Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 12 settembre 2017, n. 41528. La violazione del principio del ne bis in idem da parte dell’imputato già condannato per lo stesso fatto

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Il ricorso e’ inammissibile.

Quanto al primo motivo di impugnazione, osserva il Collegio che lo stesso e’ a sua volta inammissibile; rileva, infatti il Collegio come, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non sia deducibile per la prima volta davanti alla Corte di cassazione la violazione del divieto del “ne bis in idem” sostanziale; cio’ in quanto l’accertamento relativo alla identita’ del fatto oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito, inconciliabile con il tipo di giudizio svolto di fronte alla Corte di legittimita’ (da ultimo in ordine di tempo: Corte di cassazione, Sezione 7 penale, 4 ottobre 2016, n. 41572, ord.).

Quanto al secondo motivo, con il quale e’ dedotto il vizio di motivazione in relazione alla mancata considerazione del fatto che la stessa Provincia di Pesaro-Urbino aveva provveduto ad annullare in sede di autotutela la revoca del provvedimento con il quale il (OMISSIS) era stato autorizzato a svolgere l’attivita’ di recupero dei rifiuti non pericolosi, ne rileva la Corte la mancanza di pregio; invero, mentre il fatto contestato risulta essere avvenuto fino al 23 aprile 2012, il ripristino della autorizzazione rilasciata al (OMISSIS), gia’ oggetto di cancellazione a decorrere dal 23 gennaio 2012, e’ intervenuto solo in data 23 ottobre 2013.

Posto che siffatto ripristino, per sua natura, e’ destinato ad operare ex nunc, e’ evidente che le condotte ascritte all’imputato nel capo di imputazione, ampiamente anteriori a detta data e verificatesi allorche’ questi operava in regime di assenza di autorizzazione, non possono essere incise in senso favorevole al (OMISSIS) dal successivo provvedimento del 23 aprile 2013.

Quanto, infine, alla allegazione della buona fede dell’imputato, essendo questa fondata sulla condotta della Provincia di Pesaro Urbino, che, come detto, ha revocato il proprio precedente provvedimento con il quale, a decorrere dal 23 gennaio 2012 era stata cancellata la precedente iscrizione del (OMISSIS) dal registro delle imprese autorizzate alla gestione dei rifiuti non pericolosi” osserva la Corte come sia inconferente la allegazione delle precedenti decisioni assunte da questa Corte di legittimita’ in materia di scriminante della buona fede in materia contravvenzionale.

Siffatta scriminante, la quale presuppone la esistenza di un positivo comportamento della pubblica Amministrazione in atto al momento in cui la condotta contestata e’ stata realizzata, infatti, potrebbe operare, quanto ad una fattispecie del tipo di quella contestata, solo nel caso in cui al momento della condotta in questione fosse riscontrabile l’esistenza di provvedimenti della pubblica amministrazione aventi segno e significato opposti rispetto alla affermazione della illiceita’ del fatto contestato, sicche’ il destinatario di essi potrebbe legittimamente nutrire dubbi in ordine alla effettiva contrarieta’ normativa di una condotta che sia consentita alla luce di un atto vigente e vietata secondo i termini di un altro eventuale provvedimento.

Ma nel caso che interessa non vi e’ la contemporanea emissione o comunque vigenza di provvedimenti amministrativi di significato contrastante, essendoci, semmai, una successione nel tempo di provvedimenti diversamente orientati; ma il fatto che al momento in cui la condotta e’ stata contestata la fattispecie era regolamentata dal solo provvedimento di cancellazione del prevenuto dal registro delle imprese autorizzate alla gestione dei rifiuti, esclude che il (OMISSIS) possa legittimamente vantare un qualche forma di buona fede in relazione alla prosecuzione da parte sua della condotta non piu’ autorizzata, buona fede in ammissibilmente argomentata sulla futura esistenza di un diverso provvedimento non presente al momento in cui la condotta e’ stata posta in essere.

Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso segue, visto l’articolo 616 c.p.p., la condanna del prevenuto al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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