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La Corte d’appello – diversamente dall’assunto dei ricorrenti – si e’ correttamente attenuta al principio di diritto secondo cui nel contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale, l’aleatorieta’, costituente elemento essenziale del negozio anzidetto, va accertata con riguardo al momento della conclusione del contratto, essendo in funzione della incertezza obiettiva iniziale della vita contemplata e della conseguente eguale incertezza in ordine al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante (dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza del beneficiario, ma anche dalle sue condizioni di salute, il cui peggioramento implica un aggravio delle cure) ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio (Cass. 7 giugno 1971 n. 1694; Cass. 29 agosto 1992, n. 9998).
Il giudice del merito – proprio in considerazione della natura aleatoria del contratto, che e’ caratterizzato dalla indeterminatezza della prestazione complessiva cui risultera’ obbligato il debitore, commisurata all’incerta durata della vita umana e alla variabilita’ dei bisogni alimentari, di cura e di assistenza del vitaliziato e della terza beneficiaria del vitalizio, e che pertanto postula l’esistenza di una situazione di incertezza circa il vantaggio o lo svantaggio che potra’ alternativamente realizzarsi nello svolgimento e nella durata del rapporto – ha respinto la tesi secondo cui potesse venire in rilievo il denunciato squilibrio (in ogni caso escluso in concreto) tra il valore delle prestazioni offerte dalla vitaliziante appellante ed il valore della nuda proprieta’ degli immobili ceduti dal vitaliziato.
A cio’ aggiungasi che, nel contratto di vitalizio assistenziale, con riferimento all’eta’ e allo stato di salute l’alea e’ esclusa – ed il contratto e’ dichiarato nullo – soltanto se, al momento della conclusione, il beneficiario era affetto da malattia che, per natura e gravita’, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, la quale ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, o se questi aveva un’eta’ talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni piu’ ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile.
I giudici del merito – procedendo all’esame delle risultanze probatorie – sono giunti alla motivata conclusione che (OMISSIS), nel periodo dal (OMISSIS), ha provveduto a fornire regolarmente e con costanza a (OMISSIS) e alla di lui coniuge i servizi e l’assistenza medica e generica previsti dal contratto, oltre a corrispondere un importo annuo di Lire 900.000, riservando anche il diritto di usufrutto dei due immobili ceduti ai vitaliziati, stimato il valore degli immobili per la piena proprieta’ al massimo in Lire 173.610.592, che andava abbattuto del depauperamento dovuto al diritto di usufrutto e della buonuscita del colono, oltre che delle imposte, elementi che controbilanciavano il primo (“dell’altra prestazione accessoria alla rendita che riguarda gli oneri del contratto e l’obbligo di pagare le imposte, a rimborso diretto verso (OMISSIS) o in caso di premorienza verso la di lui moglie (OMISSIS)”).
Nella sentenza impugnata viene, poi, sottolineato che le prestazioni assistenziali de quibus sarebbero gravate “sulla (OMISSIS) perche’ unica residente in Italia tra i due obbligati” e che dovevano essere considerati gli “altri vincoli instaurabili ad opera della usufruttuaria (OMISSIS), come puo’ desumersi dalla lettera in cui la erede universale della (OMISSIS) vanta un contratto di affitto agrario instaurato”.
I giudici del gravame hanno, infine, concluso nel senso che la difficolta’ oggettiva di calcolo della sproporzione lamentata non potesse riverberarsi sulla parte convenuta, ma piuttosto su quella attrice, la quale non aveva assolto al relativo onere di prova. In particolare, la corte territoriale ha evidenziato come il valore delle zone interessate fosse stato “ancorato a dati affatto certi”, come si evinceva dal fatto che il c.t.u. aveva utilizzato, per accertare detto valore, una sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania, la n. 9/89, che si riferiva ad una ipotesi di espropriazione per pubblica utilita’ e ad una valutazione di ben 10 anni successiva all’epoca di conclusione del contratto. Il giudice di secondo grado ha evidenziato pure come nessuna delle due c.t.u. agli atti consentisse di comprendere “quale parte del fondo sia destinata a zona turistica e quale destinata a zona “B3″ – anzi B1 -” e che “non e’ ricavabile dalla c.t.u. a quanto ammonti il valore della nuda proprieta’, nemmeno rispetto al valore calcolato dal c.t.u. di 530.000.000, per tutto l’immobile unitariamente considerato”, ma solo che “il valore unitario della zona turistica viene determinato in base ad un aumento del valore di zona agricola stimata, sempre in una ipotesi di espropriazione in epoca indefinita, dal Tribunale delle acque pubbliche e in zona retrostante la stazione FF.SS. (OMISSIS)”.
Il motivo di ricorso finisce, nella sostanza, con il richiedere apprezzamenti che non sono neanche riferibili ad una contestazione della valutazione delle prove documentali e della c.t.u. (di cui peraltro neppure vengono trascritti i contenuti), ma che deducono una erronea percezione dei dati riprodotti nelle perizie agli atti, laddove il giudice di secondo grado ha solo in via subordinata ipotizzato di “voler considerare come validi i valori indicati dal c.t.u.”, effettuando il raffronto fra il valore del diritto trasferito come indicato dai periti del Tribunale e le prestazioni gravanti su (OMISSIS).
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