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E il principio, si e’ detto, trova “pieno sostegno positivo in un complesso normativo unitario, risultante dall’articolo 136 Cost., comma 1, dalla Legge Costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, articolo 1 e dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, che stabiliscono il principio generale della cessazione di efficacia della norma di legge dichiarata incostituzionale e pongono il divieto della sua applicazione ai rapporti giuridici in corso con effetti invalidanti assimilabili all’annullamento. Come ancora affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 42858/2014, cio’ vale per tutti gli ambiti dell’ordinamento, e pero’, in forza della L. n. 87 del 1953, articolo 30, comma 4, in materia penale con portata ben maggiore, disponendosi che “quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale e’ stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”. La disposizione, come e’ stato efficacemente sintetizzato dalla dottrina, estende “al massimo l’incidenza “retroattiva” delle decisioni d’incostituzionalita’ nella materia penale, quando si sia pronunciata sentenza di condanna in applicazione di leggi poi dichiarate incostituzionali. Tali sentenze, ancorche’ passate in giudicato, cessano di avere esecuzione e di produrre qualsiasi effetto penale”; inoltre “si rimanda ancora alle numerose ed articolate considerazioni di cui alle Sezioni Unite Gatto, qui solo compendiabili con l’assunto per cui “mentre la disposizione dell’articolo 673 cod. proc. pen. prevede che il giudice dell’esecuzione revochi la sentenza di condanna irrevocabile, con cancellazione del dictum del giudice della cognizione e, percio’, con incisione diretta sul giudicato, la L. n. 87 del 1953, articolo 30 esaurisce la sua valenza demolitoria sull’esecuzione della sentenza, invalidandone parzialmente il titolo esecutivo, senza alcuna efficacia risolutiva della decisione divenuta irrevocabile (Corte cost., sentenze n. 230 del 2012 e n. 96 del 1996)”. Con l’effetto che tale ultima norma ben puo’ – e percio’ deve, al fine di riportare a legalita’ l’esecuzione della pena (la cui verifica e’ sempre demandata al giudice ex articolo 665 cod. proc. pen.) – essere interpretata nel senso di consentire l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole derivante da condanna assunta sulla base di una norma poi dichiarata incostituzionale”.
L’efficacia invalidante ex tunc della pronuncia di incostituzionalita’, si e’ precisato, puo’ “avere effetto anche con riguardo alla declaratoria di prescrizione del reato, eventualmente da pronunciare “ora per allora”. In particolare, a fronte di una sentenza di illegittimita’ costituzionale che incida sul trattamento sanzionatorio, deve ammettersi che il giudice dell’esecuzione – quando a cio’ sollecitato – debba non solo intervenire sulla stessa misura della pena (e, nel caso delle fattispecie oggetto della sentenza n. 56 del 2016, addirittura sulla sua specie), trasformando in legale una sanzione ormai illegale (perche’ determinata in ragione della norma vigente all’epoca della pronuncia di merito, poi cancellata o manipolata dalla sentenza di incostituzionalita’), ma debba anche dichiarare l’estinzione per prescrizione del reato quando accerti che i termini di cui all’articolo 157 c.p., e s.s. – calcolati sulla sanzione edittale come ricavata dalla pronuncia di incostituzionalita’ – erano interamente spirati alla data dell’ultima sentenza di merito. Il giudice dell’esecuzione, pertanto, si deve porre – “ora per allora” – nella stessa ottica che avrebbe avuto il giudice della cognizione se si fosse pronunciato successivamente alla declaratoria di incostituzionalita’ e, con l’unico ed insuperabile limite dei rapporti ormai esauriti e non piu’ retrattabili, deve dare attuazione alla pronuncia medesima, impedendo che la norma gia’ oggetto di censura – ormai espunta dall’ordinamento – possa produrre qualsivoglia ulteriore effetto”.
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