Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 12 dicembre 2014, n. 26183

 

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIELLI Stefano – Presidente
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18296/2012 proposto da:
(OMISSIS) SCPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ex articolo 135 disp. att. c.p.c., giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 107/2012 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di FOGGIA, depositata il 28/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/04/2014 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;
udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso in via principale accoglimento e in via subordinata accoglimento per quanto di ragione del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Commissione tributaria della regione Puglia con sentenza 28.5.2012 n. 107, accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Ufficio di Foggia della Agenzia delle Entrate e rigettava l’appello incidentale proposto da (OMISSIS) societa’ cooperativa per azioni:
– rilevando che la decisione di primo grado di annullamento dell’avviso di accertamento, volto a recuperare la maggiore imposta dovuta dalla societa’ a titolo IVA, IRES ed IRAP per l’anno 2004, era passata in giudicato interno, quanto alle statuizioni concernenti i punti 2, 3, 4 e 5 dell’avviso, per omessa impugnazione e, comunque, dovendo essere confermata nel merito la pronuncia di prime cure;
– ritenendo fondata la doglianza dell’Ufficio, quanto al punto 1 dell’avviso, essendo legittima la pretesa fiscale volta a ricomprendere nelle “rimanenze iniziali” (con conseguenti riflessi sulla determinazione dell’imponibile relativo all’anno 2004), e non nelle “rimanenze finali” – come invece aveva operato la societa’-, il totale delle variazioni, da indicare nella dichiarazione fiscale, determinate dall’incremento del valore (per lavori di edificazione) del cespite immobiliare gia’ appartenente a (OMISSIS) s.r.l., societa’ partecipata al 100% da (OMISSIS) soc. coop. p.a., bene da quest’ultima acquisito in seguito ad atto in data 5.1.2004 di fusione per incorporazione della (OMISSIS) s.r.l..
– ritenendo fondato il motivo di gravame dell’Ufficio, relativo al punto 6 dell’avviso di accertamento: in particolare la CTR dichiarava legittima la pretesa fiscale volta ad assoggettare ad IVA le prestazioni rese a favore di (OMISSIS) soc. coop. p.a. – appaltatrice dei lavori commissionati da (OMISSIS) s.p.a. gestore dell’aeroporto internazionale di (OMISSIS) – dalle “imprese fornitrici o subappaltatrici”, non potendo estendersi la previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 9, comma 1, n. 6), (come integrata dal Decreto Legge n. 90 del 1990, articolo 3, comma 13, conv. in Legge n. 165 del 1990) di non imponibilita’ IVA dei lavori aeroportuali, ai rapporti contrattuali diversi da quelli intercorsi direttamente tra soggetto committente e soggetto appaltatore, con conseguente legittima irrogazione della sanzione pecuniaria, non ravvisandosi nella specie la esimente delle “condizioni di obiettiva incertezza sull’ambito di applicazione delle disposizioni”” di cui al Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 8.
La CTR rigettava, inoltre, l’appello incidentale proposto dalla societa’, avente ad oggetto la nullita’ dell’avviso di accertamento per essere state svolte le indagini e redatto il PVC dai funzionali dell’Ufficio di Foggia anziche’ di quello di Manfredonia, competente territorialmente, in quanto sussisteva in atti la nota in data 17.4.2007 con la quale l’Ufficio di Manfredonia comunicava di delegare l’accertamento all’Ufficio di Foggia.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la societa’ cooperativa (OMISSIS) deducendo sette motivi, ai quali ha resistito con controricorso la Agenzia delle Entrate.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la societa’ deduce la violazione dell’articolo 172 T.U.I.R., nel testo vigente al tempo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e con il secondo motivo deduce vizio logico di motivazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2. La Commissione tributaria ha articolato la propria decisione nelle seguenti argomentazioni giuridiche:
– il criterio di sterilizzazione applicato, anziche’ incrementando l’utile imponibile nella dichiarazione fiscale, operando in sede di redazione di bilancio dalla societa’ l’appostazione del medesimo valore di euro 1.587.220,00 – pari al disavanzo di fusione oltre al valore nominale dell’immobile-, nelle voci rimanenze iniziali e rimanenze finali, importo peraltro frazionato tra “rimanenza finale del suolo” e “lavori in corso su ordinazione”, era opinabile;
– nella dichiarazione relativa all’anno 2004, la societa’ aveva riportato soltanto una variazione in aumento del reddito di euro 526.964,00 anziche’ l’incremento di valore di euro 1.587.220,00 sopra indicato derivante dalla operazione di fusione, affermando peraltro che tale variazione neppure doveva essere riportata in dichiarazione in quanto da imputarsi ad un mero errore;
– illegittimo era il frazionamento in tre successivi anni d’imposta (2004-2006) dell’incremento di valore di euro 1.587.220,00 determinato dalla operazione di fusione, sia in quanto il principio di neutralita’ della fusione doveva trovare applicazione, per competenza, nello stesso anno d’imposta in cui l’incremento si era verificato, sia in quanto la somma degli importi frazionati nei tre anni, pari ad euro 1.265.876,00, non corrispondeva al predetto incremento pari ad euro 1.587.220,00.
3. Sostiene la societa’ che in conseguenza del “disavanzo” (pari ad euro 1.548.992,80) realizzato dalla fusione – perfezionatasi con efficacia giuridica alla data 1.1.2004 – con (OMISSIS) s.r.l., derivante dalle perdite di gestione della (OMISSIS) (che presentava un patrimonio netto negativo, pari a meno euro 25.392,27) e dall’annullamento della partecipazione totalitaria (valore pari ad euro 1.523.600,53) originariamente posseduta dalla incorporante (OMISSIS), era stato interamente imputato (nel bilancio della incorporante) ad incremento del valore dell’unico cespite patrimoniale (bene immobile costituito da area edificabile su cui insistevano opere edilizie di valore nominale pari ad euro 38.226,96) di cui disponeva la incorporata, riportando detto importo sia nella voce di bilancio “rimanenze iniziali” all’1.1.2004 (componente negativo del conto economico) che in quella “rimanenze finali” al 31.12.2004 (componente positivo del conto economico), cosi’ realizzando il principio di “neutralita’ fiscale” della fusione stabilito dall’articolo 172 T.U.I.R..
Tale modus operandi, secondo la societa’, era da ritenersi equivalente, ai fini della realizzazione della neutralita’ fiscale stabilita dall’articolo 172 T.U.I.R., al criterio invece indicato dalla PA, per cui il componente negativo di reddito determinato dal disavanzo di fusione doveva essere esposto come componente positivo di reddito (utili) nella dichiarazione fiscale.
4. Occorre precisare che la Agenzia fiscale nel controricorso, riportandosi agli argomenti gia’ svolti nell’atto di appello, ha evidenziato la correttezza della decisione della CTR, ribadendo;
la illegittimita’ sul piano giuridico di tale operazione, in quanto il principio di neutralita’ fiscale dell’articolo 172 T.U.I.R., non esonerava la societa’ dall’inserire correttamente nel proprio bilancio, secondo i corrispondenti valori, i risultati del disavanzo di fusione, con la conseguenza che “l’intero importo del disavanzo di euro 1.548.993,00 doveva comportare una variazione in aumento dell’utile civilistico”, mentre la societa’ aveva incrementato l’imponibile soltanto del minore importo di euro 526.964,00
– la inesattezza del calcolo aritmetico dei dati appostati in bilancio, in quanto all’inserimento dell’importo di euro 1.548.992,80 (intero disavanzo di fusione) nella voce “rimanenze iniziali” alla data 1.1.2004, non era corrisposto l’inserimento di analogo importo nelle “rimanenze finali” al 31.12.2004, atteso che la variazione relativa a tale voce di bilancio era stata frazionata in distinti importi, iscritti negli anni 2004, 2005 e 2006, peraltro per un ammontare di euro 1.265.876,00 inferiore a quello del disavanzo.
5. Rileva il Collegio che se non si ravvisano impedimenti, sotto il profilo del criterio economico di redazione del bilancio, ad imputare il disavanzo di fusione ad incremento dei valori patrimoniali (nella specie costituito dalla immobilizzazione materiale dell’unico bene immobile a vocazione edificatoria), invece in relazione al profilo fiscale – id est ai fini della determinazione del reddito imponibile – il “principio di neutralita’ fiscale” dell’articolo 172 T.U.I.R., impone la esigenza di sterilizzare detto disavanzo di fusione e di considerare fiscalmente rilevante il cespite patrimoniale “ricevuto”, in base all’ultimo valore a questo riconosciuto (nell’ultimo bilancio della societa’ incorporata) ai fini delle imposte sui redditi (articolo 172, comma 2 T.U.I.R.).
La interpretazione che la societa’ intende fornire della norma tributaria, per cui la seconda parte dell’articolo 172, comma 2 T.U.I.R. (“i maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell’eventuale imputazione del disavanzo derivante dall’annullamento o dal concambio di una partecipazione, con riferimento ad elementi patrimoniali della societa’ incorporata o fusa, non sono imponibili nei confronti dell’incorporante o della societa’ risultante dalla fusione. Tuttavia i beni ricevuti sono valutati fiscalmente in base all’ultimo valore riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti”), consentirebbe di ritenere irrilevanti ai fini fiscali i “beni ricevuti” dalla societa’ incorporante o dalla societa’ risultante dalla fusione, e solo “allorquando si andra’ a vendere il bene (il cui valore e’ stato incrementato dal disavanzo da fusione), da un punto di vista esclusivamente fiscale, il costo da contrapporre al ricavo sara’ quello originario al netto dell’incremento dovuto al disavanzo di gestione” (ricorso pag. 11), si pone in contrasto con il disposto della legge in cui l’impiego della congiunzione oppositiva “tuttavia” intende introdurre una palese deroga (quanto alla imponibilita’ del valore dei beni ricevuti) al principio generale di neutralita’ fiscale della fusione per la societa’ incorporante o risultante dalla fusione, come e’ ribadito ulteriormente dalla norma laddove impone la redazione di “apposito prospetto”, allegato alla dichiarazione dei redditi, nel quale vengono “riconciliati” i dati esposti in bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti.
6. Il primo motivo e’ dunque infondato.
7. Quanto al vizio di motivazione della sentenza impugnata, dedotto con il secondo motivo, lo stesso deve ritenersi fondato.
Palese e’ infatti la inconcludenza logica del primo argomento svolto dalla CTR, che intende fondare la legittimita’ della pretesa fiscale su un giudizio di mera “opinabilita’” delle deduzioni che i primi Giudici avrebbero tratto in ordine alla coerenza del criterio contabilistico, utilizzato dalla societa’, dell’inserimento del disavanzo di fusione nelle rimanenze “iniziali” e “finali”, senza tuttavia chiarire i motivi ostativi all’applicazione di tale criterio, rimanendo inesplicato l’impedimento alla attuazione del principio di neutralita’ fiscale della fusione che verrebbero ad opporre il diverso termine cronologico delle rimanenze iniziali (all’1.1.2004) e finali (al 31.12.2004), nonche’ la circostanza che “sul terreno erano in corso lavori”.
8. La illogicita’ riscontrata, impedisce di riconoscere anche carattere di autonome “rationes decidendi” alle altre due argomentazioni svolte dalla CTR. Il Giudice di merito, infatti, ha inoltre contestato la coerenza dei dati appostati in bilancio ed esposti nella dichiarazione fiscale, rilevando che:
– la suddivisione dell’importo relativo al valore del bene immobile, incrementato dal disavanzo di fusione, tra le voci di bilancio “rimanenze finali” e “lavori in corso su ordinazione” (per complessivi euro 1.587.220,00) non trovava corrispondenza nella variazione in aumento esposta nella dichiarazione fiscale dell’anno 2004, pari ad euro 526.964,00;
– il principio di neutralita’ fiscale avrebbe imposto di effettuare la variazione in aumento per l’intero importo di euro 1.587.220,00 nella dichiarazione dei redditi per l’anno di competenza 2004, non essendo condivisibile il frazionamento e la conseguente imputazione dello stesso, peraltro per un importo complessivo inferiore, in tre distinti anni d’imposta (2004, 2005 e 2006).
9. La societa’, a confutazione dei predetti argomenti motivazionali, ha allegato che il computo della variazione in aumento del reddito imponibile, frazionata nei tre anni, era da considerare un mero errore materiale, in quanto nessun maggiore reddito imponibile andava iscritto nella dichiarazione fiscale in dipendenza del disavanzo di fusione, come risultava illustrato dalle “schede” relative al conto economico – in cui erano con riportate le diverse ipotesi di applicazione dei criteri contabili di redazione del bilancio d’esercizio-, atteso che il reddito imponibile dichiarato dalla societa’ nell’anno 2004 (pari ad euro 120.029,00), stante il principio di neutralita’ fiscale della fusione di cui all’articolo 172 T.U.I.R., non avrebbe comunque subire alcuna variazione in conseguenza della operazione da cui era derivato il disavanzo di fusione. La difesa svolta dalla societa’ e’ interamente fondata sull’argomento per cui la neutralita’ fiscale della operazione di fusione comportava in ogni caso la iscrizione del medesimo importo (sia che si trattasse di disavanzo di fusione o soltanto del valore dell’immobile, o ancora del valore dell’immobile incrementato del disavanzo di fusione) tra le rimanenze iniziali e finali, o comunque tra le voci dell’attivo e del passivo del conto economico, cosi’ da azzerare gli importi contabili: solo nel caso in cui fossero stati iscritti nel “conto economico” importi diversi (ad es. il disavanzo di fusione nelle “rimanenze iniziali”, ed il diverso valore del terreno nelle “rimanenze finali”) si sarebbero dovuto apportare, in sede di dichiarazione fiscale, le opportune variazioni in aumento del reddito, proprio al fine di neutralizzare in sede fiscale, in base al principio dell’articolo 172 T.U.I.R., la differente entita’ dei valori appostati, invece, in bilancio secondo i criteri civilistici.
10. Orbene risulta evidente come la CTR abbia trascurato del tutto di verificare se i dati esposti nel bilancio di esercizio, secondo il criterio di appostazione nelle rimanenze del disavanzo di fusione, si siano o meno effettivamente tradotti, con riferimento ai dati esposti nella dichiarazione presentata dalla medesima societa’ per l’anno 2004, nella applicazione del principio normativo di neutralita’ fiscale della fusione, dovendo al riguardo rilevarsi la indefettibile necessita’ di tale accertamento in fatto, tenuto conto che, se nella dichiarazione fiscale non erano stati evidenziati dalla societa’ componenti negativi – pari al disavanzo di fusione iscritto nelle “rimanenze iniziali”-, allora non dovevano essere disposte, per il corrispondente ammontare, variazioni in aumento dei componenti positivi di reddito (utili), e – conseguentemente – il frazionamento in distinti periodi d’imposta della variazione in aumento deve imputarsi ad errore nella redazione della dichiarazione fiscale; se, viceversa, nella dichiarazione dei redditi erano stati computati dalla societa’, come costi deducibili, le “rimanenze iniziali” – come incrementate del disavanzo di fusione-, allora nella dichiarazione fiscale doveva essere, corrispondentemente, incrementato anche il risultato finale (gli utili) della gestione economica, risultando in conseguenza fondata la pretesa tributaria oggetto della presente controversia.
La sentenza impugnata ha statuito ritenendo che il principio di neutralita’ fiscale non fosse stato attuato nella dichiarazione fiscale (a prescindere, quindi, dalla corretta redazione del bilancio, secondo i criteri civilistici), in quanto i componenti positivi di reddito non erano stati incrementati per un importo (iscritto in bilancio alla voce “rimanenze finaili”) corrispondente al disavanzo di fusione, sottintendendo implicitamente, ma del tutto immotivatamente, che detto importo era stato, invece, considerato nella medesima dichiarazione fiscale, quale componente negativo (in quanto iscritto in bilancio nelle “rimanenze iniziali”), con conseguente illegittima riduzione del reddito imponibile. Da tale immotivata ed indimostrata premessa in fatto (non avendo la CTR esaminato “funditus” la dichiarazione dei redditi dell’anno 2004, prodotta in allegato 7 alle controdeduzione in appello della societa’ – cfr. schede, pag. 17-18 ricorso) – che riportava, al quadro RF del Modello Unico 2005 rigo F3, un reddito imponibile di euro 120.029,00 calcolato – a quanto riferito dalla stessa societa’ ricorrente – senza tener conto di decrementi o incrementi determinati dal disavanzo di fusione), “dipendono” anche le ulteriori “rationes decidendi” avendo ritenuto i Giudici tributari che l’intero importo del disavanzo di fusione doveva essere riportato a reddito imponibile nella dichiarazione dell’ano 2004 e che non soddisfaceva al principio di neutralita’ fiscale della fusione la indicazione, nella dichiarazione fiscale, soltanto di quote di “variazioni in aumento” dilazionate negli anni 2004, 2005 e 2006 (per un totale di euro 1.265.876,00 peraltro inferiore al disavanzo di fusione), in violazione del principio di competenza.
11. La questione essenziale, oggetto della presente controversia, non concerne dunque l’affermazione della correttezza del criterio contabile di redazione del bilancio di esercizio, ma e’ piuttosto quella della effettiva e completa trasposizione della sterilizzazione della operazione di fusione, operata sul piano contabile, nella corretta esposizione dei dati (componenti negativi e positivi di reddito) riportati nella dichiarazione dei redditi relativi all’anno 2004, ai fini della corretta applicazione del principio di neutralita’ fiscale della fusione.
12. La sentenza va, pertanto, cassata con rinvio al Giudice di appello affinche’ verifichi se e come i dati relativi al disavanzo di fusione (annullamento del valore della partecipazione totalitaria nella societa’ incorporata; patrimonio netto negativo di (OMISSIS) s.r.l. rilevato nel bilancio di fusione) ed al valore nominale del cespite immobiliare “ricevuto” dalla incorporante (OMISSIS) s.c.p.a., siano stati esposti nella dichiarazione dei redditi presentata dalla societa’ per l’anno 2004, traendo le conseguenze descritte al punto 10 della presente motivazione.
13. Con il terzo e quarto motivo la societa’ ricorrente censura la sentenza, per violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 7, comma 6 e articolo 9, comma 1, n. 6), come interpretato dal Decreto Legge n. 90 del 1990, articolo 3, comma 13, nonche’ per vizio di motivazione apparente su un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), in relazione al disconoscimento della esclusione IVA per i lavori di manutenzione dell’aeroporto di (OMISSIS) oggetto dei contratti di subappalto stipulati dalla appaltatrice (OMISSIS) soc. coop. p.a..
Sostiene la ricorrente che le norme di esenzione prendono in considerazione i lavori nella loro oggettivita’ e non i soggetti che intervengono nella stipula del contratto.
La tesi della ricorrente si incentra sul collegamento della norma di esclusione dalla imponibilita’ al criterio obiettivo di territorialita’ dell’IVA (nella specie applicato in senso virtuale, mediante la “fictio iuris” prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 7, comma 5, che riconosce come prestazioni extraterritoriali quelle considerate nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 9, tra cui anche i “servizi connessi agli scambi internazionali”) mentre, quanto alla natura della prestazione esclusa, la stessa norma fa riferimento, oltre alla tipologia dei servizi e dei lavori, anche al nesso di “diretta” correlazione tra le prestazioni ed “il funzionamento e la manutenzione degli impianti. Essendo i lavori subappaltati identici a quelli oggetto dell’appalto principale, la CTR, secondo la parte ricorrente, ha errato a negare, in base al mero criterio soggettivo, la non imponibilita’ delle prestazioni effettuate dai subappaltatori, non assumendo rilevanza, ai fini della norma tributaria, che detti lavori siano eseguiti in aeroporti anziche’ in porti, essendo equivalente il trattamento fiscale ad essi riservato.
14. Il terzo ed il quarto motivo – che debbono trattarsi congiuntamente in quanto rivolti nei confronti della medesima statuizione della sentenza impugnata – sono fondati.
15. Costituiscono “servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali” e non “si considerano effettuati nel territorio dello Stato”, con conseguente non imponibilita’ IVA per difetto del requisito di territorialita’ dell’IVA ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 7, n. 6) – vigente ratione temporis, i servizi ricompresi tra quelli elencati nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, all’articolo 9, comma 1, n. 6), (“i servizi prestati nei porti, autoporti, aeroporti e negli scali ferroviari, di confine che riflettono direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto, nonche’ quelli resi dagli agenti marittimi raccomandatari”), come integrato dal Decreto Legge 27 aprile 1990, n. 90, articolo 3, comma 13, convertito in Legge 26 giugno 1990, n. 165, che ha espressamente ricompreso tra “i servizi prestati nei porti, aeroporti, autoporti e negli scali ferroviari di confine riflettenti direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 9, n. 6), …..anche quelli di rifacimento, ampliamento, ammodernamento, ristrutturazione e riqualificazione degli impianti gia’ esistenti, pur se tali opere vengono dislocate all’interno dei predetti luoghi, in sede diversa dalla precedente…….”.
16. Dalla lettura delle norme emerge in modo inequivoco che il Legislatore, nel prevedere la non imponibilita’ IVA, ha inteso prescindere del tutto dal requisito soggettivo del committente lavori, in quanto soggetto titolare dei poteri di gestione – nella specie – dell’aeroporto, definendo l’operativita’ del precetto in relazione:
a) al criterio oggettivo della prestazione di servizio, identificata secondo la natura descritta (lavori di rifacimento, ampliamento, ammodernamento, ristrutturazione e riqualificazione) e lo scopo (lavori riflettenti direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti);
b) alla individuazione del “locus” – assimilato, mediante “fictio juris”, al territorio non statale – in cui tali prestazioni di servizi vengono eseguite, e che viene identificato mediante riferimento ad un elenco tassativo di “impianti” relativi a settori ritenuti strategici (porti, autoporti, aeroporti e negli scali ferroviari, di confine).
17. Ne segue che, ricorrendo nel caso di specie entrambe le condizioni oggettive sopra indicate (e’ incontestato che (OMISSIS) s.c.p.a. abbia eseguito, in appalto, “lavori di ampliamento” che interessavano direttamente l’ “impianto aeroportuale” di (OMISSIS)), la societa’ appaltante era legittimata a fruire della non imponibilita’ delle prestazioni di ampliamento, indipendentemente dalla modalita’ di esecuzione – in appalto od in subappalto – di tali lavori, con la conseguenza che non soltanto le fatture emesse da (OMISSIS) nei confronti della committente (OMISSIS) s.p.a. ma anche le fatture emesse dai subappaltatori nei confronti di (OMISSIS) s.c.p.a., ove concernenti i medesimi lavori strutturali di ampliamento dell’impianto aeroportuale, debbono ritenersi non imponibili IVA.
18. Non osta a tale soluzione interpretativa che talune prestazioni di servizi, considerati dalla norma non imponibili, siano riservate ex lege alla competenza del soggetto gestore dell’aeroporto (ed erogati direttamente dal gestore o da quello affidati a terzi in concessione od in appalto), come nel caso dei “servizi relativi al movimento di persone e di assistenza ai mezzi di trasporto” sempre che resi nell’ambito dei luoghi come sopra qualificati: la norma tributaria che dispone la non imponibilita’ IVA, anche in questo caso, prescinde, infatti, dalla qualificazione soggettiva del prestatore del servizio, rilevando, ai fini della non imponibilita’ della prestazione, esclusivamente la natura del servizio ed il luogo in cui lo stesso viene prestato.
19. Tale interpretazione, peraltro, risulta accolta finanche dalla stessa Agenzia delle Entrate che, nella risoluzione del 31.3.2008 n. 31 adottata dalla Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, ha inteso precisare che beneficiano della non imponibilita’ i “lavori di manutenzione” eseguiti nelle “aree portuali” (ipotesi anch’essa ricompresa nell’elenco dei “servizi non imponibili” di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 9, comma 1, n. 6) e che non assume nella disciplina normativa alcun elemento di specificita’ rispetto agli altri “luoghi” ed “impianti” considerati dalla stessa disposizione, in quanto tutti assoggettati alle identiche condizioni di non imponibilita’: del tutto apodittica e’ pertanto l’affermazione della CTR secondo cui la risoluzione amministrativa, in quanto concernenti porti e non aeroporti, sarebbe irrilevante nella fattispecie in esame) anche se eseguiti attraverso la forma giuridica del “subappalto” (e dunque anche le prestazioni eseguite dalle societa’ subappaltatrici a favore della societa’ appaltatrice) od anche se eseguiti dalle singole imprese consorziate a favore della societa’ consortile, risultata aggiudicataria della gara di appalto la quale ha stipulato il contratto di appalto (od altro negozio avente ad oggetto la medesima obbligazione di risultato) con il gestore dell’impianto portuale (aeroportuale o ferroviario), sempre che, ovviamente, i lavori eseguiti dai subappaltatori/consorziati abbiano ad oggetto “la realizzazione dei medesimi servizi dell’appalto principale”, rimanendo invece escluse dall’applicazione della norma tributaria tutte quelle cessioni di beni e prestazioni di servizi a favore della societa’ appaltatrice “meramente strumentali o propedeutiche” alla esecuzione dei lavori oggetto del contratto di appalto (fornitura materiali di costruzione; noleggio macchinari di cantiere, ecc), cui sembra fare generico – e forse inconsapevole – riferimento lo stesso Giudice di appello (permanendo attuale la necessita’ di un compiuto accertamento in fatto) laddove in sentenza richiama i “vari contratti successivamente stipulati dalla (OMISSIS) con imprese fornitrici o subappaltatrici”.
20. La statuizione della sentenza impugnata, che ha ritenuto assoggettabili ad IVA le prestazioni rese dai subappaltatori aventi ad oggetto parte dei lavori strutturali di ampliamento dell’aeroporto di (OMISSIS), deve ritenersi, dunque, errata in diritto e, pertanto, va cassata, dovendo attenersi in sede di rinvio il Giudice di merito, chiamato a verificare la corrispondenza delle opere eseguite dalle ditte subappaltatrici ai lavori strutturali di ampliamento dell’impianto aeroportuale oggetto del contratto di appalto, alla interpretazione della norma tributaria (Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 9, comma 1, n. 6), come integrato dal Decreto Legge 27 aprile 1990, n. 90, articolo 3, comma 13, convertito in Legge 26 giugno 1990, n. 165) fornita da questa Corte.
21. Anche il quinto motivo (violazione del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 6, comma 8, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) deve ritenersi fondato. Rileva il Collegio che, pur essendo condizionata dall’errore in diritto commesso dal Giudice di appello -come accertato nell’esame del terzo motivo di ricorso – la statuizione della CTR, impugnata con il quinto motivo, laddove e’ affermata la legittimita’ della irrogazione della sanzione pecuniaria, ai sensi del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 6, comma 8, per “omessa regolarizzazione” da parte di (OMISSIS) s.c.p.a. delle fatture emesse in regime di “non imponibilita’ IVA” dalle ditte subappaltatrici dei lavori di ampliamento aeroportuale, e dunque pur dovendo ritenersi conseguentemente esclusa la condotta illecita qualora dovessero ricorrere nei contratti di “fornitura o subappalto” le condizioni indicate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 9, comma 1, n. 6) e succ. mod. – secondo la interpretazione della norma fornita al precedente punto 17, della presente motivazione, tuttavia, in considerazione della esigenza di verifica, da parte del Giudice del rinvio, di dette condizioni di non imponibilita’, si palesa opportuno, per economia processuale, l’esame del motivo di ricorso che investe la statuizione indicata.
22. Il motivo e’ fondato.
23. E’ appena il caso di rilevare come soggetto passivo d’imposta, nel rapporto contrattuale intercorso tra societa’ appaltatrice/committente e societa’ subappaltatrice/fornitrice, sia quest’ultima, tenuta pertanto ad emettere fattura ove la prestazione eseguita sia assoggettata ad IVA od anche sia considerata dalla legge non imponibile (non venendo in tal caso meno gli “obblighi formali” posti a carico del soggetto passivo: Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, comma 6, lettera b), e – nel primo caso – tenuta anche a versare l’imposta all’Erario, con obbligo di rivalsa. Pertanto rispetto al rapporto tributario tra soggetto passivo ed Erario, il soggetto obbligato in rivalsa e’ terzo estraneo, venendo ad integrare l’obbligo di rivalsa un rapporto giuridico, di diritto civile devoluto pertanto alla cognizione del Giudice ordinario, del tutto autonomo e distinto da quello tributario. In relazione a tale configurazione dei rapporti giuridici tra soggetto passivo, Erario e soggetto obbligato in rivalsa, quest’ultimo non puo’ essere chiamato (escluso ovviamente il caso di frode) a rispondere personalmente per eventuali inadempimenti della obbligazione tributaria che fa capo esclusivamente al soggetto passivo, ma puo’ essere invece chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio per colpevole inosservanza di obblighi di condotta che, pur attenendo alla regolarita’ formale del rapporto privatistico con il cedente/prestatore (qual e’ l’obbligo di emissione della fattura), vengono a riverberare “ab externo” sulla corretta attuazione del distinto rapporto tributario. In tale contesto si colloca il controllo richiesto al cessionario/committente sulla regolarita’ formale della operazione dallo stesso effettuata con il cedente/prestatore, in relazione alla fattura emessa da quest’ultimo, condotta richiesta al cessionario/committente la cui inosservanza integra illecito tributario ai sensi del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 6, comma 8.
24. Tale norma sanzionatoria definisce i limiti oggettivi della condotta “esigibile” dal cessionario/committente (in quanto riconducibile alla sfera di controllo di quest’ultimo), configurando due diverse fattispecie. Fermo l’obbligo ex lege del soggetto passivo di emettere fattura (Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21) cui e’ condizionata anche l’attuazione del rapporto privatistico avente ad oggetto l’esercizio del diritto di rivalsa (Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 18, commi 1 e 4: cfr. Corte Cass. Sez, 2, Sentenza n. 17876 del 23/07/2013), al cessionario/committente e’ prescritto di verificare la regolarita’ formale della operazione in relazione: a) alla mancata ricezione della fattura nei termini di legge; b) alla ricezione di una fattura “irregolare”. Orbene, mentre nella prima delle due ipotesi considerate, la norma presuppone che il cessionario/committente “nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi” (Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 6, comma 8, prima parte), e cioe’ presuppone la incontestata riconducibilita’ del rapporto intercorso tra le parti ad una delle operazioni – astrattamente – assoggettabili ad IVA, Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 1, venendo ad essere in conseguenza limitato il controllo del cessionario/committente alla osservanza da parte del cedente/prestatore del termine entro il quale la fattura deve essere rilasciata, come e’ dato evincere dal riferimento cronologico che riveste elemento essenziale nella fattispecie omissiva (mancata ricezione della fattura “nei termini di legge”), diversamente, nella seconda ipotesi contemplata dalla norma sanzionatoria, il “controllo” richiesto al cessionario/committente e’ intrinseco al documento, in quanto limitato alla “regolarita’ formale” della fattura e dunque alla verifica dei requisiti essenziali individuati nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, tra cui i dati relativi alla natura, qualita’, quantita’ dei beni e servizi, l’ammontare del corrispettivo, l’aliquota, l’ammontare della imposta e dell’imponibile e – per quanto qui interessa – la effettiva annotazione sulla fattura di “operazione non imponibile” in quanto ricompresa nei servizi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 9, comma 1, n. 6).
25. Dal tenore della norma sanzionatoria deve, invece, escludersi che sia richiesto al soggetto che riceve la fattura anche un controllo di natura sostanziale in ordine alla corretta qualificazione fiscale della operazione, tenuto conto che il riferimento alla “maggiore imposta eventualmente dovuta” (Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 6, comma 8, lettera b), quale condizione cui e’ subordinata la regolarizzazione della fattura e la esenzione del cessionario/committente dalla irrogazione della sanzione pecuniaria, induce a ritenere collegata detta condizione alla irregolarita’ dei dati – che presuppongono la “irregolare” liquidazione, in misura inferiore al dovuto, della imposta – risultanti dallo stesso documento (aliquota, ammontare della imposta, imponibile), non avendo invece subordinato il Legislatore la esenzione dalla sanzione anche alla condizione del pagamento della intera imposta (non versata dal cedente/prestatore), che si sarebbe reso necessario qualora si fosse voluto estendere il controllo del cessionario/committente anche alla valutazione della qualificazione fiscale della operazione (e quindi, nel caso di specie, alla valutazione giuridica della operazione illegittimamente fatturata dall’emittente con annotazione di “non imponibilita’”).
Se pertanto al concessionario/committente non puo’ essere imputata, in ogni caso, la erronea fatturazione della operazione qualificata “non imponibile” (indipendentemente dall’accertamento in fatto che verra’ compiuto dal Giudice del rinvio), ricadendo interamente sull’emittente l’errore valutativo – anche se indotto da terzi – incidente sul rapporto tributario, e se non puo’, in conseguenza, ritenersi (formalmente) “irregolare” ai sensi del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 6, comma 8, la relativa fattura emessa, in quanto completa di tutti gli elementi essenziali richiesti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, la statuizione del Giudice di appello impugnata risulta errata e va pertanto cassata, dovendo darsi seguito al principio di diritto, enunciato da questa Corte, secondo cui, in tema di IVA, il Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 41, comma 5, lettera b), (riformulato dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1979, n. 24 e dal Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito in Legge 27 aprile 1989, n. 154), poi abrogato dal Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e sostituito dalle disposizioni dell’articolo 6 di quest’ultimo, in base al quale il cessionario di un bene od il committente di un servizio, ricevendo fattura irregolare, e’ tenuto a “regolarizzare l’operazione”, con la presentazione di un documento integrativo contenente tutte le indicazioni prescritte dall’articolo 21 e con il versamento dell’imposta dovuta, restando soggetto in caso d’omissione pure a sanzione pecuniaria, implica l’obbligo di supplire alle mancanze commesse dall’emittente in ordine all’identificazione dell’atto negoziale ed alla notizia dei dati di fatto fiscalmente rilevanti, non anche di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche espresse dall’emittente medesimo, quando, in fattura recante l’annotazione di tutti i suddetti estremi, inserisca l’esplicita dichiarazione di non debenza dell’imposta (dichiarazione prevista dal comma 6 di detto articolo 21), indipendentemente dalla questione della tassabilita’ o meno dell’operazione (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1841 del 18/02/2000; id. Sez. 5, Sentenza n. 7681 del 16/05/2003).
26. Con il sesto e settimo motivo la societa’ ricorrente denuncia la falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 8, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ il vizio di omessa od insufficiente motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
27. Ritiene la ricorrente che, nella specie, sussisteva comunque la causa di non punibilita’ di cui al Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 8, determinata da “condizioni di obiettiva incertezza” sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni tributarie (articolo 172 T.U.I.R.; Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 9, comma 1, n. 6).
28. Se in relazione alla sanzione applicata ai sensi del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 6, comma 8, entrambi i motivi debbono ritenersi assorbiti dall’accoglimento del quinto motivo, per quanto concerne la sanzione irrogata per violazione dell’articolo 172 T.U.I.R., il capo di sentenza impugnata che afferma la legittimita’ della pretesa sanzionatoria deve intendersi caducato in conseguenza dell’accoglimento dei primi due motivi di ricorso. Tuttavia anche in questo caso, dovendo la causa essere rinviata al Giudice di appello per l’accertamento della corretta applicazione, nella dichiarazione dei redditi presentata dalla societa’ per l’anno 2004, del principio di neutralita’ fiscale della fusione societaria, si rende opportuna per ragioni di economia processuale la pronuncia sui motivi di ricorso, per l’ipotesi in cui il Giudice del rinvio dovesse ritenere non correttamente applicato il principio predetto.
Osserva il Collegio che la mera “opinabilita’” del criterio ragionieristico utilizzato dalla societa’, ritenuta dalla CTR, non costituisce idonea e sufficiente premessa per l’applicazione l’esimente, tanto alla stregua del consolidato principio di diritto enunciato dalla Corte secondo cui l’incertezza normativa obiettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilita’ amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatati della norma tributaria, ossia la insicurezza ed equivocita’ del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione. Tale attivita’ interpretativa volta a chiarire il significato della disposizione tributaria, non e’ riferibile a un generico contribuente, ne’ ai soggetti capaci di un’interpretazione qualificata (studiosi, professionisti legali ecc.) e tanto meno all’ufficio finanziario, bensi’ esclusivamente al giudice, in quanto rappresenta l’unico soggetto dell’ordinamento investito del potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione normativa. Pertanto puo’ ritenersi che una norma abbia un significato obiettivamente incerto, quando l’interpretazione che di essa abbia dato la giurisprudenza non sia appagante, in termini di certezza, poiche’ oscillante tra risultati ermeneutici differenti e non univoci (cfr. Corte Cass. 28.11.2007 n. 24670; id. 21 marzo 2008, n. 7765; id. 11.9.2009 n. 19638; id. 23.3.2012 n. 4683 5 sez. 23.3.2012 n. 4683).
29. Tanto premesso non avendo fornito la societa’ ricorrente alcuna prova della allegata incertezza obiettiva in ordine alla applicazione della norma tributaria e neppure allegato alcuno degli indici sintomatici sopra descritti, entrambi i motivi si palesano infondati.
30. In conclusione il ricorso trova accoglimento quanto al secondo, terzo, quarto e quinto motivo, infondato il primo motivo, assorbiti il sesto ed il settimo – relativamente alla censura di violazione del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 6, comma 8, infondati il sesto ed il settimo – con riferimento alla censura di violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 8; la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria della regione della Puglia che, attenendosi ai principi di diritto enunciati ai punti 16, 17 25 e 28 della motivazione, procedera’ a nuovo esame emendando i vizi riscontrati e liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte:- accoglie il ricorso, quanto al secondo, terzo, quarto e quinto motivo, infondato il primo motivo, assorbiti il sesto ed il settimo -relativamente alla censura di violazione del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 6, comma 8, infondati il sesto ed il settimo – con riferimento alla censura di violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 8, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione della Puglia che, attenendosi ai principi di diritto enunciati ai punti 16, 17 25 e 28 della motivazione, procedera’ a nuovo esame emendando i vizi riscontrati e liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimita’.

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