Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 7 dicembre 2017, n. 29499. Rinvio alle Sezioni unite sul quesito relativo al sistema di preclusioni in appello introdotto dal Dl 432/1995 per chiarire se la domanda di garanzia o di regresso condizionata dall’accoglimento della principale…

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L’esigenza di delimitare, mediante le preclusioni, il thema decidendum prima dell’udienza di comparizione delle parti (sottesa all’articolo 167 c.p.c.) era, dunque, gia’ avvertita dal legislatore del 1995 anche in relazione al processo di appello (del resto, l’evoluzione delle normative sopravvenute dimostra che – dopo la copernicana rivoluzione del 1995 – il legislatore ha via via perseguito un progressivo affinamento delle questioni trattate nella controversia attraverso una loro selezione nei gradi successivi al primo). Infatti, correlato al sistema delle preclusioni, il principio tantum devolutum quantum appellatum impone che l’oggetto del gravame venga celermente delineato dalle parti in un momento anteriore all’udienza di trattazione di cui all’articolo 350 cod. proc. civ., si’ da consentire una piu’ celere trattazione del processo senza comprimere il diritto di difesa di alcuna delle parti.
Conseguentemente, potrebbe ragionevolmente argomentarsi che il richiamo in appello degli articoli 166, 167 e 180 c.p.c. (nella formulazione ratione temporis vigente) si atteggiasse diversamente a seconda che ad essere riproposte fossero domande oppure eccezioni.
Per le eccezioni in rito o di merito la soluzione offerta da Cass. 15427/2004 appare, quindi, ragionevole e coerente con la disciplina allora dettata per le preclusioni: difettando nel secondo grado un termine intermedio tra le udienze di comparizione e di trattazione, la barriera preclusiva del primo grado non era compatibile con l’appello e, percio’, le eccezioni potevano essere riproposte ex articolo 346 c.p.c. fino all’udienza di precisazione delle conclusioni.
La conclusione, pero’, potrebbe essere difforme per le domande condizionate da riproporre in appello ex articolo 346 c.p.c.: posto che la loro idoneita’ ad estendere – sotto il profilo oggettivo e/o soggettivo – il thema decidendum le accomuna alle domande riconvenzionali e a quelle rivolte verso i terzi chiamati nel primo grado, anche la disciplina per la loro introduzione in secondo grado potrebbe essere simmetricamente applicata (stante il rimando dell’articolo 347 c.p.c., comma 1), fatti salvi i necessari adattamenti degli articoli 166 e 167 c.p.c..
Di conseguenza, una volta analizzato il menzionato precedente giurisprudenziale, occorre stabilire se anche prima della riforma legislativa del 2006 la riproposizione delle domande nei confronti dell’appellante o di altri appellati dovesse ritenersi soggetta a una barriera preclusiva, coincidente con il termine fissato per la costituzione dell’appellato.
La questione assume indiretta rilevanza anche per le impugnazioni alle quali e’ applicabile la novella entrata in vigore il 1 marzo 2006. L’unificazione delle udienze ex articoli 180 e 183 c.p.c. e la fissazione di un’unica barriera preclusiva (l’articolo 167 c.p.c. prescrive oggi che entro il termine per la costituzione il convenuto “a pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio” e, “se intende chiamare un terzo in causa, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa e provvedere ai sensi dell’articolo 269”) parrebbero idonee a superare l’obiezione formulata da Cass. 15427/2004: difatti, le norme individuano una barriera preclusiva unitaria – sia per le domande (anche quelle riproposte ex articolo 346 c.p.c.), sia per le eccezioni in rito e di merito (da riproporre, purche’ non siano state oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure; sul punto v. Cass., Sez. U., Sentenza n. 11799 del 12/05/2017, Rv. 644305-01) – anteriore di 20 giorni alla prima udienza del processo in primo grado e, simmetricamente, la stessa barriera dovrebbe operare in appello. Cosi’ opinando, nel sistema processuale al quale si applicano le disposizioni del Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80 (non nella controversia de qua), la disposizione secondo cui “nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda” (articolo 167 c.p.c.) esplicherebbe i suoi effetti anche nel processo di appello (in virtu’ del richiamo contenuto nell’articolo 347 c.p.c., comma 1) e pure con riguardo alle eccezioni non rilevabili d’ufficio.
Vi sono poi ulteriori argomenti da vagliare.
La menzionata decisione di Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15427 del 10/08/2004, Rv. 575944-01, richiamando le insindacabili scelte legislative, sminuisce l’argomentazione dottrinale che denuncia una ingiustificata diversita’ tra il regime delle severe preclusioni innanzi al tribunale e il sistema eccessivamente indulgente dell’appello: a ben vedere, pero’, la legge non ha ne’ voluto, ne’ determinato una cosi’ stridente disparita’, posto che il rinvio ex articolo 347 c.p.c., comma 1, alle norme per la costituzione del convenuto ex articoli 166 e 167 c.p.c. consente una lettura simmetrica della disciplina dei due gradi del giudizio, tanto che all’irrigidirsi delle preclusioni del primo grado potrebbe farsi conseguire, in via interpretativa, un automatico irrigidimento delle barriere preclusive nel secondo.
Nell’interpretazione del dettato normativo, poi, non puo’ essere trascurata la ratio legis che impernia l’intero sistema delle preclusioni processuali, il quale non e’ posto soltanto a tutela del diritto di difesa delle parti, bensi’ a presidio dell’interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, tanto che le preclusioni devono essere rilevate d’ufficio dal giudice, indipendentemente dall’atteggiamento della controparte al riguardo (ex multis, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3806 del 26/02/2016, Rv. 638877-01, e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 4901 del 02/03/2007, Rv. 596275-01): preferendo una soluzione ermeneutica maggiormente corrispondente al principio costituzionale della ragionevole durata del processo, dovrebbe impedirsi la riproposizione delle domande fino all’udienza di precisazione delle conclusioni perche’ questa comporterebbe necessariamente la protrazione del giudizio, quantomeno per garantire alle controparti il diritto di interloquire sul thema, reintrodotto in limine dall’appellato (senza considerare, inoltre, che le sopravvenute disposizioni degli articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. ongono una completa esposizione di tutte le argomentazioni dei contendenti affinche’ il giudice possa immediatamente pronunciare, se del caso, l’ordinanza di inammissibilita’ dell’appello).
Infine, e’ indispensabile considerare l’esigenza di assicurare la difesa delle altre parti: a voler ritenere ammissibile la riproposizione delle domande di garanzia (o di regresso) in un momento processuale successivo a quello prescritto per la costituzione dell’appellato (finanche all’udienza di precisazione delle conclusioni), rischierebbe di essere pregiudicato o minorato il diritto ex articolo 24 Cost. delle parti destinatarie di tali richieste. Queste ultime, infatti, non potrebbero utilmente controdedurre o sollevare eccezioni alla prima udienza del processo di appello che, invece, e’ deputata allo svolgimento delle ulteriori difese determinate da iniziative processuali di altre parti diverse dall’appellante principale (l’individuazione dell’udienza ex articolo 350 c.p.c. quale sede destinata alla reazione delle parti avversarie si desume dall’articolo 343 c.p.c., comma 2, che disciplina espressamente la proposizione dell’appello incidentale conseguente all’impugnazione di un altro appellato).
5. In conclusione, per decidere la controversia, occorre dare risposta al seguente quesito: se – nel sistema di preclusioni introdotto con il Decreto Legge n. 432 del 1995, convertito dalla L. n. 534 del 1995 e in forza del combinato disposto degli articoli 346, 347, 166, e 167 c.p.c. – la domanda di garanzia o di regresso condizionata all’accoglimento della domanda principale gia’ respinta in primo grado debba essere riproposta dall’appellato, a pena di decadenza, con la tempestiva costituzione in appello e, cioe’, entro i termini stabiliti per la costituzione nei procedimenti davanti al tribunale oppure se, in mancanza di una barriera preclusiva, la riproposizione delle predette domande possa essere effettuata anche successivamente e fino alla precisazione delle conclusioni.
6. Opina il Collegio che si tratti di questione di massima di particolare importanza, sia per la mancanza di precedenti univoci o pienamente convincenti, sia per la sentita esigenza nomofilattica che caratterizza l’interpretazione di norme disciplinanti il rito dell’appello (oggetto di decisioni di tutte le Sezioni della Corte). Ricorrono percio’ le condizioni per rimettere gli atti al Primo Presidente, affinche’ valuti l’opportunita’ di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’articolo 374 c.p.c., comma 2, seconda ipotesi, sulla questione suddetta, riassunta al punto 5 delle ragioni della decisione.
P.Q.M.
La Corte rimette gli atti al Primo Presidente, affinche’ valuti l’opportunita’ di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite sulla questione di massima di particolare importanza indicata in motivazione.

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