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Tale motivo di ricorso, invero, si caratterizza per l’enunciazione di argomenti e principi giurisprudenziali integralmente disancorati dal provvedimento impugnato e si connota per un generico riferimento agli elementi costitutivi del reato contestato e per un’apodittica censura per violazione di legge e vizio motivazionale.
La mancanza di specificità del motivo, del resto, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione ed, in entrambi i conduce, ai sensi dell’art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), all’inammissibilità della stessa (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano).
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta, mediante l’individuazione dei capi e dei punti dell’atto impugnato che si intendono sottoporre a censura con espressione di un vaglio critico in ordine a ciascuno di essi analiticamente formulato, che consenta di dimostrare che il ragionamento del giudice è errato (ex plurimis: Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv.255568; Sez. 6, n. 22445 dell’8/09/2009, P.M. in proc. Candita, Rv. 244181).
2.2. Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, nella ordinanza impugnata, ha, peraltro, riportato analiticamente le censure svolte dal difensore della persona sottoposta ad indagini e, nel confutarle specificamente, ha diffusamente riportato le risultanze delle indagini e gli elementi probatori che assumono valenza gravemente indiziante nei confronti della ricorrente, descrivendoli compiutamente, episodio per episodio, sulla base della visione diretta delle immagini tratte dal monitoraggio audio e video dell’aula ove operavano la ricorrente e la collega R.G. .
Parimenti nella ordinanza impugnata risultano analiticamente descritte e puntualmente esaminate le condotte ritenute idonee ad integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia e la commissione delle stesse direttamente ad opera dalla indagata o, in concorso, morale o materiale, con la collega R. , senza alcuna indebita traslazione di responsabilità penale da un autore all’altro, pur nella cornice unitaria del concorso di persone nel reato.
3. Con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 572 cod. pen., in quanto il Tribunale di Reggio Calabria nell’ordinanza impugnata non aveva verificato se l’indagata fosse o meno mossa da un personale animus corrigendi.
Le condotte poste in essere dalla indagata, come le lievi percosse e le tirate di cappelli, ancorché non commendevoli, si rivelavano, infatti, prive di rilievo penale, essendo obiettivamente inidonee ad esprimere reale violenza fisica o psicologica.
Non ricorreva, comunque, anche con riferimento alle ulteriori condotte violente contestate, l’estremo della sistematica reiterazione delle stesse, essendo queste, per quanto accertato, intervenute nell’arco temporale di due sole settimane (e, segnatamente, dal (omissis) ).
Il Tribunale del riesame di Catanzaro aveva, pertanto, travisato l’efficacia probatoria dei singoli episodi ripresi dalle videocamere installate all’interno della scuola materna. Non aveva, inoltre, dimostrato sulla scorta di quale regola di esperienza un rimprovero, un mero strattonamento o una lieve percossa inferta con una paletta giocattolo possano deprimere l’autostima di un bambino.
L’assenza del dolo unitario e della abitualità della condotta imponevano, pertanto, la riqualificazione del delitto in quello di abuso di mezzi di correzione, che, peraltro, in ragione della propria cornice edittale, non consente la adozione di alcuna misura interdittiva.
4. Anche tale doglianza si rivela manifestamente infondata.

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