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Individuato il thema decidendum nella determinazione dei limiti di legittimita’ “delle clausole negoziali comportanti il trasferimento da una parte all’altra di somme pari al carico fiscale che la seconda verrebbe a sopportare per effetto del contratto di mutuo”, le Sezioni Unite – in questo non discostandosi dall’arresto precedente – hanno riconosciuto che l’articolo 53 Cost. e’ norma imperativa la cui violazione puo’ comportare la sanzione della nullita’ delle manifestazioni di autonomia negoziale con essa confliggenti. Il che non e’ stato peraltro ravvisato nel caso in esame, ove “il percettore del reddito corrisponde egli stesso, con sacrificio del proprio patrimonio, l’imposta dovuta. In tal modo i contribuenti realizzano non gia’ la distrazione del carico tributario dall’uno all’altro soggetto nei confronti del fisco, ma determinano l’incremento del reddito del contribuente mutuante di somma pari al tributo versato all’erario, senza che tale reddito resti sottratto alla (adeguata) tassazione, rispetto alla quale si innesta un ulteriore strumento di traslazione secondo una sequenza piu’ volte riproducibile a cascata, con progressiva diminuzione della somma coinvolta tendenzialmente riducibile a “zero”, sia per quanto riguarda l’imposta, sia per quanto riguarda il relativo accollo”. E dunque “il patto con cui taluno viene “scaricato” dal pagamento di un tributo gravante sul suo reddito e’ nullo per l’illiceita’ della causa contraria all’ordine pubblico, solo quando esso comporti che effettivamente l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito. Tale risultato illecito si realizza nelle ipotesi di rivalsa facoltativa, quando il sostituto viene a perdere la qualita’ tipica di mero anticipatore del tributo, non corrisposto al fisco, ne’ recuperato dal sostituto medesimo, sicche’ effettivamente il dovere tributario non viene adempiuto, pur verificandosi un aumento di ricchezza del contribuente”. La clausola in esame aveva invece integrato una rivalsa obbligatoria, pertanto non contrastante con il precetto costituzionale: infatti, obbligando il mutuatario a rimborsare al mutuante le imposte inerenti agli interessi convenuti, cosi’ da garantire un determinato ammontare netto degli interessi medesimi, non pativa nullita’ per violazione della suddetta norma imperativa, in quanto non implicante che l’imposta sia versata al fisco da un soggetto diverso dal suo percettore, bensi’ configurante una mera traslazione convenzionale del carico d’imposta, consentita in via generale in mancanza di una diversa disposizione di legge.
Nell’ottica di questa pronuncia, in sintesi, la riconducibilita’ dell’accordo traslativo nel sinallagma del contratto in cui e’ stato inserito lo rende compartecipe della liceita’ del contratto stesso, legittimandolo rispetto al principio imperativo evincibile dall’articolo 53, che non puo’ non essere controbilanciato dagli ulteriori valori costituzionali, inclusi quelli che si manifestano nel corretto esercizio, da parte dei privati, della potesta’ di conformazione della propria sfera giuridica disponibile, id est nell’autonomia negoziale. Cosi’ ancora emerge dalla motivazione: “In verita’ nel nostro ordinamento, nonostante la norma dell’articolo 53 Cost., resta fermo il fondamentale criterio della tendenziale irrilevanza giuridica del fenomeno economico della traslazione dell’imposta. Il soggetto obbligato dalla legge tributaria a pagare l’imposta in quanto svolga una certa attivita’, o possegga determinati beni (il contribuente cioe’ che viene “percosso” dall’imposta) tende per legge economica a scaricare il peso tributario su coloro con cui entra in rapporto a cagione della cosa posseduta o della attivita’ svolta… Se, quindi, viene pagato indebitamente un tributo indiretto la ripetizione spetta al contribuente di diritto, indipendentemente dalla circostanza che egli sia riuscito a scaricarlo su altro soggetto (il contribuente di fatto) avvalendosi dello strumento della traslazione… Per il diritto comunitario, che e’ diritto immediatamente o direttamente applicabile dai giudici italiani…la traslazione delle imposte e’ fenomeno giuridicamente legittimo tanto da giustificare la ripetizione del tributo indebitamente versato dal soggetto che ne abbia trasferito ad altri il carico”. E ancora, quanto alle imposte dirette, l’articolo 53, “intende assicurare che la ricchezza venga colpita in capo al soggetto che presenta adeguata capacita’ contributiva, ma si disinteressa dei modi in cui il contribuente che ha pagato recupera ricchezza in misura corrispondente”: ed e’ per questo che “il patto con cui il mutuatario si obbliga a rimborsare all’ente mutuante quanto da esso pagato a titolo di Irpeg e di Ilor e’ valido quando la sua efficacia e’ limitata inter partes, atteso che in tal caso l’imposta afferente al reddito viene comunque corrisposta al fisco dal soggetto che ne e’ percettore”.
Non a caso, quindi, la successiva Cass. sez. 3, 3 giugno 1991 n. 6232, che in una fattispecie del tutto analoga di mutuo segue senza oscillazioni l’appena richiamato arresto delle Sezioni Unite, in motivazione qualifica l’accordo traslativo di imposta – per quanto il suo oggetto, cioe’ l’imposta, di per se’ non possa essere sciolto dalla sua natura pubblicistica – “una pattuizione di carattere privatistico che non incide sul rapporto pubblicistico contribuente-fisco” (cfr. pure Cass. sez. 1, 25 marzo 1995 n. 3577, peraltro per un caso di imposta dovuta solidalmente sia da chi la corrispondeva sia da chi fruiva di un accordo di accollo).
3.2.3 Ma la linea, come gia’ si accennava, nel corso degli anni non rimane cosi’ netta.
Cass. sez. 1, 29 maggio 1993 n. 6037 ha esaminato un caso in cui una cooperativa edilizia aveva convenuto l’Inail, dal quale aveva ottenuto due mutui da estinguere con rate annue, perche’, esistendo nel contratto una clausola che imponeva al mutuatario “di rimborsare qualsiasi imposta, tassa e gravame fiscale che colpisse ora od in avvenire il capitale, i frutti e le annualita’ dovute”, l’ente le aveva chiesto – ottenendolo con riserva di restituzione – il rimborso di una determinata somma versata a titolo di IRPEG e di ILOR sugli interessi dei mutui erogati. La cooperativa, ritenendo tra l’altro nulla la clausola, aveva chiesto la restituzione della somma; la sua domanda era stata respinta da entrambi i giudici di merito, il giudice d’appello in particolare osservando che “doveva riconoscersi la liceita’ della clausola mediante la quale si era attuato il trasferimento convenzionale del carico fiscale, da un soggetto all’altro, in quanto attinente alla determinazione convenzionale dell’entita’ del corrispettivo, in cui il carico fiscale non era dedotto come tale, bensi’ come espressione di un valore monetario e parametro di quantificazione della prestazione; ed in quanto non alterava il collegamento, richiesto dall’articolo 53 Cost., fra soggetto tenuto a versare il tributo e presupposto della percezione del reddito”; inoltre il giudice d’appello non aveva ravvisato “alcuna violazione delle norme concernenti la riscossione dei tributi”.
Nel ricorso per cassazione la cooperativa denunciava la violazione e falsa applicazione dell’articolo 53 Cost., in relazione all’articolo 1418 c.c., e Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 26, osservando che il thema decidendum verteva sul quesito se “le imposte dirette possano essere trasferite ad altri che non sia il contribuente, attraverso il meccanismo della clausola de qua, in relazione alla quale l’INAIL, rivalendosi sul mutuatario, si esonera di fatto dall’obbligo del pagamento del tributo”.
Sostegno al motivo e’ stato ravvisato dal giudice di legittimita’ nella specifica disciplina di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 26, identificando nell’obbligo di rivalsa per l’IRPEG l’ostacolo alla liceita’ della clausola – questione, gia’ sopra si accennava, in questa sede non pertinente -. Tuttavia nella pronuncia, ancora a proposito dell’IRPEG, si afferma altresi’ che “il giudice del merito, nell’interpretare la clausola del contratto, avrebbe dovuto porsi il problema dell’aggiramento della norma (e cioe’ dell’intento di frodare la legge imperativa) in un meccanismo che maschera un rimborso di somme pari all’imposta pagata (e cioe’ un obbligo per il mutuatario di pagare l’imposta) sotto lo scopo di assicurare al mutuante un dato livello di interesse netto (e cioe’ pure d’imposta). Meccanismo che innesta quel circolo vizioso, a torto ritenuto irrilevante dal giudice del merito, per cui il rimborso costituisce reddito a sua volta soggetto ad imposta (mai pagata, perche’ il Fisco non e’ in grado di conoscere e reprimere tali pattuizioni private).” E a proposito poi dell’ILOR si osserva pure che IRPEG e ILOR sono “imposte dirette, intese a colpire la capacita’ contributiva del medesimo soggetto, l’una sulla base del reddito, l’altra in base ad una componente “patrimoniale””, espressione di un sistema unitario, in cui la ratio dell’imposizione “esige un nesso fra il soggetto obbligato e l’imposta, che non puo’ essere aggirato da pattuizioni private, in virtu’ delle quali il debito tributario faccia carico su soggetti diversi dal possessore del patrimonio che produce reddito”; pertanto “e’ possibile un’applicazione anche all’ILOR del principio della nullita’ dei patti in deroga al divieto di traslazione”. E dunque, anche se il principio di diritto dettato al giudice di rinvio viene circoscritto alla questione dell’obbligo di rivalsa (“Le clausole pattizie che stabiliscono obblighi di rimborsi dell’IRPEG e dell’ILOR pagate dal percettore di redditi di capitali sono nulle, per contrasto con le norme imperative sull’obbligo di rivalsa”, cioe’ il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articoli 26 e 64), le ragioni sulla base delle quali si fonda l’accoglimento del ricorso sono piu’ estese, e non pienamente conformi alla impostazione delle Sezioni Unite del 1985.
3.2.4 Passando poi oltre la fattispecie di traslazione fiscale in rapporto al contratto di mutuo, deve darsi atto che ribadisce la necessita’ che il tributo sia pagato dal soggetto effettivamente onerato dal relativo debito – aderendo, quindi, al riscontro nell’articolo 53 Cost., di un’incidenza non solo sul profilo oggettivo ma anche sul profilo soggettivo della capacita’ contributiva – la gia’ citata Cass. sez. 1, 27 novembre 1999 n. 13261, a proposito di una intestazione fiduciaria di azioni (cosi’ la massima: “In tema di intestazione fiduciaria di azioni, ed in base al principio secondo cui, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, prevale “l’effettiva” proprieta’ del fiduciante rispetto alla titolarita’ “formale” del fiduciario, non puo’ considerarsi affetta da nullita’ la specifica convenzione con la quale – all’interno del “pactum fiduciae” – il fiduciante si obblighi a tenere indenne il fiduciario dalle imposizioni fiscali gravanti su quest’ultimo in conseguenza dell’intestazione dei titoli azionari, non integrando tale traslazione dell’obbligazione tributaria gli estremi del pagamento di imposta da parte di soggetto diverso dal materiale percettore del corrispondente reddito”). Tra le doglianze dell’ivi disatteso ricorso, peraltro, era stata denunciata anche la violazione dell’articolo 1229 c.c., comma 2, e articolo 53 Cost., sostenuta dall’asserto che il giudice d’appello avrebbe dovuto “dichiarare nullo il negozio con il quale un soggetto si impegna a pagare le imposte di altro contribuente od a manlevarlo da ogni pretesa del fisco” in adesione a Cass. sez. 1, 5 gennaio 1985 n. 5. Ma nell’arresto in esame si replica che quest’ultima sentenza non e’ stata condivisa da S.U. 18 dicembre 1985 n. 6445 e si fonda poi il rigetto sul principio della prevalenza nei confronti dell’amministrazione finanziaria della proprieta’ effettiva sulla proprieta’ fiduciaria (invocando S.U. 10 dicembre 1984 n. 6478, relativa all’imposta di successione prima della riforma del 1972).
Una pronuncia del tutto aderente alla linea favorevole alla legittimita’, anche sotto il profilo Cas costituzionale, dell’accordo di traslazione dell’imposta si rinviene, successivamente, in Cass. sez. 5, 14 maggio 2003 n. 7440 (“In tema di determinazione del reddito d’impresa, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, articolo 74, (applicabile “ratione temporis”), gli oneri fiscali concernenti l’imposta sostitutiva di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, articolo 17, e l’imposta in abbonamento di cui alla L. 27 luglio 1962, n. 1228, articolo 1, (che gli istituti che esercitano il credito a medio e lungo termine sono tenuti a corrispondere) costituiscono, per effetto della traslazione convenzionale comunemente operata nella stipulazione dei contratti di finanziamento fiscalmente agevolati, un onere accessorio di diretta imputazione al costo di un servizio che da’ luogo a ricavi tassabili. Detti oneri, pertanto, dovendo essere considerati componenti negativi riferibili ad attivita’ da cui derivano ricavi che concorrono a formare il reddito d’impresa, devono ritenersi deducibili in misura integrale”) Si tratta ancora di mutuo, e si condivide espressamente una risoluzione ministeriale per cui la traslazione “non comporta la sostituzione di un soggetto ad un altro, nella corresponsione dell’imposta, ma semplicemente un aumento del corrispettivo della prestazione”, ancora rifacendosi, comunque, a S.U. 18 dicembre 1985 n. 6445.
Ripropone una netta affermazione di liceita’ dell’accordo di traslazione, sempre in un contratto di mutuo ma ancora a proposito della tematica tributaria della deducibilita’, la recente Cass. sez. 5, 25 febbraio 2015 n. 3770, peraltro in specifico riferimento alla normativa governante il tipo di imposta: “Ai sensi del Decreto Legislativo 29 settembre 1973, n. 601, articolo 17, il costo sostenuto dal mutuatario, rappresentato dalla traslazione economica dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti (nella specie, l’imposta sostitutiva sui mutui a lungo termine), deve essere qualificato non come imposta ma come parte del corrispettivo del finanziamento deducibile secondo l’ordinario principio di competenza Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1974, n. 917, ex articolo 74 (ora articolo 108)”. E, in motivazione, si afferma comunque che “una mera traslazione convenzionale del corrispondente carico d’imposta ” e’ “da ritenersi in via generale consentita, in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge”, trattandosi di “una pattuizione di carattere privatistico che non incide sul rapporto pubblicistico contribuente-fisco”.
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