[….segue pagina antecedente]
Piu’ in dettaglio, i fatti oggetto del presente procedimento, avuto riguardo alle evasioni contributive nei confronti di Inps ed Inail, non impattano con il divieto del bis in idem sostanziale, che trova riconoscimento, quale diritto fondamentale dell’individuo, nell’articolo 4 Prot. 7 CEDU e nell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, sulla base di quanto specificamente elaborato anche dalla Corte EDU con la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia ed in successive pronunce sul tema della medesima autorita’ (Corte EDU, Grande Camera, 15/11/2016, A e B contro Norvegia), elaborazione che va completata tenendo conto della sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2016.
La Corte Europea, con la pronuncia in data 4 marzo 2014, ha chiarito che la qualificazione come “penale” di una data accusa dipende essenzialmente dalla natura amministrativa della sanzione applicabile e dalla struttura dell’illecito a fronte del quale detta sanzione puo’ rendersi operativa.
Invece, il procedimento, instaurato dagli enti previdenziali economicamente danneggiati, e’ funzionale, nel caso in esame, al recupero, in via esclusiva, delle somme evase e alla applicazione proporzionale di sanzioni di natura non amministrativa ma civile.
Come ha spiegato il tribunale, la L. n. 388 del 2000, articolo 116, stabilisce infatti espressamente che le sanzioni applicabili in sede di recupero hanno natura civile e rappresentano una conseguenza automatica dell’inadempimento al debito previdenziale, in funzione di rafforzamento dell’obbligazione contributiva e di predeterminazione legale della misura del danno subito dall’Istituto previdenziale, prescindendo da qualsiasi indagine circa l’imputabilita’ e la colpa nell’inadempimento.
Ne deriva che le sanzioni in esame, non presentando i connotati necessari per integrare, in base alla L. n. 689 del 1981, articolo 3, gli estremi della sanzione amministrativa, non possono in alcun modo essere qualificate come penali alla stregua delle affermazioni della giurisprudenza Europea e conseguentemente non si atteggiano ad illegittima duplicazione di quelle applicabili in sede penale, ravvisandosi piuttosto una progressione illecita tra esse.
La conseguenza e’ che non e’ applicabile il principio del “ne bis in idem” agli inadempimenti previdenziali ed assistenziali, nemmeno in considerazione di quanto affermato nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, poiche’ le stesse non hanno natura anche solo sostanzialmente penale, tendendo alla reintegrazione patrimoniale degli enti pubblici preposti, per dettato costituzionale, ad assicurare la previdenza e l’assistenza sociale secondo i principi fissati nell’articolo 38 Cost..
6. L’eccezione di legittimita’ costituzionale proposta con il terzo motivo e’ manifestamente infondata.
La Corte di cassazione ha, sul punto, gia’ affermato, con orientamento che il Collegio pienamente condivide ed al quale, richiamandosi, intende dare continuita’, che e’ manifestatamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 22, per asserito contrasto con l’articolo 3 Cost., articolo 24 Cost., comma 2, e articolo 111 Cost., in relazione alla presunta irragionevolezza della disciplina della prescrizione prevista per gli illeciti commessi dall’ente-imputato rispetto a quella prevista per gli imputati-persone fisiche, atteso che la diversa natura dell’illecito che determina la responsabilita’ dell’ente, e l’impossibilita’ di ricondurre integralmente il sistema di responsabilita’ “ex delicto” di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, nell’ambito e nella categoria dell’illecito penale, giustificano il regime derogatorio della disciplina della prescrizione (Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 2016, Bonomelli, Rv. 267047).
7. E’ invece parzialmente fondato il quarto motivo di impugnazione.
A fronte di una congrua motivazione circa la mancata concessione delle attenuanti generiche ed immutato l’importo delle quote rispetto alle determinazioni del primo giudice, la Corte di appello, nell’accogliere il gravame del pubblico ministero e nel determinare in aumento il numero delle quote, non ha preso in considerazione, come fondatamente lamenta la societa’ ricorrente, il disposto di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 11, il quale al comma 2, prevede che il giudice, nella commisurazione della pena, debba tenere conto “delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione”.
La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, sul quale incide l’omessa motivazione, per nuovo giudizio sul punto.
Il ricorso della (OMISSIS) s.r.l. va pertanto rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) S.r.l. limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Genova.
Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS) S.r.l.
Rigetta il ricorso del Procuratore Generale.
Leave a Reply