Suprema Corte di Cassazione
sezione tributaria
sentenza 11 dicembre 2015, n. 25007
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI BLASI Antonino – Presidente
Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere
Dott. MELONI Marina – Consigliere
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11025/2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta delega in calce;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. Legge 234/200 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 17/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2015 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento;
uditi per i controricorrenti gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 15-7-1997 si apriva la successione del noto stilista (OMISSIS).
L’eredita’ era devoluta per testamento ad (OMISSIS), istituita erede universale, la quale, unitamente al legatario (OMISSIS), impugnava dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Milano un avviso di liquidazione notificato il l-6-2005 in rettifica del valore della partecipazione per il 50 % nella (OMISSIS) s.p.a..
Radicatosi il contraddittorio, l’adita commissione accoglieva il ricorso, e la sentenza, appellata dall’amministrazione, veniva confermata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia.
La commissione regionale reputava correttamente accolta in primo grado l’eccezione di decadenza dal potere di rettifica, essendo infruttuosamente decorso il termine di cui al Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 27, comma 3, a partire dal pagamento della prima rata dell’imposta, stante la dilazione ottenuta dalla parte contribuente.
Nel merito in ogni caso la commissione reputava infondata la considerazione dell’ufficio secondo cui le vicende patrimoniali della societa’, successive all’approvazione del bilancio, avrebbero potuto aver rilievo solo se caratterizzate da eccezionalita’ e da imprevedibilita’. Ed egualmente reputava infondata l’altra obiezione – sempre sollevata dall’ufficio – facente leva sulla non avvenuta regolare approvazione assembleare del bilancio infrannuale messo a base del minor valore esposto nella dichiarazione di successione, giacche’ il detto bilancio aveva comunque recepito gli effetti di pregresse delibere, anteriori al decesso di (OMISSIS), che avevano comportato a loro volta una riduzione delle attivita’ imputate a riserva, per effetto della distribuzione di utili e di dividendi.
Avverso la sentenza d’appello, depositata il 17-3-2008, l’amministrazione ricorre per cassazione con quattro motivi.
Gli intimati resistono con controricorso e successiva memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I. – Col primo motivo di ricorso l’amministrazione denunzia la violazione del Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 27, comma 3, e articolo 38, comma 1, in quanto, anche in caso di dilazione di pagamento, il termine di decadenza previsto dalla prima disposizione avrebbe dovuto farsi decorrere dal versamento dell’ultima rata, non potendo l’imposta considerarsi “pagata”, per gli effetti discendenti sull’attivita’ di rettifica e di liquidazione, prima dell’adempimento integrale dell’obbligazione relativa all’imposta principale.
2. – Il motivo e’ fondato.
In ordine all’imposta di successione, il Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 27, comma 3, nel testo conseguente al Decreto Legge n. 323 del 1996, articolo 10, comma 10, conv. in Legge n. 425 del 1996, dispone che “l’ufficio, se ritiene che la dichiarazione, o la dichiarazione sostitutiva, o integrativa, sia incompleta o infedele ai sensi dell’articolo 32, commi 2 e 3, procede alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta a norma dell’articolo 34. La rettifica deve essere notificata, mediante avviso, entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell’imposta principale”.
Come questa corte ha avuto modo di precisare, il pagamento della detta imposta principale costituisce il dies a quo del computo del termine di decadenza per l’esercizio del potere di rettifica e di liquidazione della complementare, e riguarda l’assolvimento dell’imposta previamente liquidata dall’ufficio in base alla dichiarazione del contribuente (v. Sez. 5 n. 9960-15). Invero al fine di decidere sulla dichiarazione tributaria di successione, l’ufficio competente e’ fornito di due poteri: (a) l’uno, che si concretizza nella liquidazione dell’imposta in base alla dichiarazione, e’ il potere di determinare l’imposta principale e l’imposta suppletiva di successione previo esercizio di un’attivita’ di accertamento liquidatorio formale da effettuarsi entro il termine di tre anni dalla data di presentazione della dichiarazione di successione (articolo 27, comma 2); (b) l’altro, che si concretizza nella eventuale rettifica della dichiarazione del contribuente e, conseguentemente, nella determinazione dell’imposta complementare di successione, e’ il potere manifestato da un accertamento tributario sostanziale, il quale, nel fattore tempo, e’ regolato dal ripetuto articolo 27, comma 3.
Ora il concetto di pagamento – che rappresenta il fatto rispetto al quale il provvedimento amministrativo tributario di determinazione dell’imposta complementare abbia a collocarsi “successivamente” ex articolo 27, comma 3 – evoca la funzione estintiva dell’obbligazione liquidata in base alla dichiarazione.
E’ vero che il Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 38, consente al debitore di ottenere una facilitazione a tal riguardo, effettuando il pagamento nella misura non inferiore al 20 % del dovuto (comprensivo di eventuali sanzioni e interessi) e dilazionando il residuo in rate annuali posticipate. Ed e’ vero che si tratta giustappunto di una modalita’ di estinzione del debito d’imposta – come detto dalla commissione tributaria – rispetto al pagamento immediato.
Ma e’ altrettanto indubitabile che tale modalita’ rileva alla stregua di “pagamento” in quanto abbia infine determinato l’effetto proprio di estinzione del debito sottostante.
Poiche’ l’articolo 27, comma 3, ancora il dies a quo del termine di decadenza al fatto del pagamento, vale a dire all’effetto che ne consegue quanto all’obbligazione relativa all’imposta principale, e’ logico desumere che il decorso del termine presupponga, ai fini della complementare, l’effettivo adempimento dell’obbligazione detta; e che dunque debba essere computato a partire dalla data del versamento dell’ultima rata d’imposta.
3. – Col secondo motivo di ricorso l’amministrazione denunzia la violazione del Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 16, comma 1, lettera b), dovendo considerarsi rilevanti ai fini della determinazione del valore del patrimonio netto assunto come base imponibile solo gli eventi eccezionali e non prevedibili in sede di redazione dell’ultimo bilancio pubblicato, e non. anche, quindi, le operazioni relative a distribuzioni di dividendi effettuate nel corso dell’esercizio successivo a quello chiuso con l’approvazione del citato ultimo bilancio.
Col terzo motivo di ricorso, l’amministrazione denunzia la violazione del Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 16, comma 1, lettera b), sostenendo che il patrimonio, ai sensi della norma citata, deve risultare da un bilancio, non solo approvato dall’assemblea dei soci, ma anche pubblicato; poiche’ non e’ ammissibile alcuna equiparazione di effetti giuridici tra la delibera assembleare di distribuzione degli utili e il bilancio, la commissione tributaria regionale non avrebbe potuto tener conto, al fine di determinare il patrimonio netto al momento dell’apertura della successione, di un atto (come il bilancio infrannuale) non approvato dall’assemblea, ove anche recettivo di effetti di anteriori delibere di distribuzione di dividendi.
Infine col quarto motivo di ricorso l’amministrazione denunzia la violazione del Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 16, comma 1, lettera b), sotto il profilo che, in ogni caso, un atto come quello di specie, redatto il medesimo giorno di apertura della successione, non potevasi considerare come bilancio ai sensi della norma citata.
4. – E’ fondato il terzo motivo, il cui esame, a fronte degli altri, appare assorbente.
La commissione tributaria regionale, per quanto sinteticamente e di riflesso alla confutazione della contraria opinione dell’ufficio, ha mostrato di considerare correttamente determinato il minor valore della partecipazione societaria, esposto nella dichiarazione di successione, in conseguenza di un “bilancio infrannuale” recettivo di quanto emergente da “pregresse delibere”, tutte antecedenti al decesso di (OMISSIS), che avevano “comportato una riduzione delle attivita’, per effetto della distribuzione di utili e di dividendi, imputati alle riserve”. Cio’ a prescindere dal fatto che quel bilancio infrannuale non era stato regolarmente approvato in assemblea.
In tal modo la commissione tributaria ha ritenuto di poter prescindere dal piu’ consistente valore delle risultanze del bilancio “ordinario”, id est regolarmente approvato.
5. – Al fondo della considerazione della commissione tributaria si annida un errore di diritto. In tema di imposta di successione, ai sensi del Decreto Legislativo 31 dicembre 1990, n. 346, articolo 16, comma 1, lettera b), (nel testo vigente ratione temporis), e ai fini della determinazione della base imponibile relativamente ad azioni o quote di societa’ comprese nell’attivo ereditario, occorre avere riguardo al valore del patrimonio netto delle stesse, che risulti dalla redazione dell’ultimo bilancio approvato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, poiche’ tale valore e’ vincolante sia per il contribuente che per l’amministrazione finanziaria, alla quale e’ consentito procedere all’eventuale attualizzazione delle poste, attive e passive, espresse nel medesimo bilancio, se ritenute infedelmente rappresentative del patrimonio netto attuale dell’ente a causa di possibili mutamenti intervenuti tra la data di approvazione del bilancio e la morte del socio (v. di recente Sez. 5 n. 1972-15).
Tale dettagliata disciplina e’ stata enucleata al fine di evitare elusioni d’imposta e di determinare il valore dell’attivo prevenendo tentativi di artata riduzione dell’asse.
Per tale ragione il criterio di valutazione ivi stabilito, cosi’ come d’altronde quelli previsti nelle distinte norme del Decreto Legislativo n. 346 del 1990, onde determinare l’attivo ereditario, e’ un criterio normativo che non ammette correttivi foranei non altrettanto normativamente supportati.
Ne consegue che – contrariamente a quanto ritenuto dalla commissione tributaria – la base imponibile relativamente ad azioni, titoli e quote sociali non puo’ essere determinata, ove risultino valori di bilancio regolarmente approvati, assumendo come criterio di computo distinte risultanze tratte da documenti diversi, come nella specie l’asserito ulteriore “bilancio infrannuale” non regolarmente redatto o non regolarmente approvato secondo le ordinarie regole di diritto societario (articoli 2364 e 2435 c.c.).
Ne’ possono rilevare alla stregua di “mutamenti sopravvenuti”, suscettibili di essere considerati come limite alla valorizzazione in base all’ultimo bilancio, le circostanze evidenziate in sentenza circa la previsione di distribuzione di utili e dividendi, determinativa di una riduzione delle attivita’ imputate a riserva. E’ sufficiente al riguardo osservare che l’articolo 2433 c.c., comma 2, vieta, nella societa’ per azioni, il pagamento di dividendi se non per utili “risultanti dal bilancio regolarmente approvato”. E cio’ conferma l’irrilevanza, nell’ottica delle ordinarie regole civilistiche come anche nei riflessi che ne conseguono nel campo fiscale, di documenti diversi tesi a legittimare un’attivita’ distributiva del tipo di quella evocata.
6. – Pertanto l’impugnata sentenza va cassata in relazione al primo e al terzo motivo di ricorso. Segue il rinvio alla medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, la quale provvedere a nuovo esame uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti. La commissione provvedera’ anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Lombardia.
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