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La sentenza ha, inoltre, offerto una chiara e coerente motivazione sul fatto che vi sia stato il pieno consenso dell’imputato per l’utilizzo improprio della scheda a favore della figlia, ritenendo quindi sussistente il dolo: il riferimento e’ alle numerose telefonate che il (OMISSIS) ha ricevuto da parte della figlia che utilizzava l’utenza in questione e alla vicenda della denuncia dello smarrimento della SIM. Con riferimento a tale vicenda la Corte territoriale ha spiegato: che la scheda e’ stata smarrita dalla figlia, in quanto dalla stessa utilizzata in quel periodo, come dimostrano le telefonate effettuate; che la denuncia di smarrimento e’ stata presentata dal (OMISSIS), in quanto formalmente era lui che avrebbe dovuto utilizzarla in modo esclusivo; che (OMISSIS) ottenne una nuova scheda richiedendo il medesimo numero. Si tratta di circostanze che, nella ricostruzione dei giudici, costituiscono “la prova risolutiva della conoscenza da parte del (OMISSIS) che la SIM era usata dalla figlia”, tanto e’ vero che anche la nuova SIM, con il medesimo numero, veniva consegnata a (OMISSIS), cioe’ al soggetto che aveva effettivo interesse ad avere la SIM con lo stesso numero fino ad allora utilizzato.
In sostanza, si e’ ritenuto sussistere il peculato di cui all’articolo 314 cod. pen., comma 1 perche’ nella specie la condotta dell’imputato e’ consistita in una tipica forma di appropriazione, realizzatasi attraverso la cessione illegittima del bene ad un terzo, che ne ha fatto un uso continuativo ed esclusivo, in violazione, come si e’ detto, del vincolo di destinazione.
1.2. Per queste ragioni, la sentenza ha correttamente escluso che la fattispecie potesse essere ricompresa nell’ipotesi del peculato d’uso, reato ritenuto sussistente da alcune decisioni in materia di uso indebito del telefono d’ufficio, tra cui le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 19054 del 21/12/2012, Vattani). Infatti, nel caso in esame non si e’ trattato di un uso illegittimo del bene per fini personali e al di fuori dei casi d’urgenza o di specifiche esigenze, ma di una vera e propria cessione della disponibilita’ della scheda SIM ad un terzo estraneo alla pubblica amministrazione e, inoltre, non vi e’ stato un uso momentaneo della cosa, con la sua immediata restituzione dopo l’uso, e neppure l’intenzione di restituire il bene dopo averne fatto un uso temporaneo. Vi e’ stata, invece, una cessione “definitiva” o, meglio, un “atto di disposizione di fatto”, per un uso continuo ed esclusivo del bene, come dimostra la citata vicenda della denuncia dello smarrimento, con la riconsegna della nuova SIM alla figlia, perche’ continuasse ad utilizzarla. Come ha correttamente sottolineato la Corte d’appello, l’azione posta in essere dall’imputato non puo’ rientrare nell’ipotesi del peculato d’uso, in cui si realizza un abuso del possesso, ma che non si traduce “nella sua stabile inversione in dominio”. Del resto, e’ stato detto che il peculato d’uso del telefono d’ufficio puo’ realizzarsi solo se “con tale condotta il soggetto distoglie precisamente il bene fisico costituito dall’apparato telefonico, di cui e’ in possesso per ragioni d’ufficio, dalla sua destinazione pubblicistica piegandolo a fini personali, per il tempo del relativo uso, per restituirlo, alla cessazione di questo, alla destinazione originaria”.
Infondata e’ la tesi difensiva con cui si sostiene l’inoffensivita’ della condotta posta in essere dall’imputato. Una volta che si e’ ritenuto che il peculato e’ stato realizzato attraverso la cessione del bene, il discorso sul limite del plafond di spesa, previsto dal contratto di utilizzo dell’utenza, non ha rilevanza ai fini della sussistenza del reato, ma, come si vedra’, potrebbe incidere sul riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all’articolo 6 c.p., n. 4 e articolo 323-bis cod. pen..
1.3. Allo stesso modo deve ritenersi infondato il motivo con cui si assume che il fatto andava riqualificato ai sensi dell’articolo 323 cod. pen..
Si deve ribadire che nell’abuso d’ufficio la violazione dei doveri del pubblico ufficiale rappresenta la condotta tipica del reato, il cui evento coincide con l’ingiustizia del profitto, mentre nel peculato la violazione dei doveri d’ufficio costituisce solo la modalita’ della condotta appropriativa e l’evento tipico coincide con la stessa appropriazione. Inoltre, l’appropriazione cui si riferisce il peculato ha come effetto l’estromissione dell’amministrazione proprietaria rispetto al bene, invece nell’abuso d’ufficio la destinazione del bene, sebbene viziata dalla condotta dell’agente, mantiene la sua natura pubblica e non favorisce interessi estranei all’amministrazione (cfr., Sez. 6, n. 40148 del 27/11/2001, Gennari).
Nel caso in esame vi e’ stata innanzitutto la cessione di fatto definitiva del bene, peraltro a favore di un soggetto estraneo all’amministrazione comunale, sicche’ correttamente e’ stato contestato il reato di peculato.
2. E’ invece fondato il quarto motivo.
La Corte d’appello ha escluso l’applicazione sia dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4, sia dell’ipotesi di cui all’articolo 323-bis cod. pen., sul presupposto dell’entita’ della bolletta telefonica pagata dal Comune di (OMISSIS) con riferimento al periodo di utilizzo della scheda SIM (non meno di Euro 12.000).
Invero, la sentenza impugnata non sembra avere adeguatamente valutato il contenuto del contratto stipulato dal Comune di (OMISSIS). Gli stessi giudici riconoscono l’esistenza di un accordo che faceva riferimento ad un plafond di spesa pari ad Euro 180,00 a bimestre, ma sul punto non hanno offerto una motivazione adeguata e logica. Infatti, hanno censurato le deduzioni difensive, secondo cui “i costi che non superano il plafond sono da porsi a carico della P.A. indipendentemente dalla natura e/o finalita’ della chiamata”, limitandosi a sostenere che anche le telefonate ricomprese nel plafond rientravano nel peculato, senza pero’ trarre le necessarie conseguenze sulla circostanza che le telefonate fuori plafond fossero comunque a carico dell’imputato.
In sostanza, la somma di Euro 12.000 indicata nel capo d’imputazione e nella sentenza sembrerebbe far riferimento all’importo complessivo delle telefonate fatte dall’utenza assegnata all’imputato e utilizzata dalla figlia, comprensiva del costo delle chiamate fuori plafond il cui pagamento non spettava al Comune, ma al (OMISSIS). Si tratta di una circostanza rilevante, rappresentata nei motivi d’appello e ribadita nel quarto motivo del ricorso, in cui si e’ sostenuto che l’entita’ del danno andava calcolata in relazione all’importo del solo plafond di Euro 180,00 a bimestre. Su tale questione, rilevante ai fini dell’accertamento della sussistenza delle circostanze attenuanti di cui all’articolo 62 c.p., n. 4, e articolo 323-bis cod. pen., la sentenza ha motivato in modo incompleto e illogico, sicche’ la sentenza sui relativi punti deve essere annullata.
Le doglianze relative al trattamento sanzionatorio devono ritenersi, allo stato, assorbite dal disposto annullamento.
3. In conclusione, la sentenza deve essere annullata limitatamente alla configurabilita’ delle circostanze attenuanti di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 4, e articolo 323-bis cod. pen., con rinvio degli atti ad altra sezione della Corte d’appello di Milano perche’ motivi su tali punti, accertando preliminarmente gli esatti contenuti del contratto in questione; per il resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla configurabilita’ delle circostanze attenuanti di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 4, e articolo 323-bis cod. pen. e rinvia su tali punti ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso.
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