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Quanto al dolo, la Corte territoriale ha osservato che la (OMISSIS) e lo (OMISSIS) erano pienamente consapevoli che il loro contributo fosse a favore dell’associazione, sia perche’ legati da rapporto di coniugio e di parentela con gli organizzatori del sodalizio, sia perche’, come detto, gia’ in passato entrambi avevano prestato la propria attivita’ a favore dell’associazione, collaborando alla materiale falsificazione dei documenti giustificativi di spesa.
Si tratta di una motivazione adeguata, non manifestamente illogica, sicche’ supera il vaglio di legittimita’.
11. In relazione ai motivi, dedotti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), diretti a contestare la qualificazione giuridica dei delitti fine, si osserva che la questione e’ gia’ stata decisa, in modo sempre uniforme, da questa Corte proprio nell’ambito del presente processo in sede cautelare con tre differenti pronunce, che il Collegio condivide e a cui intende dare continuita’.
11.1. Devono, percio’, essere riaffermati i principi affermati in quelle decisioni, secondo cui integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 2) la falsa indicazione, nella dichiarazione IRPEF, di spese deducibili dall’imposta, quando le stesse non siano state effettuate o siano state effettuate in misura inferiore (Sez. 3, n. 48486 del 24/11/2011 – dep. 28/12/2011, P.M. in proc. Sorvillo e altri, Rv. 251625).
Ancora, in tema di reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, rientrano nella nozione di documenti quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture, tra cui le ricevute fiscali e simili nonche’ quei documenti da cui risultino spese deducibili dall’imposta, come, per esempio, le ricevute per spese mediche o per interessi sui mutui e le schede carburanti (Sez. 3, n. 5642 del 02/12/2011 – dep. 14/02/2012, P.M. in proc. Manta, Rv. 252121).
Infine, nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 2) la falsita’ puo’ essere riferita anche all’indicazione dei soggetti con cui e’ intercorsa l’operazione, intendendosi per “soggetti diversi da quelli effettivi”, ai sensi del citato D.Lgs., articolo 1, lettera a), coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale (Sez. 3, n. 27392 del 27/04/2012 – dep. 11/07/2012, P.M. in proc. Bosco e altro, Rv. 253055).
11.2. Deve, quindi, ribadirsi – nel solco tracciato dalle tre pronunce appena citata – che il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 e’ applicabile ad entrambe le tipologie di falso (ideologico e materiale), tenuto conto che la frode sanzionata da tale norma si distingue da quella di cui all’articolo 3 non per la natura del falso, ma per il rapporto di specialita’ reciproca esistente tra le due disposizioni legislative: ad un nucleo comune, costituito dalla dichiarazione infedele, si aggiungono, in chiave specializzante, nell’articolo 2, l’utilizzazione di fatture e documenti equiparabili relativi ad operazioni inesistenti e, nell’articolo 3, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie congiunta con l’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e la previsione di una soglia minima di punibilita’. La condotta di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti presenta una “struttura bifasica”, in cui la dichiarazione, quale momento conclusivo, da’ vita a un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, cioe’ la registrazione o detenzione a fini’ di prova dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, puo’ avere ad oggetto documenti sia contenutisticamente falsi, perche’ emessi da altri in favore dell’utilizzatore, sia materialmente falsi, in quanto contraffatti o alterati. In relazione al mezzo fraudolento di cui l’agente si avvale per l’indicazione di elementi passivi fittizi, la lettera del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 si riferisce a “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e l’articolo 1, lettera a), dello stesso decreto legislativo specifica che tale locuzione inerisce a quelle fatture o documenti che sono emessi a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti, o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi. Gli altri documenti che vengono in rilievo sono, dunque, quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture (documenti tipici fiscali previsti espressamente dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21); tali sono, ad esempio, oltre alle ricevute fiscali e simili, quei documenti da cui risultino spese deducibili dall’imposta, come le ricevute per spese mediche o per interessi su mutui, le schede carburanti etc. (documenti che attualmente non devono essere allegati alla dichiarazione dei redditi ma conservati per eventuali controlli da parte degli uffici). Qualora le spese documentate siano deducibili dall’imposta, l’indicazione in dichiarazione di tali spese non effettuate o effettuate in misura inferiore integra la condotta del reato, per il fatto che si fanno apparire elementi passivi fittizi.
La dichiarazione fraudolenta prevista e sanzionata dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 e’ costruita invece, essenzialmente, come frode contabile, alla quale deve associarsi un quid pluris artificioso non tipizzato (diverso dall’uso di fatture o altri documenti falsi, integrante l’ipotesi di cui al precedente articolo 2), ma, comunque, caratterizzato dall’idoneita’ ad indurre in errore e ad impedire il corretto accertamento della realta’ contabile del soggetto che presenta la dichiarazione annuale d’imposta, come: la tenuta di un sistema parallelo di contabilita’ “nera”; la vendita “a nero” organizzata in locali contigui a quelli aziendali; la voluta “confusione” di ricavi provenienti da fonti diverse in modo da impedire di individuare il titolare degli stessi; lo spostamento artificioso di redditi tra soggetti rivolto a fare figurare come percepiti da terzi redditi propri del contribuente. La condotta fraudolenta, alla quale si riconnette la oggettiva infedelta’ delle poste indicate in dichiarazione, postula la volonta’ del contribuente di ostacolare l’accertamento di elementi che abbiano determinato l’occultamento di un reddito imponibile.
Va, inoltre, chiarito che “soggetti diversi da quelli effettivi” sono quei soggetti che, in realta’, non hanno preso parte all’operazione e sono invece indicati nel documento. Non vi e’ alcun fondamento razionale, tuttavia, nell’affermare che l’ipotesi non ricorre quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti (trattandosi, ad esempio, di nomi di fantasia) o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto con il contribuente che utilizza il documento medesimo; anche in tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realta’ non sborsate e pone cosi’ in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale. Ne’ elementi in senso contrario possono trarsi dalla prospettata correlazione con la fattispecie incriminatrice di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, perche’ il delitto di cui all’articolo 2 di detto Decreto Legislativo (nella cui struttura la condotta si incentra sul momento dichiarativo) e’ posto a tutela dell’interesse patrimoniale dello Stato a riscuotere cio’ che e’ fiscalmente dovuto e nei limiti in cui e’ dovuto; mentre nel reato di cui all’articolo 8 oggetto della tutela appare piuttosto la funzione di accertamento del tributo. Non trova, dunque, alcun appiglio normativo l’affermazione secondo la quale la fattispecie descritta e sanzionata dall’articolo 2 sarebbe connessa ad una specifica violazione consistente nella trasgressione dei propri obblighi da parte del soggetto autorizzato ad emettere documentazione avente rilievo probatorio ai fini tributari. Sul piano patrimoniale dell’interesse alla percezione del tributo effettivamente dovuto, infine, non puo’ razionalmente considerarsi sussistente una maggiore pericolosita’ in se’ del falso contenutistico rispetto al falso materiale.
11.3. Infine, nessun pregio ha l’argomentazione dedotta dallo (OMISSIS), secondo cui costui la condotta da costui posta in essere non rileverebbe ai sensi dell’articolo 110 c.p., bensi’ ai sensi dell’articolo 378 c.p. ovvero dell’articolo 379 c.p., in quanto le false dichiarazioni erano gia’ state formate e trasmesse, e, quindi, quando i reati si erano gia’ perfezionati.
Invero, in tema di reati tributari, il delitto di dichiarazione fraudolenta previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 si consuma nel momento della presentazione o della trasmissione in via telematica della dichiarazione nella quale sono indicati gli elementi passivi fittizi (Sez. 3, n. 37848 del 29/03/2017 – dep. 28/07/2017, Ferrario, Rv. 271044; Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014 – dep. 19/12/2014, Vidi e altro, Rv. 262358).
Nel caso in esame, proprio la circostanza che il (OMISSIS), insospettito dall’elevato numero di richieste di rimborso per spese sanitarie, chiese l’integrazione della documentazione, attesta che le dichiarazioni non erano state ancora inviata dal CAF all’Agenzia delle Entrate.
12. Manifestamente infondati sono anche i motivi diretti a censurare l’asserita severita’ del trattamento sanzionatorio, variamente contestato da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
12.1. La Corte d’appello, quanto all’individuazione della pena ai sensi dell’articolo 133 c.p., ha puntualmente motivato lo scostamento dal minimo edittale, giustificato dall’obiettiva gravita’ del fatto, connotato dalla reiterazione di numerosissime frodi fiscali, espressiva di una riprovevole convinzione di impunita’ da parte gli imputati, e dall’ingente danno arrecato all’Erario.
12.2. Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, va ribadito il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione delle circostanze ex articolo 62 bis c.p. (da ultimo, cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 – dep. 22/09/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha confermato il diniego delle circostanze in esame, considerando, quale elementi preponderanti, ostativi all’applicazione delle circostanze, la gravita’ delle condotte, l’ingente danno arrecato allo Stato, l’assenza di qualsiasi forma di resipiscenza (le somme indebitamente riscosse non sono state restituite), le gravi modalita’ dei fatti, come accertati in sede di merito, il rilevante contributo offerto dagli imputati alla realizzazione dei reati. Si tratta di una motivazione non manifestamente illogica e giuridicamente corretta che, quindi, supera il vaglio di legittimita’.
13. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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