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Tali rilievi restano pero’ confinati nell’ambito delle mere asserzioni, che non consentono di escludere il dato significativo della posizione di assoluta parita’ dei due legali rappresentanti della societa’ e dell’assenza di qualsivoglia documentata ripartizione interna delle competenze, che non puo’ certo essere superata dall’affermazione, contenuta in ricorso, secondo la quale la presenza del ricorrente in azienda al momento del controllo era casuale, intendendo egli “farsi un giro” per “una passeggiata rilassante e ristoratrice”, mentre la qualifica di accomandatario gli sarebbe stata attribuita “al fine di renderlo piu’ autorevole in sede di contrattazione con terzi”.
Altrettanto deve dirsi per quanto concerne le dichiarazioni testimoniali della figlia dell’imputato, il cui contenuto e’ stato analizzato dal giudice del merito e non puo’ essere oggetto di autonoma valutazione in questa sede di legittimita’, peraltro attraverso la riproduzione di singole frasi estrapolate dai verbali di udienza, mediante le quali il ricorrente ritiene di dimostrare l’esistenza di un assetto societario diverso da quello accertato nel giudizio di merito.
La posizione di legale rappresentante della societa’ e la presenza in azienda imponevano, dunque, al ricorrente, di prendere comunque cognizione della situazione in atto e della violazione di specifici obblighi di legge, dei quali egli, quale legale rappresentante della societa’ unitamente alla moglie, era destinatario, beneficiando, peraltro, dei vantaggi conseguiti dalla societa’ medesima dall’inosservanza delle specifiche disposizioni in materia di rifiuti.
4. Parimenti manifestamente infondato risulta il terzo motivo di ricorso.
Va rilevato, in primo luogo, che il motivo di ricorso e’ generico, non avendo in alcun modo specificato il ricorrente quale siano le ragioni che consentirebbero di riconoscere la particolare tenuita’ del fatto, limitandosi ad un mero richiamo ai contenuti della sentenza impugnata.
Inoltre, per quanto e’ dato rilevare dalla sentenza impugnata e dal ricorso, l’imputato ed il suo difensore non hanno prospettato al giudice del merito la questione della particolare tenuita’ del fatto e secondo quanto gia’ affermato da questa Corte, quando la sentenza di merito e’ successiva alla vigenza della nuova causa di non punibilita’, la questione dell’applicabilita’ dell’articolo 131-bis c.p. non puo’ essere posta per la prima volta nel giudizio di legittimita’ come motivo di violazione di legge (cfr. Sez. 6, n. 20270 del 27/4/2016, Gravina, Rv. 26667801), ne’ puo’ affermarsi, in assenza di specifica richiesta, che nella fattispecie il giudice avesse l’obbligo di pronunciarsi comunque, non potendosi quindi rilevare alcun vizio di motivazione.
Infine, il richiamo alla sentenza risulta comunque incongruo, avendo il giudice del merito implicitamente escluso la particolare tenuita’ del fatto laddove, nel quantificare la pena, ha negato che la stessa potesse attestarsi vicino al minimo edittale in ragione delle conseguenze dello sversamento, persistenti anche a distanza di giorni.
Tali considerazioni rendono anche evidente la manifesta infondatezza dell’ulteriore censura riguardante l’eccessivita’ della pena, peraltro espressa anch’essa in maniera apodittica e senza confrontarsi con le argomentazioni sviluppate dal giudice del merito.
5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilita’ consegue l’onere delle spese del procedimento, nonche’ quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.

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