Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 20 febbraio 2018, n. 4008. Per discriminare la liceità o meno delle opere che il proprietario del fondo dominante intenda fare sul fondo servente

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3.2. Con il secondo motivo – sempre proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si ipotizza “violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto”, e cio’ “con riferimento al disposto dell’articolo 2058 c.c., comma 2”, nonche’ “alla valutazione delle risultanze istruttorie ai sensi dell’articolo 116 c.p.c.”.
Evidenzia l’ (OMISSIS) – in relazione alla determinazione dell’entita’ del disposto risarcimento nella misura di Euro 60.540,00 – l’esistenza di una enorme differenza tra quanto richiesto dall’attore (che, sulla scorta delle valutazioni effettuate dal proprio tecnico di parte, quantificava in Euro 8.200,00 il costo delle opere necessarie all’eliminazione delle cause delle infiltrazioni ed al ripristino del box) e quanto periziato e poi stabilito dal giudice. Gia’ su queste basi, dunque, si imporrebbe l’annullamento della sentenza ed il rinvio ad altra sezione al fine di un doveroso accertamento tecnico.
D’altra parte, la determinazione dell’entita’ del risarcimento sarebbe anche frutto di un errore giuridico.
Infatti, la Corte ligure – nel richiamare quell’arresto della giurisprudenza di legittimita’ secondo cui, ricorrendo la fattispecie di cui all’articolo 1669 c.c., la condanna al pagamento di quanto necessario per eliminare i vizi della costruzione comporta un’obbligazione risarcitoria in ogni caso finalizzata al ripristino dell’edificio e delle condizioni di stabilita’ dello stesso, sicche’, questa non puo’ trovare preclusione o limiti per la circostanza che il costo delle opere sia eventualmente superiore a quello della costruzione a regola d’arte dell’edificio lesionato (non trattandosi di reintegrazione in forma specifica ex articolo 2058 c.c., bensi’ di risarcimento per equivalente, per la cui commisurazione e’ fatto riferimento alle spese necessarie per restituire all’edificio la sua naturale funzionalita’; Cass. Sez. 2, sent. 22 gennaio 1985, n. 241) – avrebbe omesso di considerare che gli attori non hanno richiesto il ripristino, ma, solo ed esclusivamente, una somma a titolo di risarcimento danni. Ne deriverebbe la violazione dell’articolo 2058 c.c., comma 2, giacche’ la sentenza impugnata, per un verso, non avrebbe considerato la eccesiva onerosita’ – nel caso di specie – delle spese per la reintegrazione in forma specifica, nonche’, per altro verso, che la differenza tra tale forma di ristoro del danno subito ed il risarcimento per equivalente consiste nel fatto che la somma dovuta, nel primo caso, e’ calcolata sui costi occorrenti per la riparazione, mentre, nel secondo, e’ riferita alla differenza fra il bene integro (e cioe’ nel suo stato originario) ed il bene leso o danneggiato (e’ citata Cass. Sez. 1, sent. 3 luglio 1997, n. 5993).
3.3. Con il terzo motivo – anch’esso proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si assume “falsa applicazione del disposto dell’art 1027 c.c., con riferimento all’articolo 832 c.c. (proprieta’ esclusiva della rampa)”.
Si contesta la sentenza d’appello laddove ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dall’odierno ricorrente e volta al ripristino dello stato originale della rampa di accesso – che insiste su terreno di proprieta’ di esso (OMISSIS) – al box acquistato dallo (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), con risarcimento del danno. Il rigetto della domanda e’ stato motivato sul rilievo dell’assenza di aggravio della servitu’ posta a carico della proprieta’ (OMISSIS), giacche’ la modificazioni apportata, consistita nella costruzioni di gradini, “ha reso” – secondo la Corte genovese – “semplicemente piu’ agevole il suo utilizzo, senza precludere minimamente l’accesso alla proprieta’ in quanto carrabile con qualsiasi mezzo provvisto di quattro ruote”.
Rileva, sul punto, il ricorrente – non senza previamente osservare come lo (OMISSIS) e la (OMISSIS) abbiano giustificato il proprio contegno sul presupposto della pertinenzialita’ della rampa rispetto al box di loro proprieta’, senza pero’ soddisfare l’onere probatorio, su di essi gravante, relativamente all’esistenza dell’invocato nesso pertinenziale – che la suddetta rampa di accesso costituisce bene di sua proprieta’. La circostanza che la stessa formi oggetto di un diritto di passo degli attori non permetteva, pero’, a costoro di modificare lo stato dei luoghi senza alcuna autorizzazione del proprietario, in disparte il rilievo che l’intervento realizzato non avrebbe reso assolutamente piu’ agevole l’utilizzo della rampa di accesso, ma addirittura impedirebbe l’accesso carrabile con mezzi a tre ruote.
Troverebbe, dunque, applicazione – nel caso di specie – il principio giurisprudenziale secondo cui, in materia di proprieta’, e’ vietato occupare con qualsiasi manufatto il fondo altrui, soccorrendo, in caso di violazione, a prescindere dall’allegazione e dimostrazione di un qualche ulteriore e specifico danno, i rimedi di tutela reale a carattere ripristinatorio (e’ citata Cass. Sez. 2, sent. 19 agosto 2003, n. 12177).
4. Hanno proposto controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), per resistere all’avversaria impugnazione, della quale hanno preliminarmente eccepito – sotto vari profili, riferiti al ricorso nel suo insieme, ma anche ai suoi singoli motivi – l’inammissibilita’.
Quanto al ricorso nel suo complesso, si assume la violazione del principio di autosufficienza, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione al fatto che l’impugnazione dell’ (OMISSIS) avrebbe offerto una ricostruzione “mutilata” della domanda attorea, omettendo di precisare che il richiesto risarcimento non era limitato al mancato utilizzo del box, ma era riferito all’esistenza di gravi difetti di costruzione ex articolo 1669 c.c..
Altra ragione di inammissibilita’ sarebbe costituita dal fatto che, pur evocando l’impugnazione principale una non corretta interpretazione dei documenti in atti (ed in particolare della CTU), mancherebbe in ricorso – al quale i suddetti documenti non sono stati neppure allegati – una piu’ specifica indicazione degli stessi, donde la violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4).
Infine, avendo la sentenza impugnata deciso la causa in modo conforme alla giurisprudenza di legittimita’, e non avendo il ricorrente fornito elementi per mutare la stessa, sarebbe stato violato l’articolo 360-bis c.p.c., comma 1.
Anche i singoli motivi, inoltre, parteciperebbero del medesimo vizio in ragione del fatto di evocare “una diversa ricostruzione del fatto ed una diversa valutazione della prova non consentita in sede di legittimita’”.
Si sottolinea, inoltre, nel merito, l’infondatezza delle singole censure.
5. Ha presentato memoria il ricorrente, ribadendo quanto gia’ affermato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il ricorso va accolto, sebbene limitatamente al suo terzo motivo.
6.1. Il primo motivo e’ inammissibile.

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