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2.1 (OMISSIS) S.r.l. avverso la suddetta sentenza ha presentato un ricorso articolato in quattro motivi, tutti relativi alla clausola sopra riportata, il primo dei quali – che per il suo contenuto, per l’evidenza ben si puo’ anticipare, assorbirebbe se fondato i successivi – denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 1418 c.c., comma 1, in riferimento all’articolo 53 Cost., in collegamento con l’articolo 2 Cost.: la clausola 7.2 (i) statuirebbe una traslazione d’imposta dalla locatrice alla conduttrice, ed avrebbe errato il giudice d’appello nel ritenere che le clausole di un contratto di “affitto” di immobili non abitativi che non prevedano un obbligo diretto del conduttore verso il fisco di pagare le imposte gravanti sull’immobile, ma soltanto un obbligo dello stesso conduttore verso il locatore di sostenere il relativo onere, siano compatibili con il precetto costituzionale invocato. Cio’ non sarebbe neppure conforme con i principi formulati dalla giurisprudenza di legittimita’ in tema di traslazione dell’imposta nei contratti di mutuo: le Sezioni Unite con la sentenza 18 dicembre 1985 n. 6445 – sovvertendo l’orientamento espresso da Cass. sez. 1, 5 gennaio 1985 n.5 – ritennero valida una clausola di traslazione d’imposta in un contratto di mutuo, senza peraltro enunciare un principio generale relativo alla legittimita’ costituzionale di ogni patto che importi traslazione palese dell’onere delle imposte, gravanti sul soggetto passivo, ad altro oggetto, bensi’ fondando la decisione – dopo avere definito i principi espressi dalla precedente sentenza della sezione semplice come “esatti in linea teorica” – sullo specifico riferimento al concreto caso in esame, e cioe’ sulla riconducibilita’ nel mutuo al sinallagma (ovvero all’utile del contratto) dell’accordo di traslazione delle imposte sul reddito relative agli interessi dal mutuante al mutuatario. Le Sezioni Unite, pertanto, ribadirono la natura di norma imperativa preclusiva di patti negoziali comportanti l’elusione fiscale dell’articolo 53 Cost., cosi’ tra l’altro affermando: “Nel vigente sistema costituzionale tributario non basta oggettivamente che sia soddisfatta l’obbligazione verso il fisco, ma occorre altresi’ che tale obbligazione sia adempiuta dal soggetto tenuto a corrisponderla a cui carico gli articoli 53 e 2 Cost., pongono un dovere ribadito dall’art.1 della legge sull’accertamento tributario; la prestazione imposta di carattere tributario postula che una quota di ricchezza sia sottratta a quel determinato soggetto che la legge individua come soggetto passivo del tributo con il correlato effettivo sacrificio personale”.
La ricorrente afferma quindi di non contestare la validita’ – riconosciuta poi anche da successiva giurisprudenza di legittimita’ – di una clausola che, inserita in un contratto di mutuo, obblighi il mutuatario a rimborsare al mutuante le imposte (IRPEG e ILOR) afferenti agli interessi convenuti. Cio’ tuttavia non dimostrerebbe la conformita’ alla Costituzione di una clausola, come quella in esame, che prevede in un contratto di locazione non abitativa la traslazione di un’imposta patrimoniale – nei primi anni di esecuzione del contratto, dell’ICI, e successivamente dell’IMU: comunque sempre un’imposta presupponente, in capo a determinati soggetti, diritti particolarmente incisivi sull’immobile tassato -, gravante sul locatore, ad un soggetto quale il conduttore normativamente escluso dagli obbligati nei confronti dell’erario.
La corte territoriale non avrebbe verificato i requisiti – inclusione nel sinallagma e mancata sottrazione del soggetto passivo all’obbligo tributario -, individuati dalle Sezioni Unite, di compatibilita’ della clausola in questione con gli articoli 53 e 2 Cost., compatibilita’ che nei contratti diversi da quello di mutuo dovrebbe essere di volta in volta verificata (esempio di verifica concreta sarebbe Cass. sez. 1, 27 novembre 1999 n. 13261 che solo al suo esito avrebbe riconosciuto la validita’ di un patto con cui si stabiliva un obbligo di manleva di un fiduciante nei confronti di una fiduciaria rispetto agli oneri fiscali relativi al reddito derivante da partecipazioni sociali fittiziamente a quest’ultima trasferite, perche’ l’effettiva proprieta’ del fiduciante lo rendeva effettivo beneficiario del reddito). Alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite, una clausola avente ad oggetto la traslazione palese di un’imposta – sostiene la ricorrente – dovrebbe dichiararsi nulla per violazione appunto degli articoli 53 e 2 Cost. non solo se diretta a sottrarre il debitore al suo obbligo tributario, ma altresi’ qualora non risulti inclusa nel corrispettivo negoziale, ponendosi invece a fianco d’un sinallagma gia’ perfetto ed avendo ad oggetto il tributo in quanto tale anziche’ una quota del corrispettivo sinallagmatico. La clausola in questione sarebbe proprio estranea al sinallagma del contratto di locazione commerciale, gia’ pervenuto a perfezione mediante il canone – corrispettivo del godimento del bene -, per cui graverebbe la conduttrice di un costo, riguardante si’ il bene ma distinto dal canone locatizio. Canone che, nel caso in esame, sarebbe stato predeterminato con apposita pattuizione – gli articoli 4 e 5 del contratto -; e non emergerebbe una volonta’ delle parti di inserire la clausola denominata “Tasse” allo scopo di integrare il canone. La clausola de qua avrebbe ad oggetto direttamente il tributo (e non una somma di pari importo), come dimostrerebbe pure la condotta della locatrice, che aveva sempre “rifatturato” alla conduttrice i tributi che aveva pagato come rimborso di somme meramente anticipate per suo conto – e in quanto tali non le aveva assoggettate all’Iva -, come se il tributo gravasse direttamente sulla conduttrice stessa. La clausola, pertanto, generante fatture di rimborso spese anziche’ fatture per ricavo o per reddito, sarebbe nulla perche’ porrebbe l’imposta patrimoniale, anche se corrisposta al fisco dalla locatrice, in realta’ sulla conduttrice, cosi’ da garantire per tale imposta alla locatrice una neutralita’ fiscale.
2.2 Si e’ difesa con controricorso (OMISSIS) S.r.l., che nell’ambito della sua contestazione della prospettazione avversa – in sintesi, nel senso che non sarebbero stati realmente tenuti in conto gli insegnamenti di S.U. 18 dicembre 1985 n. 6445, per cui l’articolo 53 Cost., non osta al fondamentale criterio, presente nell’ordinamento, della tendenziale irrilevanza giuridica della traslazione dell’imposta discendente da legge economica, e tipicamente attuabile con la traslazione occulta (cioe’ l’aumento del corrispettivo) ma comunque lecita anche se effettuata mediante la traslazione palese (che si risolve nell’autonoma individuazione dell’equivalente pecuniario del carico tributario, il quale diviene una componente a se’ stante del prezzo finale) – ha richiamato la L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 8. Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, che, al secondo comma, stabilisce: “E’ ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario”, qualificandolo recepimento di S.U. 18 dicembre 1985 n. 6445 che esplicitamente ammetterebbe la negoziabilita’ del debito d’imposta con l’unico limite posto alla autonomia privata consistente nell’impossibilita’ di liberare, tramite l’accollo, l’originario contribuente: l’accollo dell’imposta sarebbe valido, dunque, quando la sua efficacia rimane inter partes, poiche’ non potrebbe invece liberare chi ha un obbligo attribuitogli dalla legge.
2.3 Entrambe le parti hanno depositato memorie. Nella sua memoria la ricorrente controbatte al richiamo di controparte dello Statuto del contribuente sostenendo che l’invocato articolo 8 non potrebbe che intendersi come conferente un rafforzamento delle garanzie offerte all’erario quanto all’adempimento dell’obbligazione tributaria. La norma, invero, pena un’evidente incostituzionalita’, non intenderebbe svincolare le clausole di traslazione dalla necessaria compatibilita’ con le norme costituzionali ed esonerarle quindi dal relativo vaglio: il riferimento all’accollo quale mero metodo di adempimento dell’obbligazione tributaria sarebbe sostanzialmente neutro rispetto ai principi, gerarchicamente sovraordinati, evincibili dagli articoli 2 e 53 Cost., nulla apportando in ordine alla causa dell’accollo, che pertanto potrebbe essere legittima – come nell’ipotesi in cui l’accollante si prendesse carico della prestazione tributaria di controparte in quanto suo debitore per un medesimo importo, ipotesi in cui, appunto, l’accollato subirebbe comunque il relativo sacrificio patrimoniale – oppure illegittima come nel caso in esame, in cui scopo concreto dell’accollo sarebbe consentire all’accollato la fruizione di una sostanziale neutralita’ fiscale in relazione a determinate imposte o, in generale, un’elusione tributaria -.
3.1.1 La questione proposta dal primo motivo del ricorso, come si e’ sintetizzato, concerne la sussistenza o meno di un limite all’autonomia negoziale – che, se sussistesse, sarebbe presidiato dalla nullita’ – in relazione ad un accordo di traslazione palese di imposta patrimoniale posto in una scrittura contenente un contratto di locazione ad uso non abitativo, cioe’ un contratto a prestazioni corrispettive, accordo pero’ estraneo al sinallagma contrattuale locatizio, come oggettivamente risalta proprio dagli stessi rilievi con cui la corte territoriale mira ad evidenziare il contrario (in particolare laddove osserva che nel contratto le parti “hanno voluto determinare il canone locativo in due diverse componenti”, l’una “espressamente qualificata come tale”, cioe’ l’articolo 4, e l’altra, cioe’ appunto l’articolo 7, comma 2 (i), tale perche’ si trova nello stesso atto e perche’ il contratto locatizio si e’ inserito in ulteriori “negoziazioni”), in quanto il canone e’ stato in modo espresso determinato, prescindendo nel suo importo dalla suddetta traslazione, mediante una clausola – l’articolo 4, appunto autonoma e distinta nel suo contenuto rispetto a quella che racchiude invece l’accordo de quo.
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