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1. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile perche’ non capace di contrastare in modo diretto e puntuale le ragioni che, nella motivazione impugnata, sostengono la prova del presupposto giudizio di penale responsabilita’ del legale rappresentante della societa’ (OMISSIS).
I giudici di appello richiamano infatti sul punto le dichiarazioni di (OMISSIS), il pubblico ufficiale istigato alla corruzione, e quelle confessorie rese, in sede di interrogatorio di garanzia e dinanzi al P.M., da (OMISSIS), collaboratore di (OMISSIS), legale rappresentante della (OMISSIS), per passaggi argomentativi, forti di univoca concludenza, con cui il motivo non si confronta.
2. Il secondo motivo e’ inammissibile perche’ non si confronta con la motivazione resa dalla Corte di appello che ha correttamente ritenuto l’integrazione della corruzione, reato presupposto della contestata responsabilita’ amministrativa di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, definendo della prima compiutamente le condotte, nell’apprezzato concorrente interesse della societa’ rispetto a coloro che, in posizione qualificata all’interno della sua organizzazione, ne sono stati autori.
Quanto dedotto nell’atto difensivo sull’esistenza di proposte migliorative da parte della (OMISSIS) – nel corso del procedimento finalizzato all’approvazione della proposta in variante allo strumento urbanistico generale, ai sensi della Legge Regionale Lazio n. 36 del 1987, articolo 4 – che, in adesione a sollecitazione dell’amministrazione comunale, avrebbero escluso, in mancanza di condotta preferenziale, il reato di corruzione integra una circostanza irrilevante e come tale assorbita dal formulato giudizio di responsabilita’, a fronte dell’intervenuta istigazione corruttiva segnata dalla promessa di denaro, per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio del pubblico amministratore.
Il delitto di istigazione alla corruzione e’ un reato di mera condotta per la cui consumazione non si richiede che la promessa del privato o la sollecitazione del pubblico ufficiale siano recepite dalla controparte (Sez. 2, n. 5518 del 04/03/1992, Bigoni, Rv. 190362) e la’ dove della promessa o della sollecitazione siano definiti i contenuti, il diverso atteggiarsi della composizione degli interessi pubblici e di quelli del privato all’interno del procedimento amministrativo in uno svolgimento dai primi perturbato non vale ad escludere l’istigazione.
3. Il terzo motivo e’ inammissibile perche’ manifestamente infondato e comunque reiterativo di censure a cui ha congruamente risposto la Corte di appello.
La sollecitazione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio a dare o promettere denaro o altra utilita’ mediante un atto contrario ai doveri di ufficio integra, nel caso sia rifiutata, il delitto di istigazione alla corruzione punito dall’articolo 322 cod. pen. la’ dove la qualifica di pubblico ufficiale va riconosciuta in ragione dell’attivita’ in concreto esercitata, nella irrilevanza della mancanza di un rapporto di dipendenza con l’ente pubblico.
La condotta istigativa, quindi, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, puo’ trovare integrazione anche rispetto ad un componente di una lista civica rappresentata in consiglio comunale rispetto all’adozione favorevole agli interessi del privato sollecitatore di un atto consiliare, alla cui formazione il primo partecipi.
4. All’inammissibilita’ del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in Euro 2.000,00, in ragione delle questioni dedotte, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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