Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 7 dicembre 2017, n. 29333. Omessa diagnosi di malformazione del feto

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4.3. I motivi – da esaminare congiuntamente – vanno disattesi.
Deve escludersi, in primo luogo, che sia stato violato il principio della integralita’ del risarcimento, giacche’ difettano indici univoci per ritenere che la Corte non abbia ricompreso negli importi liquidati tutti i profili del pregiudizio non patrimoniale.
Va infatti considerato, per un verso, che la Corte ha dato atto, in modo puntuale, di ogni aspetto del pregiudizio (non solo il dolore collegato alla morte della figlia, ma anche la privazione della possibilita’ di interrompere la gravidanza, le sofferenze patite per la nascita malformata e per le penose condizioni della bambina durante l’anno in cui era rimasta in vita, nonche’ lo stato di malattia insorto nei genitori) e, per altro verso, che la scelta di un criterio risarcitorio “ancorato” ai valori tabellari concernenti il danno parentale e’ dipesa dichiaratamente – dall’esigenza di evitare una liquidazione arbitraria, ma non e’ certamente indicativa della volonta’ di liquidare un danno parentale e di riconoscere il danno solo in relazione alle sofferenze patite per la perdita della figlia.
Deve dunque ritenersi che la Corte non abbia trascurato alcuno dei profili in cui il danno non patrimoniale si e’ manifestato (che sono stati tutti individuati e specificamente accertati), ma abbia proceduto ad una liquidazione unitaria sulla base di un criterio plausibile e riconoscendo valori monetari comunque atti a costituire adeguato ristoro anche in relazione al danno biologico (di natura psichica) sofferto dai ricorrenti.
Quanto alla denunciata inadeguatezza dell’importo liquidato, la censura non considera che il richiamo alle tabelle relative al danno parentale e’ stato compiuto dalla Corte a titolo meramente orientativo (ossia, come detto, al dichiarato scopo di evitare liquidazioni arbitrarie), giacche’ nel caso non si trattava, in effetti, di ristorare la perdita di un rapporto parentale causata dall’inadempimento del medico, ma di risarcire il dolore (per una morte verificatasi per cause naturali) che i genitori hanno dovuto affrontare a causa della mancata diagnosi delle malformazioni e della consequenziale mancata interruzione della gravidanza; rispetto a tale pregiudizio, la liquidazione – tutt’altro che irrisoria – costituisce il risultato di un apprezzamento equitativo che non viola norme o criteri giuridici e che non e’ sindacabile in sede di legittimita’ (neppure sotto il dedotto profilo della motivazione apparente).
Quanto – infine – alla diversificazione della misura del risarcimento fra i due genitori, la Corte ha tenuto conto della specificita’ del pregiudizio da risarcire (non la perdita della bambina, ma il dolore di ciascun genitore per il fatto che la madre non fosse stata posta in condizione di interrompere la gravidanza e per il fatto di aver visto nascere, soffrire e morire una figlia malformata), evidenziando ragioni (quali il diretto coinvolgimento della madre nella scelta abortiva preclusa e l’inconscio senso di colpa per le malformazioni del prodotto del concepimento) che ben possono giustificare una liquidazione diversificata per i due genitori, alla luce di un ragionamento probatorio che questa Corte interamente condivide.
5. Il terzo motivo (che denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c. e degli articoli 1, 2, 462, 1223, 2043 e 2059 c.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo e “motivazione apparente e contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili nella motivazione”) censura la Corte per aver considerato nuova e, comunque, infondata la domanda di risarcimento -iure hereditatis – dei danni subiti dalla bambina per le sofferenze patite durante l’anno di permanenza in vita.
I ricorrenti rilevano che, da un lato, la Corte pare assecondare l’eccezione degli appellanti circa la novita’ della domanda e, dall’altro, entra nel merito della richiesta, pervenendo erroneamente al suo rigetto: assumono, quanto al primo profilo, che la Corte non ha correttamente interpretato la domanda, con cui era stato richiesto il ristoro di “tutti i danni conseguenti, patrimoniali e non”, essendo pertanto “evidente che tra i danni conseguenti alla nascita rientrassero, di certo, anche quelli subiti dalla bambina e spettanti ai genitori iure hereditatis”; quanto al secondo profilo, attinente al merito della pretesa, evidenziano che il risarcimento richiesto non conseguiva alla violazione del diritto a non nascere se non sano, ma al diritto alla salute, in relazione alle sofferenze che la bambina malformata aveva dovuto sopportare durante la sua breve vita.
5.1. Anche questo motivo va disatteso.
La Corte ha dichiarato nuova la domanda “in quanto la lettura degli atti, pur se ampiamente riferiti alle sofferenze della bambina, evidenzia che i danni erano richiesti iure proprio e non iure hereditatis”: rispetto a tale ratto, i ricorrenti si sono limitati a lamentare un’erronea interpretazione della domanda, sostenendo che nella richiesta di tutti i danni non patrimoniali doveva intendersi compresa quella dei danni subiti dalla figlia, ma non hanno censurato specificamente l’affermazione che i danni erano stati richiesti solo iure proprio, ne’ – comunque – hanno trascritto passaggi degli atti introduttivi idonei a evidenziare l’erroneita’ della conclusione della Corte.
Le censure concernenti il merito della pretesa sono inammissibili, in quanto relative a considerazioni che la Corte ha dichiaratamente svolto ad abundantiam, dopo aver affermato la novita’ della domanda.
6. Col quarto motivo (che deduce “violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 1223 e 2043 c.c.”), i ricorrenti si dolgono del mancato riconoscimento del danno relativo agli esborsi sostenuti per le cure e il mantenimento della bambina, motivato dalla Corte in base al duplice rilievo che gli appellanti non avevano provato gli esborsi e che gli stessi non potevano essere liquidati in via equitativa in quanto non erano emersi “motivi idonei a rendere difficoltosa la documentazione” (tanto piu’ che era presumibile che le spese mediche fossero state assunte dal S.S.N.); sostengono che, al contrario, la Corte avrebbe potuto procedere in via equitativa, alla luce dei precedenti di legittimita’ e di merito che avevano riconosciuto il rimborso di spese sostenute in casi consimili.
6.1. Il motivo e’ infondato: risulta corretto il rilievo della Corte sul fatto che non si trattava di spese future, bensi’ di spese che -essendo relative ad un determinato periodo gia’ trascorso – avrebbero dovuto essere documentate; ne’ i ricorrenti hanno dedotto ragioni idonee a giustificare la mancata documentazione, tali da rendere possibile il ricorso alla liquidazione equitativa.
7. La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite fra i ricorrenti principali e il ricorrente incidentale; sussistono, inoltre, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese nei rapporti fra i ricorrenti e la (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, nel testo anteriore alle modifiche introdotte a partire dalla L. n. 263 del 2005 (applicabile ratione temporis, poiche’ la causa e’ stata avviata nell’anno 2004).
8. Trattandosi di ricorsi proposti successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale e compensa le spese fra tutte le parti.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto – rispettivamente – per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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