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L’imputato ha sostenuto di aver scambiato colposamente le tazze di the tra la propria madre ed il ragazzo parte offesa. Inoltre l’imputato ha lasciato il cellulare al ragazzo consentendogli di mandare messaggi alla ragazza, circostanza questa in contrasto con la narcotizzazione dolosa. Anche l’aver mostrato un filmato a contenuto sessuale (rapporto con altro ragazzo) alla parte offesa non e’ un indizio grave, per la connotazione sessuale dell’episodio.
2. 3. Mancanza, contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione, e violazione di legge, relativamente all’insignificanza delle condotte successive dell’imputato, ai fini della declaratoria della responsabilita’ penale.
La Corte di appello valorizza per l’affermazione della responsabilita’ le prime dichiarazioni dell’imputato (senza difensore) nelle quali non si era fatto riferimento al the preparato anche per la madre; inoltre l’imputato aveva negato la presenza del ragazzo a casa sua, e il ragazzo non gli avrebbe chiesto aiuto per il malore, e se fosse stato in buona fede avrebbe subito posto rimedio al malore, chiamando i soccorsi.
Il ragazzo arrivava a casa dell’imputato gia’ prevenuto, come da lui stesso dichiarato. Il ricorrente si e’ impaurito dal malessere del ragazzo e quindi ha nascosto la circostanza per evitare conseguenze, per sola paura. L’uso del farmaco per la madre, precedente e continuo, rassicurava del resto l’imputato da conseguenze infauste per il ragazzo.
2. 4. Violazione di legge, articolo 609 bis c.p., comma 3.
La circostanza dell’articolo 609 bis c.p., u.c., avrebbe dovuto riconoscersi poiche’ il ragazzo aveva quasi 18 anni (mancavano solo 37 giorni) ed era fidanzato, e quindi con una maturita’ sessuale derivante dal rapporto di fidanzamento.
Inoltre la completa narcotizzazione avrebbe coartato in misura minima la sfera sessuale del ragazzo, perche’ incosciente al momento degli atti sessuali. Il rapporto sessuale inoltre sarebbe stato senza penetrazione, come riconosciuto dalla sentenza impugnata.
2. 5. Violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla desistenza volontaria.
La Corte di appello si limita a ritenere che l’imputato aveva negato la presenza del ragazzo con lui ai suoi familiari, che erano andati a cercarlo dopo i messaggi di aiuto. Questo non e’ sufficiente per escludere la desistenza volontaria. Inoltre il tempo trascorso prima dell’arrivo di (OMISSIS) senza la consumazione di atti sessuali, avrebbe dovuto far ritenere la desistenza volontaria.
2. 6. Violazione di legge, omesso accertamento della capacita’ di intendere e di volere.
In atti era presente una certificazione medica relativa ad accertamenti sulla capacita’ al lavoro del ricorrente. Cio’ avrebbe dovuto far sorgere dei dubbi sulla capacita’ di intendere e di volere dell’imputato, non superabili con la scelta del rito abbreviato. L’accertamento doveva essere disposto d’ufficio.
2.7. Violazione di legge, relativamente al trattamento sanzionatorio.
Eccessivo e’ il trattamento sanzionatorio, la riduzione per l’articolo 56 c.p., e’ stata effettuata non nella misura massima. Avrebbe dovuto applicarsi il minimo edittale in relazione ai fatti.
2. 8. Violazione di legge, errata applicazione delle pena accessorie ex articolo 609 nonies c.p., per il delitto tentato.
Il delitto tentato e’ un titolo di reato autonomo, e quindi non dovevano trovare applicazione le pene accessorie, e la misura di sicurezza, previste solo per i reati consumati.
Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ inammissibile perche’ i motivi di ricorso sono manifestamente infondati e ripetitivi dei motivi di appello senza critiche specifiche alle motivazioni della sentenza impugnata.
Inoltre il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto non consentita in sede di legittimita’.
La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicita’, sulla responsabilita’ del ricorrente, e sulla piena attendibilita’ del minore parte offesa.
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita’, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasivita’, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita’, la stessa illogicita’ quando non manifesta, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non puo’ essere utilmente dedotto in Cassazione solo perche’ il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiche’ cio’ si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimita’. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 – dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).
4. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicita’ o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla valutazione di attendibilita’ della parte offesa. Quindi la sentenza non presenta vizi logici per un eventuale intervento di legittimita’.
Infatti, in tema di reati sessuali, poiche’ la testimonianza della persona offesa e’ spesso unica fonte del convincimento del giudice, e’ essenziale la valutazione circa l’attendibilita’ del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, puo’ essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre e’ precluso in sede di legittimita’, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 – dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessita’ di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilita’ penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere piu’ penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine e’ necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo cosi’ l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 – dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730); le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
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