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requirente, tanto da indurre alcuni Autori, proprio in ragione di tale assetto normativo, a formulare espresse critiche alla scelta del legislatore di non attribuire alcun potere di controllo in materia ad un giudice.
C’e’ di piu’. L’articolo 54-quater c.p.p. non solo rimette al procuratore generale presso la corte d’appello o presso la corte di cassazione, e non al giudice, la decisione sulla legittimazione dello specifico ufficio di Procura ad indagare. La disposizione appena citata stabilisce espressamente, al comma 4, l’utilizzabilita’, “nei casi e nei modi previsto dalla legge”, degli “atti di indagine preliminare compiuti prima della trasmissione degli atti (disposta dal procuratore della Repubblica fino a quel momento procedente) o della comunicazione del decreto” con il quale il procuratore generale (presso la corte d’appello o presso la corte di cassazione) individua l’ufficio cui spetta di procedere; in questo modo, essa esclude qualunque rilevanza delle questioni di “competenza” o di “legittimazione” ai fini della validita’ degli atti compiuti dal pubblico ministero in epoca precedente alla decisione in ordine alle stesse.
2.3. Per completezza, ed in considerazione delle argomentazioni esposte nel ricorso, va evidenziato che le conclusioni raggiunte restano ferme anche in caso di “accordi” o “protocolli” operativi intercorsi tra piu’ uffici di Procura.
Tali accordi, infatti, non espressamente previsti dal legislatore, possono costituire una forma di coordinamento investigativo tra piu’ uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 371 c.p.p., allo scopo di assicurare un piu’ efficace svolgimento delle indagini, ed anche, eventualmente, di prevenire e risolvere consensualmente “contrasti”, ma non assumono alcun significato ai fini della rilevabilita’ della “incompetenza” di una Procura della Repubblica, o della validita’ degli atti compiuti dalla stessa. In questo senso depongono una pluralita’ di indici normativi. Non solo la disciplina sui contrasti tra pubblici ministeri o sulla richiesta di trasmissione degli atti a un diverso pubblico ministero formulata da indagati, persone offese e loro difensori (articoli 54, 54-bis, 54-ter e 54-quater c.p.p.) non opera alcun riferimento al coordinamento investigativo come criterio rilevante per l’individuazione, in via autoritativa, dell’ufficio cui spetta di procedere. Soprattutto, la conseguenza procedimentale espressamente prevista per l’ipotesi in cui non risulta effettivo il coordinamento delle indagini, e sempre che le investigazioni si riferiscano alle specifiche fattispecie di reato indicate dal legislatore, e’ quella della avocazione, istituto la cui operativita’ e’ rimessa alle esclusive determinazioni del procuratore generale presso la corte d’appello, a norma dell’articolo 372 c.p.p., comma 1-bis, (o, nei casi di cui all’articolo 371-bis c.p.p., del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo), rispetto al quale resta del tutto estraneo il giudice, e che, di per se’, non incide sulla validita’ ed efficacia degli atti gia’ compiuti.
3. Le questioni in tema di sussistenza del fumus commissi delicti, prospettate con il secondo motivo, sono anch’esse infondate.
3.1. Secondo l’insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimita’, in sede di riesame del sequestro probatorio il Tribunale e’ chiamato a verificare l’astratta configurabilita’ del reato ipotizzato, valutando il fumus commissi delicti in relazione alla congruita’ degli elementi rappresentati, non gia’ nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell’accusa, bensi’ con esclusivo riferimento alla idoneita’ degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilita’ dell’autorita’ giudiziaria (cosi’, tra le tantissime, Sez. 2, n. 25329 del 05/05/2016, Bulgarella, Rv. 267007, nonche’ Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997, Bassi, Rv. 206657).
Per chiarezza, poi, sembra utile precisare che il reato ipotizzato nella vicenda in esame, quello di cui all’articolo 326 cod. pen., ha ad oggetto la condotta del pubblico ufficiale che mette terze persone al corrente della notizia che deve restare segreta e non, invece, la condotta di chi, appresa tale notizia, la divulghi. Di conseguenza, la condotta di divulgazione di una notizia coperta da segreto d’ufficio, posta in essere da un soggetto privo della qualita’ soggettiva di pubblico agente, non integra la fattispecie di cui all’articolo 326 c.p., ma, piuttosto, costituisce un indizio della gia’ avvenuta commissione di tale delitto da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio.
3.2. I ricorrenti, premesso che l’ipotizzata rivelazione di segreto di ufficio per la quale si procede attiene a notizie divulgate con il libro “(OMISSIS): le carte inedite del caso Consip e il familismo renziano”, pubblicato il 18 maggio 2017, rappresentano, in particolare, che: -) le notizie in questione erano state gia’ riprese da diverse testate giornalistiche; -) le informative dei Carabinieri in relazione al procedimento penale n. 6585/13 R.G.N.R. pendente presso la Procura di Napoli erano state gia’ depositate nel procedimento penale a carico di (OMISSIS) davanti alla Procura di Roma, e non erano piu’ coperte da segreto investigativo, gia’ dal mese di marzo 2017; -) la conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) del 2 marzo 2017 era stata resa nota al pubblico il 16 maggio 2017, mediante un articolo del giornale “(OMISSIS)”, stampato a Roma.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha adottato il provvedimento di perquisizione e sequestro poi impugnato davanti al tribunale del riesame ritenendo “sussistere il fumus commissi delicti relativamente al reato di cui all’articolo 326 c.p., ascrivibile ad un pubblico ufficiale allo stato non identificato che, avvalendosi illegittimamente di notizie non comunicabili in quanto coperte dal segreto investigativo, riferibili ad atti depositati presso l’AG di Napoli (da cui discende la competenza per territorio in capo a questa Procura), le abbia indebitamente propalate all’esterno”.
L’ordinanza impugnata osserva che “seri indizi” in ordine al reato ipotizzato ricorrono “quanto meno con riferimento alla rivelazione dei contenuti della conversazione telefonica del 2 marzo 2017 tra (OMISSIS) Matteo e (OMISSIS) (…) il cui contenuto (…) non era stato reso ostensibile alla data della pubblicazione del libro sopra indicato, avvenuta in data 18.5.2017”.
3.3. Alla luce dei principi giuridici e degli elementi indicati nel provvedimento impugnato, nell’originario decreto di perquisizione e sequestro e nei ricorsi, corretta sul punto deve ritenersi la decisione del Tribunale del riesame di Napoli.
In effetti, non puo’ dirsi manifestamente illogica l’affermazione della sussistenza del fumus commissi delicti in ordine all’ipotesi di reato formulata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Invero, la circostanza – non controversa – della pubblicazione, mediante il libro “(OMISSIS)”, di una notizia ancora coperta da segreto, pur se divulgata da testate giornalistiche due giorni prima della diffusione del volume, rende non irragionevole la conclusione in ordine alla configurabilita’, nei limiti necessari per l’adozione di un provvedimento di sequestro probatorio, di una condotta di illecita rivelazione dell’informazione medesima da parte di un pubblico agente, sussumibile nella fattispecie di cui all’articolo 326 c.p., e suscettibile di approfondimento.
4. Infondate, ancora, sono le censure relative al mancato avvertimento della facolta’ di opporre il segreto professionale prima dell’effettuazione del sequestro, prospettate con il terzo motivo.
4.1. L’articolo 256 c.p.p., comma 1, prevede che coloro i quali possono far valere il segreto professionale o di ufficio a norma degli articoli 200 e 201 c.p.p., hanno l’obbligo di “consegnare immediatamente” all’autorita’ giudiziaria gli atti, documenti, informazioni e programmi informatici dalla stessa richiesti, “salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto di Stato ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione”.
La disposizione, quindi, da un punto di vista letterale, non fa alcun cenno all’obbligo dell’autorita’ procedente di informare i soggetti indicati dagli articoli 200 e 201 c.p.p. della facolta’ di avvalersi del segreto professionale o di ufficio, ma si limita a prevedere che dette persone possono avvalersi di tale prerogativa. La medesima statuizione, inoltre, pone un vincolo procedimentale per l’opposizione del segreto, chiedendo una dichiarazione “per iscritto”, del tutto inusuale per l’esercizio di una facolta’ di cui debba darsi formale avviso all’interessato.
Sembra percio’ ragionevole ritenere che l’esecuzione di una perquisizione e sequestro nei confronti di una delle persone indicate dagli articoli 200 e 201 c.p.p., non debba essere preceduta dall’avvertimento della facolta’ di opporre il segreto professionale o di ufficio, e possa percio’ essere eseguita nelle forme ordinarie, senza ulteriori limitazioni, fino alla opposizione “per iscritto” del limite.
Ne’ tale conclusione puo’ trovare diversa soluzione in relazione al giornalista professionista rispetto agli altri titolari di segreto professionale o di ufficio: l’articolo 256 c.p.p., comma 1, prevede l’applicabilita’ della disciplina da esso delineata con riferimento a tutte le “persone indicate negli articoli 200 e 201”, senza operare alcun distinguo; i giornalisti professionisti iscritti all’albo professionale, in quanto espressamente citati dall’articolo 200 c.p.p., rientrano senza dubbio tra quelle “persone”.
4.2. Nel senso della non necessita’ del preventivo avvertimento da parte dell’autorita’ che procede si e’ gia’ piu’ volte orientata la giurisprudenza con riferimento al segreto di Stato e al segreto professionale in generale.
Secondo diverse decisioni, infatti, in assenza di formale opposizione del segreto d’ufficio o professionale alla richiesta di esibizione di documentazione ai sensi dell’articolo 256 c.p.p., comma 1, nulla impedisce all’autorita’ giudiziaria procedente di emanare un normale decreto di sequestro della documentazione in questione sulla base della norma generale di cui all’articolo 253 c.p.p., comma 1, e non dell’articolo 256 c.p.p., comma 2, la cui operativita’ e’ espressamente fondata nel presupposto cui vi sia stata una formale opposizione del segreto, della cui fondatezza l’autorita’ giudiziaria procedente abbia motivo di dubitare (cosi’ Sez. 2, n. 41786 del 06/10/2015, Micciche’, Rv. 264777, e Sez. 2, n. 144 del 22/01/1997, Veronese, Rv. 208469). Del resto, anche con riferimento all’assunzione di una testimonianza, si ritiene che l’eventuale esistenza del segreto professionale in ordine a quanto conosciuto dal testimone per ragione del proprio ministero, ufficio o professione non puo’ essere rilevata direttamente dal giudice, ma deve essere eccepita dallo stesso soggetto chiamato a deporre, nell’ipotesi in cui egli venga a trovarsi in una delle situazioni individuate dall’articolo 200 c.p.p. (cosi’ Sez. 6, n. 9866 del 11/02/2009, Belluomo, Rv. 242701).
Anzi, sia pure per evidenziarne l’avvenuta applicazione da parte del tribunale del riesame che aveva annullato il provvedimento di vincolo, il principio relativo al potere dell’autorita’ giudiziaria procedente di emanare un normale decreto di sequestro della documentazione sulla base della norma generale di cui all’articolo 253 c.p.p., comma 1, e’ stato richiamato anche con riferimento ad attivita’ di ricerca della prova poste in essere nei confronti di un giornalista (cfr. Sez. 1, n. 25755 del 16/02/2007, Pomarici, mass. per altro).
4.3. Attese, da un lato, la non necessita’ del preventivo avvertimento al giornalista, prima che si proceda a perquisizione e sequestro, della facolta’ di opporre il segreto e, dall’altro, la mancata opposizione in concreto dello stesso, diventa irrilevante, in questa sede, l’esame dell’ulteriore questione in ordine all’autorita’ giudiziaria competente a decidere se e in che limiti sia superabile il limite del segreto giornalistico, e, precisamente, se tale decisione spetti comunque al pubblico ministero o debba essere rimessa immediatamente al giudice.
5. Fondate, invece, sono le questioni, formulate in altre parti del terzo motivo, nonche’ nel quarto e nel quinto motivo, che attengono alla pertinenzialita’ del sequestro relativo ai computer, ai supporti informatici e ai dati in essi contenuti, nonche’ ai documenti cartacei sottoposti a vincolo rispetto alla notizia di reato ipotizzata, sia pure per motivi diversi.
6. La consolidata giurisprudenza italiana e sovranazionale, in tema di perquisizione e sequestro nei confronti dei giornalisti, ha evidenziato specificita’ relative ai presupposti che legittimano l’adozione di tali provvedimenti ed ai limiti concernenti i risultati perseguibili in ragione dell’attivita’ professionale svolta dagli appartenenti a tale categoria di professionisti, siccome destinatari di una disciplina particolare in tema di segreto.
6.1. Secondo la giurisprudenza di legittimita’, l’attivita’ svolta dal giornalista, innanzitutto, impone, anche ai fini della legittimita’ di provvedimenti di perquisizione e sequestro, il rispetto dei limiti indicati dall’articolo 200 c.p.p., comma 3, in tema di prova testimoniale, e cioe’ l’indispensabilita’ della rivelazione della fonte informativa ai fini della prova del reato per cui si procede, nonche’ l’impossibilita’ di accertare altrimenti la veridicita’ della notizia in possesso del perquisito (cosi’, specificamente, Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, Massari, Rv. 252054). Di conseguenza, si e’ precisato che non e’ sufficiente “un semplice nesso di “pertinenzialita’” tra le notizie ed il generico tema dell’indagine, cosi’ come occorre che tale ingerenza rappresenti la extrema ratio cui ricorrere per poter conseguire la prova necessaria per perseguire il reato” (cosi’, ancora, Sez. 2, Massari, cit.).
Il medesimo profilo funzionale dell’attivita’ svolta dal giornalista e’ stato ritenuto implicare, inoltre, la necessita’ di valutare con particolare rigore la “proporzione” tra il contenuto del provvedimento emesso dall’autorita’ giudiziaria e le esigenze di accertamento dei fatti: solo in tal modo, infatti, si puo’ assicurare che l’attivita’ investigativa sia condotta in modo da non compromettere il diritto del giornalista alla riservatezza della propria corrispondenza e delle proprie fonti (cfr.: Sez. 1, n. 25755 del 16/02/2007, Pomarici, Rv. 237430; Sez. 6, 40380 del 31/05/2007, Sarzanini, Rv. 237917; Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, Massari, Rv. 252054; Sez. 6, n. 31735 del 15/04/2014, Minniti, Rv. 260068; Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015, Rizzo, Rv. 264092). Ancor piu’ specificamente, il rispetto del “criterio di proporzionalita’” (i termini “proporzione” o “proporzionalita’” sono impiegati da tutte le sentenze citate) e’ stato ancorato all’esigenza di evitare “potenziali limitazioni che alla liberta’ di stampa potrebbero derivare da iniziative immotivatamente invasive”, in quanto tali idonee a determinare un sostanziale aggiramento della disciplina di cui all’articolo 200 c.p.p., comma 3 e articolo 256 c.p.p. (cosi’ Sez. 6, Sarzanini, cit., e Sez, 6, Minniti, cit.), e si e’ anche sottolineata la specifica garanzia assicurata dall’articolo 10 della Convenzione EDU (per questo rilievo, concordemente, Sez. 2, Massari, cit., Sez. 6, Minniti, cit., e Sez. 6, Rizzo cit.).
Va detto, per completezza, che il principio di proporzionalita’ e’ evocato dalla giurisprudenza di legittimita’ non solo in relazione ai provvedimenti di sequestro probatorio nei confronti dei giornalisti, ma anche, sempre piu’ spesso, nell’ambito della generale disciplina delle misure cautelari reali, essa pure priva di un’espressa previsione legislativa in tal senso (cfr., tra le tante, in materia di sequestro conservativo, Sez. 1, n. 2264 del 05/04/1996, Baldassar, Rv. 204819, nonche’ in materia di sequestro preventivo, Sez. 3, n. 27840 del 23/03/2016, Calvisi, Rv. 267055, e Sez. 5, n. 8152 del 21/01/2010, Mangano, Rv. 246103).
6.2. La giurisprudenza della Corte EDU, a sua volta, ha da tempo rilevato che il provvedimento dell’autorita’ giudiziaria di esibizione e sequestro di materiale posseduto da un giornalista puo’ costituire una violazione della liberta’ di espressione tutelata dalla Convenzione, perche’, comportando il rischio dell’individuazione delle fonti alle quali il professionista aveva garantito l’anonimato, pregiudica la futura attivita’ del giornalista e del giornale la cui reputazione sarebbe lesa anche agli occhi delle future fonti (cosi’, specificamente, Corte EDU, Grande Camera, 14/09/2010, Sanoma Uitgevers B.V. c. Paesi Bassi, ma anche Corte EDU, Sez. 4, 15 dicembre 2009, Financial Times Ltd. c. Regno Unito; cfr., inoltre, per l’evidenziazione della necessita’ di tutelare le medesime esigenze con riferimento all’ordine di rendere testimonianza, Corte EDU, Sez. 5, 5 ottobre 2017, Beker c. Norvegia).
In particolare, secondo diverse pronunce dei giudici di Strasburgo, le ispezioni e perquisizioni nel domicilio e nell’ufficio di un giornalista, ed il conseguente sequestro di supporti informatici e documenti disposti dall’Autorita’ giudiziaria per individuare la fonte informativa che ha chiesto l’anonimato, se si presentano come “misure sproporzionate”, costituiscono una violazione della liberta’ dei giornalisti, protetta dall’articolo 10 della CEDU, di ricevere o comunicare informazioni, anche quando la fonte abbia violato un obbligo di segretezza consegnando o trasmettendo documenti coperti da segreto (cfr.: Corte EDU, Sez. 5, 20 marzo 2012, Martin e altri c. Francia; Corte EDU, Sez. 4, 16 luglio 2013, Nagla c. Lettonia; Corte EDU, Sez. 2, 19 gennaio 2016, Gormus ed altri c. Turchia). Talvolta, la valorizzazione dell’esigenza di un “adeguato bilanciamento” tra l’interesse alla protezione delle fonti giornalistiche e l’interesse alla prevenzione e repressione dei crimini ha indotto a censurare come “insufficienti” le motivazioni dei giudici nazionali indicative della “pertinenza”, ma non anche della specifica necessita’ degli atti di ispezione o perquisizione e sequestro (cosi’, in particolare, Corte EDU, Sez. 5, 20 marzo 2012, Martin e altri c. Francia, nonche’ Corte EDU, Sez. 4, 16 luglio 2013, Nagla c. Lettonia). In altra occasione, inoltre, l’attivita’ di indagine in discorso e’ stata giudicata negativamente perche’ “sproporzionata” in considerazione degli effetti intimidatori nei confronti non solo dei giornalisti direttamente interessati e dello loro fonti, ma anche della generalita’ dei giornalisti operanti nello Stato e dei loro informatori (v. Corte EDU, Sez. 2, 19 gennaio 2016, Górmii5 ed altri c. Turchia, relativa ad un’operazione investigativa comportante, tra l’altro, l’acquisizione dei dati memorizzati su quarantasei computer, ed effettuata per indagare sulla violazione di un segreto militare specificamente riferibile, e riferita, a pubblici dipendenti).
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