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Deve, infatti, osservarsi che il reato puntualmente attribuito al prevenuto, cioe’ la violazione dell’articolo 609 quinquies c.p., comma 1, e’ caratterizzato dalla necessita’ che la condotta da esso descritta – consistente nel compimento di atti sessuali, dovendo essere ricompresi in tale nozione non solamente le condotte di congiunzione carnale fra soggetti diversi ma anche le condotte onanistiche (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 15 aprile 2008, n. 15633) nonche’ gli atti di mero esibizionismo degli organi genitali, ove connessi a manifestazioni della vita sessuale (Corte di cassazione, Sezione 3 pena, 13 giugno 2016, n. 24417), in presenza di persona avente eta’ inferiore ad anni 14 – sia realizzata non solamente secondo la descritta modalita’, ma e’ anche previsto che la stessa sia posta in essere al fine di fare assistere ad essa il soggetto infraquattoridicenne.
Si tratta, pertanto, di un reato a dolo specifico in cui la volonta’ dell’agente deve essere indirizzata al perseguimento di uno scopo ulteriore rispetto al mero consapevole compimento di una determinata condotta.
Puo’ ben dirsi che, nel caso di specie, l’introduzione nella struttura del reato di un elemento finalistico peculiare (non indispensabile al fine del perfezionamento del reato sotto il profilo del suo divenire naturalistico – nel senso che l’evento voluto o quanto meno perseguito dall’agente potrebbe nella specie anche non essersi realizzato – ma fondamentale al fine di cui sopra sotto il profilo della direzione della volonta’ dell’agente, essendo lo scopo di fare assistere al compimento dell’atto sessuale un dato necessario acciocche’ si realizzi la piena integrazione dell’elemento soggettivo tipico del reato in questione) abbia la funzione di selezionare o comunque caratterizzare, con riferimento al loro disvalore penale, condotte che, sebbene non commendevoli, ove non sostenute dall’indicato specifico intento finalistico della condotta potrebbero non assurgere alla rilevanza penale, ovvero potrebbero essere diversamente qualificate, in termini di minore gravita’, sotto il profilo della loro pur affermata rilevanza penale (si pensi in tal senso, coeteris paribus, all’esistenza o meno del dolo specifico come fattore che potrebbe fungere da elemento sintomatico ai fini della diagnosi differenziale fra il reato di corruzione di minorenne e quello di atti osceni di cui al riformato articolo 527 c.p., comma 2).
Tanto premesso osserva, a questo punto il Collegio, come il tema della necessaria sussistenza del peculiare intento perseguito dall’agente nei reati caratterizzati dal dolo specifico si possa intersecare con il tema della capacita’ di intendere e di volere dell’agente medesimo.
E’ stato, infatti, rilevato in giurisprudenza che, sebbene la indagine in relazione alla colpevolezza del soggetto segnalato per essere ad imputabilita’ diminuita vada effettuata con gli stessi criteri adottabili nei riguardi del soggetto pienamente capace, tuttavia la ridotta capacita’ di intendere e di volere puo’ avere influenza nella ricerca della sussistenza del dolo, necessario per la integrazione della fattispecie delittuosa, nei reati contraddistinti da un particolare dolo specifico (Corte di cassazione, Sezione 1 penale, 16 gennaio 1985, n. 600); invero, seppure non vi e’ in linea di principio alcuna incompatibilita’ fra il vizio parziale di mente e la sussistenza del dolo generico (Corte di cassazione, Sezione 6 penale, 29 gennaio 2015, n. 4292) o del dolo eventuale (Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 9 aprile 2015, n. 14548), piu’ volte nel tempo la Corte ha, invece, rilevato come piu’ problematica, e comunque necessariamente oggetto di una piu’ approfondita verifica, sia la compatibilita’ fra la seminfermita’ mentale ed il dolo specifico (in tal senso, infatti, Corte di cassazione, Sezione 6 penale, 5 marzo 2001, n. 9202; idem Sezione 1 penale, 20 novembre 1984, n. 10440; idem Sezione 2 penale, 29 marzo 1971, n. 981), essendo questo, evidentemente, caratterizzato da una piu’ raffinata forma di volizione che trascende i soli limiti della condotta e dell’evento naturalisticamente inteso come tipica ed ordinaria conseguenza di detta condotta.
Nel caso in questione, ed applicando ad esso i principi dianzi esposti, rileva il Collegio come la Corte felsinea – pur avendo dato atto della circostanza che il prevenuto e’ stato ritenuto soggetto affetto da psicosi caratterizzata da alterazioni del pensiero ad impronta delirante persecutoria, con allucinazioni di tipo auditivo, tanto che lo stesso e’ stato riconosciuto seminfermo di mente con applicazione, per un verso, della circostanza attenuante di cui all’articolo 89 c.p., e, per altro verso, della misura di sicurezza della liberta’ vigilata, attesa la sua rilevata pericolosita’ – non abbia svolto alcun tipo di verifica in ordine alla compatibilita’ fra tale stato personale e la particolare forma di dolo previsto per il reato in contestazione, essendosi il giudice del gravame limitato a riportare il principio giurisprudenziale, peraltro affermato in relazione alla sussistenza degli elementi gravemente indizianti necessari per la adozione di un mera misura cautelare, secondo il quale la configurabilita’ del dolo specifico non richiede la prova certa della consapevolezza del reo di agire al fine di far assistere il minore agli atti sessuali commessi in sua presenza, potendosi tale direzione finalistica desumersi anche da elementi solo indizianti (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 25 marzo 2015, n. 12537); laddove e’ manifesta la illogicita’ di tale motivazione nella parte in cui in essa si ritengono applicabili, al di la’ della loro pertinenza alla sola fase cautelare del giudizio, ad un soggetto affetto da una grave compromissione della capacita’ di intendere e di volere – attitudine questa che, affinche’ sia riscontrata la seminfermita’ mentale, deve essere, infatti, grandemente scemata – i medesimi principi in ordine alla formazione e direzione della volonta’ riguardanti il soggetto non affetto da patologie psichiatriche di sorta; e cio’ anche laddove le caratteristiche di tale formazione e direzione presentino delle specificita’ che presuppongono una forma di ideazione non solo elementare ma dotata di una certa raffinatezza elaborativa.
In definitiva la sentenza impugnata, stante il vizio di motivazione in relazione alla compatibilita’ nel caso di specie fra la solo parziale imputabilita’ del prevenuto e la particolare forma di dolo che caratterizza il reato a lui contestato, deve essere annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna che, in applicazione dei principi dianzi esposti, rivalutera’ la ricorrenza in capo al (OMISSIS) dell’elemento soggettivo proprio del reato a lui contestato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.
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