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E’ stato osservato come la pronuncia della Corte costituzionale, n. 56 del 23 marzo 2016, produca “molteplici e rilevanti effetti, per lo piu’ in bonam partem, a muover dal piu’ mite trattamento sanzionatorio e relativi termini prescrizionali, fino alla non punibilita’ del tentativo; effetti che – sin dalla pubblicazione delle sentenza medesima – involgono per certo i giudizi in corso e la fase del merito, ma che interessano anche quella dell’esecuzione, qui in esame, assegnando al giudice competente ex articolo 665 cod. proc. pen. significativi poteri di intervento sulla sentenza emessa – e divenuta irrevocabile – prima della decisione del Giudice delle leggi. Poteri che discendono dai caratteri propri della pronuncia di incostituzionalita’, anche in rapporto al fenomeno della successione delle leggi nel tempo, per come richiamati anche dalla giurisprudenza di questa Corte e compendiati, con particolare ricchezza argomentativa, nella sentenza a Sezioni unite n. 42858 del 29/5/2014, ric. Gatto, peraltro sul tracciato gia’ segnato dalle precedenti n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano, e n. 4687 del 20/12/2005, Catanzaro, sempre pronunciate dal medesimo Collegio. In particolare, il Supremo Consesso ha sottolineato che gli effetti della declaratoria di incostituzionalita’ non sono paragonabili a quelli dello ius superveniens, poiche’ la dichiarazione d’illegittimita’ costituzionale inficia fin dall’origine (o, per le leggi a questa anteriori, fin dalla emanazione della Costituzione) la disposizione impugnata. Pertanto, le pronunce stesse fanno sorgere l’obbligo per i giudici – tutti i giudici, compreso quello dell’esecuzione – avanti ai quali si invocano le norme di legge dichiarate illegittime di non applicarle, a meno che i rapporti cui esse si riferiscono debbano ritenersi ormai esauriti in modo definitivo ed irrevocabile, e conseguentemente non piu’ suscettibili di alcuna azione o rimedio, secondo i principi invocabili in materia”.
Si e’ ritenuto, quindi, che “il giudice dell’esecuzione, quando ritualmente investito, deve realizzare – nella misura consentita da rapporti non esauriti e con l’esclusione di questi – una doverosa “bonifica” della sentenza irrevocabile, privandola degli elementi “inquinanti” oggetto della declaratoria di incostituzionalita’, che debbono esser eliminati ab origine perche’ tamquam non fuissent; nei medesimi termini, dunque, nei quali si sarebbe pronunciato il giudice della cognizione, qualora intervenuto successivamente alla sentenza della Corte costituzionale.
Tale affermazione e’ stata ritenuta logico sviluppo di principi piu’ volte affermati da questa Corte Suprema, sempre con riguardo a pronunce di incostituzionalita’. Ad esempio, in esito alla sentenza della Corte cost. n. 32 del 25 febbraio 2014 che, dichiarando l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 272 del 2005, articolo 4-bis, ha reintrodotto la distinzione sanzionatoria tra “droghe leggere” e “droghe pesanti” – la giurisprudenza di legittimita’ ha ripetutamente evidenziato che il trattamento punitivo irrogato quanto alle prime (impiegando la disciplina originata dalla norma censurata dalla Corte) doveva esser rideterminato in sede esecutiva (tra le altre, Sez. 1, n. 1650 del 15/11/2016, Ciurra; Sez. 1, n. 30226 del 15/1/2016, Pregio; Sez. 1, n. 29955 dell’11/12/2015, Musesi; Sez. 6, n. 27403 del 10/6/2016, Crivello, tutte non massimate), affermando altresi’ la possibilita’ di disporre, in tale contesto, la sospensione condizionale della pena (Sez. U, n. 37107 del 26/2/2015, Marcon, Rv. 264859). Nei medesimi termini, a seguito della sentenza Corte cost. n. 249 dell’8 luglio 2010 – che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 61 c.p., n. 11-bis (cd. circostanza aggravante della clandestinita’) -, questa Corte ha sostenuto la necessita’ di rideterminare l’entita’ della pena, anche in sede esecutiva, detraendo da quella complessivamente irrogata dalla sentenza irrevocabile la quantita’ “illegale” di pena “aggiunta” per effetto della circostanza aggravante costituzionalmente illegittima (Sez. U. Gatto; diversamente, in caso di annullamento con rinvio, quindi su pronuncia non definitiva, a cio’ avrebbe provveduto il giudice della cognizione nuovamente investito, sia pur solo in parte qua. Sul punto, Sez. 1, n. 16292 del 15/3/2011, Cortez, Rv. 249968). Ancora nella medesima ottica, poi, si richiamano le Sez. U. Catanzaro (n. 4687 del 20/12/2005, Rv. 232610) che, sia pur con riferimento ad un caso di successione di leggi nel tempo (quel che, dunque, vale con ancor maggior forza a fronte di una sentenza di incostituzionalita’), avevano affermato che il giudice dell’esecuzione, qualora, in applicazione dell’articolo 673 cod. proc. pen., pronunci per intervenuta abolitio criminis ordinanza di revoca di precedenti condanne, le quali siano state a suo tempo di ostacolo alla concessione della sospensione condizionale della pena per altra condanna, puo’, nell’ambito dei “provvedimenti conseguenti” alla suddetta pronuncia, concedere il beneficio, previa formulazione del favorevole giudizio prognostico richiesto dall’articolo 164 c.p., comma 1, sulla base non solo della situazione esistente al momento in cui era stata pronunciata la condanna in questione, ma anche degli elementi sopravvenuti”.
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