugnata non viola la regola dell’onere della prova. Il giudice del merito, ai fini della valutazione di applicabilita’ al caso concreto degli standard, ha valorizzato i dati emergenti dal bilancio della societa’ al 31 dicembre 2013, ed ha concluso nel senso dell’esistenza di un grave squilibrio economico. Si deve quindi rispondere negativamente al quesito proposto dall’amministrazione ricorrente alla fine del terzo motivo, secondo cui i parametri costituirebbero una presunzione legale relativa, che assolverebbe in se’ tanto la motivazione dell’accertamento, quanto l’onere della prova gravante sull’Ufficio. Le censure, proposte sotto il profilo dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, sono cosi’ infondate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

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