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4.1. Il secondo motivo (che ripropone la rubrica del primo, con l’aggiunta della violazione dell’articolo 3 Cost.) censura la Corte per avere effettuato una liquidazione incongrua del danno parentale, determinandolo nella somma “irrisoria” di 200.000,00 Euro complessivi, senza tener conto di tutte le circostanze del caso concreto che – sulla base di un plausibile “ancoraggio” alla tabella elaborata dal Tribunale di Milano – avrebbero dovuto comportare il riconoscimento di un importo ben superiore; contestano, in particolare, la scelta di adottare come base risarcitoria un valore prossimo al minimo di tabella e quella – ulteriore – di discostarsi anche dal minimo, “riducendo ad una percentuale, del tutto arbitraria, pari al 60% per la madre e al 40% per il padre”; sotto altro profilo, impugnano la sentenza nella parte in cui “diversifica in modo irragionevole la quantificazione del danno parentale dei genitori, in aperta violazione del principio della parita’ di trattamento a danno del padre”, con motivazione non supportata da alcun fondamento scientifico e “fondata su opinioni personali o stereotipi, seppur molto diffusi a livello di opinione sociale”.
4.2. Al riguardo, la Corte ha dato atto che, con l’atto di citazione, gli attori avevano chiesto il risarcimento di tutti i pregiudizi, patrimoniali e non, subiti in conseguenza dell’omessa interruzione della gravidanza, evidenziando i “gravi problemi alla salute fisica e psichica in cui erano incorsi per lo stato di malformazione e sofferenza della loro unica figlia” e “come la loro vita fosse radicalmente mutata e come (…), a distanza di mesi dalla morte della bambina, conducessero una vita segnata dal dolore per il tragico evento vissuto”; ha inoltre evidenziato che, anche con memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 5, gli attori avevano fatto “riferimento ai danni biologici e morali legati alla sofferenza e dolore subiti per il tragico evento”; su tale premessa, la Corte ha escluso che la domanda di danno parentale fosse nuova, in quanto rientrante nell’ambito della generale categoria del danno non patrimoniale e ricompresa nella domanda proposta ab origine.
La Corte ha poi rilevato come la richiesta del danno parentale non si ponesse in contraddizione con l’affermazione, a monte, di una pretesa basata sul mancato esercizio del diritto di interrompere la gravidanza, giacche’ la nascita della bambina aveva comunque esposto i genitori alla necessita’ di veder morire la propria figlia dopo un anno di sofferenze (con una evidente “differenza di dolore” rispetto all’ipotesi di una pur sofferta interruzione della gravidanza); ha, per altro verso, affermato che “le gravissime patologie di (OMISSIS) comportarono in termini assolutamente certi una compromissione della salute fisica e psichica” della (OMISSIS) e ha dato conto dell’esistenza di “documentazione medica attestante lo stato di sofferenza psicologica del (OMISSIS)”.
Passando alla “concreta liquidazione del danno non patrimoniale”, “da effettuarsi comunque in via equitativa”, la Corte ha ritenuto di dover “ancorare il criterio di riferimento, e tanto al fine di evitare liquidazioni arbitrarie, a quello da perdita parentale, seppur contemperato al caso di specie”, dovendosi “considerare che la bambina sarebbe comunque morta in un breve arco temporale in quanto predisposta geneticamente all’esito”; assunto come base risarcitoria un valore di 200.000,00 Euro (vicino al minimo di 163.000,00 Euro previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano), ha ritenuto di dover “attribuire alla madre l’importo che ordinariamente si liquiderebbe, nel 60% ed al padre nel 40%, e quindi Euro 120.000,00 e 80.000,00”, spiegando che “la differenza nella liquidazione equitativa del danno per i due genitori si fonda sulla considerazione della preminenza del dolore della madre e tanto non solo per la facolta’ che la normativa le dava nella scelta di proseguire o interrompere la gravidanza, ma per il naturale svilupparsi dell’istinto materno gia’ nel corso della gestazione e per l’intensita’ del dolore psichico legato alle malformazioni del prodotto del concepimento tali da portare alla morte il proprio figlio, che anche inconsciamente una madre ricollega ad una propria responsabilita’”.
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