Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 18 dicembre 2017, n. 56264. Nel caso di ingresso nel territorio nazionale di una imbarcazione, il reato di evasione Iva ha natura di reato permanente e segue la merce

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E cio’ contrasta con l’articolo 3 Cost., essendo evidente alla ricorrente che la disciplina speciale contenuta nel Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 22, differenziandosi notevolmente rispetto a quella prevista dal codice penale per le persone fisiche, rende irragionevole la scelta del legislatore di disciplinare in modo diametralmente opposto due posizioni (quella della persona fisica imputata e quella dell’ente-imputato) che, nel sistema penale, si trovano in situazioni del tutto analoghe, in quanto titolare dei medesimi diritti sostanziali e processuali.
Il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 22, pare alla ricorrente anche in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo sancito sia dall’articolo 111 Cost., comma 2, che dall’articolo 6 della CEDU.
L’articolo 111 Cost., comma 2, e soprattutto l’articolo 6 della CEDU pongono infatti come esigenza dell’ordinamento, e insieme quale diritto primario dell’imputato, quello ad una durata ragionevole del processo, assicurata anche grazie all’istituto della prescrizione del reato, che fissa i termini in modo certo, conoscibile e predeterminato senza tollerare percio’ il protrarsi dei giudizi al di la’ di limiti stabiliti dalla legge.
La condizione di incertezza che si accompagna alla pendenza di un procedimento penale preclude all’imputato (nel caso di specie all’ente-imputato) la possibilita’ di orientare liberamente le proprie scelte di vita e iniziativa, diritti che vengono garantiti dalla Costituzione all’articolo 27, comma 3, laddove la pena e’ concepita nella prospettiva della sua essenziale ed ineliminabile funzione rieducativa, configurandosi cosi’ un potenziale pregiudizio che deriva dall’irragionevole e indefinito protrarsi del processo nei confronti dell’ente-imputato.
2.2.4. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la mancanza, la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della motivazione in relazione all’articolo 62 bis c.p., e al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 11, (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)).
Sostiene che la Corte d’Appello ha negato la concessione delle attenuanti generiche, affermando che “le caratteristiche della responsabilita’ di (OMISSIS) esclude che possano esserle concesse le richieste attenuanti generiche” ricorrendo ad una motivazione che sarebbe del tutto priva di senso logico, sul rilievo che la responsabilita’ per il fatto, invero, deve essere tenuta distinta dalle circostanze dello stesso fatto-reato. In tal modo il giudice del merito avrebbe disatteso l’obbligo motivazionale omettendo il puntuale esame dei parametri di legge e di indicare le ragioni poste a fondamento della sua scelta, cosi’ violando il disposto degli articoli 132 e 133 del codice penale. Inoltre la Corte territoriale avrebbe Omesso in toto di motivare circa la richiesta avanzata dalla difesa nell’atto di appello di graduazione della pena e concessione delle attenuanti generiche sulla base dell’articolo 11 del decreto legislativo 231 del 2001, il quale, al secondo comma, prevede che il giudice, nel commisurare la pena, debba tenere conto “delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione”.
La (OMISSIS) S.r.l. si trovava in stato di liquidazione e tale elemento giustificava da solo la riduzione della pena base fino al minimo edittale su cui applicare, poi, la riduzione per le attenuanti generiche, cosi’ da pervenire ad un trattamento sanzionatorio piu’ adeguato al caso di specie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del Procuratore Generale non e’ fondato, mentre l’impugnazione della (OMISSIS) s.r.l. e’ fondata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed infondata nel resto.
2. Passando all’esame del primo motivo di ricorso sollevato dal Procuratore Generale occorre anticipare che, quanto alla prescrizione del reato di cui al capo 1) della rubrica, la motivazione e’ errata, sebbene il dispositivo sia conforme al diritto, sicche’ e’ sufficiente procedere alla sua rettificazione ai sensi dell’articolo 619 c.p.p., comma 1, nei termini di seguito precisati.
2.1. La Corte di appello ha affermato che l’Iva all’importazione non rappresenta un diritto doganale di confine, con la conseguenza della inconfigurabilita’ del reato di contrabbando originariamente contestato in concorso con la violazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 70.
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte del merito ha osservato che la sottrazione al pagamento dell’Iva si e’ realizzata mediante l’indebita iscrizione dell’imbarcazione, oggetto di importazione, nel registro internazionale previsto dal Decreto Legge n. 457 del 1997, convertito nella L. n. 30 del 1998, riservato alle navi adibite esclusivamente a traffici commerciali internazionali: iscrizione cui consegue, tra gli effetti agevolativi, l’esenzione dal pagamento dell’Iva ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 8 bis.
La Corte ligure ha poi ricordato che il tribunale, aderendo alla qualificazione fornita dal pubblico ministero, aveva ritenuto che, poiche’ l’obbligo del pagamento dell’Iva sorge con l’importazione e poiche’ l’accertamento di tutti i diritti di confine spetta agli uffici doganali, l’Iva all’importazione, avendo natura di imposta di consumo a favore dello Stato, andasse inclusa tra i diritti di confine.
Invece, la Corte d’appello ha ritenuto che la condotta contestata non integra il reato di contrabbando quanto piuttosto il solo reato di evasione dell’Iva all’importazione previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 1 e 70.

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