[….segue pagina antecedente]
a) e’ richiamato un consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimita’ (e’ espressamente citata, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4009 del 20/03/2001, Rv. 544946-01);
b) il rinvio contenuto nell’articolo 347 c.p.c., comma 1, alle norme in primo grado riguarda “le forme e i termini” della costituzione ma non anche le decadenze che a tale atto si accompagnano, in quanto – una volta che la parte si sia ritualmente costituita nel rispetto delle prescrizioni degli articoli 347 e 166 c.p.c. – “resta ancora integralmente da affrontare tutta la ben diversa ed autonoma problematica concernente l’individuazione delle difese che debbono essere contenute nel primo atto difensivo (o alla prima udienza o comunque entro un primo termine) e delle altre difese che (eventualmente) possono essere proposte in atti (o udienze o comunque termini) successivi”;
c) sotto il profilo letterale, il richiamo alle forme e ai termini per la costituzione in primo grado puo’ essere rivolto soltanto alla disposizione dell’articolo 166 c.p.c. che, come indica la rubrica, disciplina la “Costituzione del convenuto”, mentre le decadenze sono regolate dagli articoli 167 (“Comparsa di risposta”) e 180 (“Udienza di prima comparizione e forma della trattazione”);
d) non e’ possibile applicare alla costituzione nel secondo grado la disciplina delle barriere preclusive dettata per il primo grado, dato che quest’ultimo, nel prevedere la distinzione tra l’udienza di comparizione e quella di trattazione e il termine intermedio per sollevare le eccezioni, ha una struttura incompatibile con l’appello;
e) e’ artificioso estendere all’appello il solo articolo 167 c.p.c., comma 1 (e, quindi, limitatamente alla parte in cui stabilisce che “Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese”), sia perche’ si applicherebbe parzialmente una norma unitaria, sia perche’, “se il legislatore nel 1995 ha ritenuto di dettare una nuova e piu’ rigorosa disciplina solo per il primo grado, ha evidentemente (pur se implicitamente) mostrato di non voler innovare in modo corrispondente la disciplina dell’appello”;
f) tale ultima argomentazione – con cui si giustifica la disomogeneita’ delle discipline di primo e di secondo grado – giustifica anche la disparita’ di trattamento (censurata in dottrina) tra appellante, tenuto ad esporre tutte le sue difese nell’atto introduttivo, ed appellato, abilitato a sollevare questioni (anche nuove) sino all’udienza di precisazione delle conclusioni, trattandosi di scelta del legislatore che non puo’ ritenersi illogica in ragione della diversita’ di posizioni delle parti processuali.
Ritiene il Collegio che il menzionato precedente di Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15427 del 10/08/2004 possa essere rivisto alla luce della successiva evoluzione legislativa e giurisprudenziale che ha riguardato le barriere preclusive; peraltro – come si esporra’ piu’ diffusamente nel prosieguo – la fattispecie allora esaminata concerneva la riproposizione ex articolo 346 c.p.c. di un’eccezione (di prescrizione) formulata rispetto alla domanda attorea (che era stata respinta in primo grado), mentre nella causa de qua sono state riproposte in appello le domande di garanzia e di regresso gia’ avanzate nei confronti di terzi e rimaste assorbite dal rigetto in prime cure delle istanze dell’attore principale.
In primis, si rileva che il filone giurisprudenziale al quale ha aderito Cass. 15427/2004 e’ costituito principalmente da sentenze che esaminano appelli regolati dalle disposizioni antecedenti all’introduzione delle preclusioni processuali: il mutamento radicale apportato dalla novella del 1995 ad un sistema in cui alle parti era consentito l’ampliamento del thema decidendum (quasi) senza limiti impone un ripensamento delle soluzioni ermeneutiche gia’ adottate, certamente poco rigorose, ma conformi all’ordinamento allora vigente. Non si puo’, infatti, invocare l’autorita’ dei precedenti (oltre a Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4009 del 20/03/2001, Rv. 544946-01, richiamata nella decisione impugnata, riguardano cause antecedenti alla novella Cass., Sez. 3, Sentenza n. 413 del 12/01/2006, Rv. 586211-01, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 24182 del 30/12/2004, Rv. 578592-01, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 824 del 25/01/2000, Rv. 533142-01) quando l’intero sistema processuale e’ stato profondamente modificato dal legislatore del 1995 (e ancor piu’ dal legislatore del 2006), ne’ possono costituire fonte di convincimento le pronunce (anche successive) che a differenza di Cass. 15427/2004 – richiamano in maniera tralatizia i precedenti anteriori alla riforma senza dar conto del diverso assetto normativo (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14458 del 19/11/2001, Rv. 550343-01; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 12490 del 28/05/2007, Rv. 597509-01).
Peraltro, il suddetto orientamento giurisprudenziale, pur prevalente, non era univoco, potendosi rinvenire pronunce di legittimita’ che affermavano, invece, la necessita’ di riproporre le domande ex articolo 346 c.p.c. con la comparsa di risposta (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8758 del 27/04/2005, non massimata sul punto, e Cass., Sez. L., Sentenza n. 756 del 27/01/1987, Rv. 45045001) oppure con la memoria di risposta nel rito del lavoro (Cass., Sez. L, Sentenza n. 6426 del 16/07/1996, Rv. 498581-01; successivamente – ma con precipuo riferimento al rito del lavoro – Cass., Sez. L., Sentenza n. 18901 del 07/09/2007, Rv. 598866-01).
In secondo luogo, si osserva che potrebbe essere ingiustificatamente restrittiva la lettura dell’articolo 347 c.p.c., comma 1,: nel richiamare per la costituzione in appello “le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale” la norma ha ellitticamente voluto includere anche le decadenze che necessariamente si accompagnano alla costituzione del convenuto: difatti, non avrebbe senso disporre il rispetto dei “termini” (ex articolo 166 c.p.c., “almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione”) senza collegare alla loro violazione le conseguenti sanzioni processuali (id est, le preclusioni, dalle quali discendono le decadenze) e, parimenti, il rinvio alle “forme” non puo’ non riguardare anche la comparsa di risposta (disciplinata nell’articolo 167 c.p.c., al quale, peraltro, rimanda lo stesso articolo 166 c.p.c.) e i suoi contenuti e, cioe’, le difese che la parte e’ tenuta a svolgere con quell’atto (non occorre scomodare la filosofia greca per affermare che nel diritto processuale, “la forma e’ sostanza”).
Pertanto, l’articolo 347 c.p.c., comma 1, dovrebbe essere interpretato in combinato disposto con gli articoli 166 e 167 c.p.c. e, dunque, la costituzione in appello dovrebbe avvenire ricalcando la disciplina del primo grado, in quanto compatibile, riguardo ai tempi e alle forme e alle difese che debbono essere svolte, a pena di decadenza, col primo atto difensivo.
Anche l’obiezione riguardante la diversa struttura del processo nei diversi gradi del giudizio non sarebbe insuperabile.
Pur dovendosi escludere un impiego diretto degli articoli 166 e 167 c.p.c. nell’appello, le predette disposizioni sono comunque applicabili al giudizio di secondo grado nei limiti della loro compatibilita’ con le peculiarita’ di quest’ultimo (del resto, la giurisprudenza ha previsto che anche le forme della citazione in appello – per le quali l’articolo 342 c.p.c. rinvia all’articolo 163 c.p.c. – debbano essere riadattate al gravame: in proposito, Cass., Sez. U., Sentenza n. 9407 del 18/04/2013, Rv. 625811-01, e Cass., Sez. 3, Sentenza n. 341 del 13/01/2016, Rv. 638609-01).
Il principale ostacolo frapposto da Cass. 15427/2004 consisteva nell’impossibilita’ di individuare nel secondo grado le due barriere preclusive che, nelle norme vigenti tra il 30 aprile 1995 e il 1 marzo 2006, caratterizzavano il processo innanzi al tribunale: entro il termine per la costituzione tempestiva dovevano essere proposte le domande riconvenzionali e le istanze nei confronti dei terzi (rectius, le richieste di chiamata in causa dei terzi nei cui confronti spiegare o estendere domande), mentre il limite per formulare eccezioni processuali o di merito era spostato ad un momento successivo (20 giorni prima dell’udienza di trattazione).
L’argomentazione e’ certamente fondata per quanto riguarda le eccezioni non rilevabili d’ufficio: ritenere che nel previgente sistema processuale fosse prevista una preclusione alla loro riproposizione in appello al momento scandito per la costituzione tempestiva dell’appellato avrebbe significato ravvisare per il secondo grado un regime ancor piu’ rigoroso che per il primo.
Invece, gia’ nel sistema processuale vigente tra il 30 aprile 1995 e il 1 marzo 2006, un particolare rigore caratterizzava le domande del convenuto, sia le riconvenzionali nei confronti dell’attore, sia quelle rivolte nei confronti di terzi, posto che la barriera preclusiva era ineludibilmente fissata in un momento anteriore alla prima udienza di comparizione; la distinzione aveva (e ha tuttora) un fondamento logico, se si riflette sul fatto che le eccezioni condizionano il thema decidendum, ma – a differenza delle domande – non ne determinano un ampliamento sotto il profilo oggettivo e/o soggettivo.
[…segue pagina successiva]
Leave a Reply