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Se, pero’, fuori dalle eccezioni appena ribadite, e’ indiscusso il diritto al rinvio dell’udienza, la disciplina del diritto al conseguente avviso non puo’ ricavarsi tout court dalla sola previsione del piu’ volte citato articolo 420-ter: come gia’ efficacemente evidenziato dal massimo organo di nomofilachia con la richiamata sentenza Grassi del 2006, infatti, occorre distinguere la posizione dell’imputato anche in ragione del peculiare istituto della contumacia, vigente sia al tempo della pronuncia de qua che all’epoca del processo oggi in esame – da quella del difensore.
Scrivono le Sezioni Unite, a riguardo, che “l’imputato ha diritto a una nuova citazione a giudizio solo quando venga accertata la legittimita’ del suo impedimento a comparire. Se l’imputato viene dichiarato contumace, non ha diritto a ulteriori avvisi, perche’, essendo rappresentato dal difensore (articolo 420-quater c.p.p., comma 2), deve considerarsi presente (articolo 420-ter c.p.p., comma 4 e articolo 477 c.p.p., comma 3). E non puo’ esservi dubbio che anche il sostituto designato per il difensore assente rappresenti l’imputato contumace, tale essendo appunto la funzione di garanzia per la quale viene designato. Ma questa regola vale ovviamente solo nei casi in cui la data della nuova udienza sia fissata gia’ nell’ordinanza che dispone il rinvio a udienza fissa (o la sospensione) del dibattimento; non puo’ valere nei casi in cui si disponga un rinvio a tempo indeterminato, come pure puo’ avvenire, perche’ in tal caso neppure il difensore presente alla lettura dell’ordinanza di rinvio risulta immediatamente informato della data della nuova udienza. Quanto al difensore, l’articolo 420-ter c.p.p., comma 5 stabilisce che si debba provvedere a norma del comma 1 quando risulti che la sua assenza e’ dovuta ad assoluta impossibilita’ di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato. Ne consegue che il difensore assente per legittimo impedimento ha diritto all’avviso della nuova udienza (…). Occorre tuttavia stabilire se la notifica dell’avviso competa al difensore legittimamente assente anche quando la nuova udienza risulti fissata gia’ nell’ordinanza che dispone il rinvio (o la sospensione) del dibattimento. Infatti, mentre l’imputato assente e’ rappresentato dal difensore solo quando sia stato dichiarato contumace, un sostituto del difensore assente e’ comunque presente alla lettura dell’ordinanza di rinvio; e, secondo quanto prevede l’articolo 102 c.p.p., comma 2, “il sostituto esercita i diritti e assume i doveri del difensore” (…). Il titolare dell’ufficio di difesa rimane destinatario delle sole notificazioni che siano effettivamente necessarie; mentre qui si discute appunto della necessita’ di notificare l’avviso della nuova udienza gia’ fissata nell’ordinanza di rinvio (o di sospensione) del dibattimento letta alla presenza del sostituto. E quindi il problema non attiene alla posizione del difensore sostituito, bensi’ alla funzione del sostituto, che, assumendo per conto del sostituito i doveri derivanti dalla partecipazione all’udienza (…), assume anche il compito di destinatario dell’avviso orale della data della nuova udienza cui il dibattimento sia rinviato. Secondo quanto prevede l’articolo 477 c.p.p., comma 3, infatti, gli avvisi orali dati nel caso di rinvio a udienza fissa (o di sospensione) del dibattimento sostituiscono le notificazioni per coloro che debbono considerarsi presenti. Sicche’ deve ritenersi che, nel caso di rinvio a udienza fissa (o di sospensione) del dibattimento per legittimo impedimento del difensore, e’ sufficiente che l’avviso sia recepito in udienza dal sostituto designato dal giudice”.
Nel contesto appena descritto, dunque, non puo’ riconoscersi alcuno spessore alle disfunzioni lamentate dal difensore dei ricorrenti (secondo cui, per prassi, il professionista nominato ex officio non sarebbe in condizione di rendersi conto di quali e quanti colleghi si sia trovato a sostituire, ne’ in ordine a quali processi cio’ sia concretamente accaduto); il quadro di riferimento normativo, al contrario, e’ tale da rendere il difensore d’ufficio – designato ai sensi dell’articolo 97 c.p.p., comma 4, – titolare del diritto-dovere di informarsi compiutamente circa il giudizio cui sia chiamato a partecipare, accedendo ai relativi fascicoli processuali sia nel corso che all’esito dello svolgimento delle udienze. Cio’ non solo con riguardo al possibile esercizio di facolta’ di estrema rilevanza nell’interesse della persona assistita (si pensi alla deducibilita’ di nullita’ non assolute, suscettibili di sanatoria), ma anche al fine di doversi poi relazionare con il difensore in ipotesi sostituito.
Sostituito al quale, in ogni caso, si richiede una diligenza di certo non inesigibile, nel momento in cui gli si prospetta di dover acquisire presso la Cancelleria – non necessariamente recandovisi di persona – ogni utile notizia circa le successive scansioni del processo cui abbia interesse: onere che ben puo’ (e deve, senz’altro prima di sette giorni) essere soddisfatto anche da un difensore di altro foro.
3. Le censure della difesa debbono altresi’ essere disattese in punto di contestata diffamatorieta’ dell’articolo di stampa.
Con analisi ineccepibile sui profili di merito della vicenda, la Corte territoriale ha infatti – del tutto correttamente – posto l’accento sulla ben diversa portata di discredito che puo’ derivare, per un soggetto accusato di avere abusato sessualmente di un minore, dal vedersi addebitare molestie in danno di una quindicenne, piuttosto che di una bambina di soli (OMISSIS) anni (con tanto di espresso inquadramento del fatto in un contesto di pedofilia). A tacer d’altro, le pene previste per coloro che compiano atti sessuali su chi abbia meno di 10 anni di eta’ sono assai piu’ elevate, ed anche il senso di riprovazione suscitato nell’opinione pubblica a seguito di tali vicende e’ – per fatto notorio – decisamente maggiore.
Ne’ sembra, come invece ritiene il difensore dei ricorrenti, che molestare un’adolescente, la quale abbia comunque raggiunto un’eta’ idonea a consentirle una lecita manifestazione della propria sessualita’, possa ipso facto far meritare al responsabile della condotta – oltre a quello di abusante – l’epiteto di pedofilo, anche secondo il sentire comune.
In definitiva, nella fattispecie concreta il contenuto dell’articolo si discosto’ nettamente dalla verita’ obiettiva dei fatti riferiti, alterandone e modificandone la gravita’ in termini di ben piu’ sensibile lesione della reputazione del soggetto, ivi descritto come autore delle molestie, rispetto a quel che sarebbe accaduto in caso di indicazione corretta di quel che era stato l’effettivo comportamento di (OMISSIS). Quest’ultimo, peraltro, risultava pacificamente identificabile, quanto meno nell’ambito territoriale che era stato teatro degli eventi de quibus (costituente il bacino di diffusione del quotidiano): la notizia pubblicata mirava a spiegare le ragioni di un suicidio avvenuto da quelle parti, ma il fatto stesso che un residente nei comuni della (OMISSIS) si fosse tolto la vita era inevitabilmente noto, senza alcuna possibilita’ che un qualunque lettore non collegasse i due dati. Il particolare, anzi, non poteva che rendere piu’ agevole per un operatore dell’informazione la ricerca di doverosi riscontri alla notizia in questione: l’identita’ del suicida, per l’ovvia rarita’ di condotte autosoppressive in zone non densamente popolate, era suscettibile di immediata verifica, cosi’ come sarebbe stato assai facile accertare, al di la’ delle inesattezze delle fonti, quale eta’ avesse la presunta nipote insidiata.
4. Il ricorso e’ invece fondato con riguardo alle statuizioni civilistiche.
La sentenza impugnata, sul punto, si limita ad affermare che “va accolta la domanda risarcitoria proposta dalla parte civile, stimandosi di giustizia liquidare in via equitativa la somma di Euro 20.000,00, tenuto conto della portata diffamatoria accertata”.
A riguardo, vero e’ che la liquidazione del danno morale e’ affidata ad apprezzamenti discrezionali di puro merito, ma – per essere sottratta al sindacato di legittimita’ – e’ necessario che la relativa valutazione sia sorretta da congrua motivazione (v. Cass., Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana), gravando sul giudice “il dovere di dare conto delle circostanze di fatto considerate in sede di valutazione equitativa e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente i calcoli in base ai quali ha determinato il quantum del risarcimento” (Cass., Sez. IV, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli, Rv 263450).
Nell’odierna fattispecie, la Corte abruzzese si e’ limitata a richiamare in estrema sintesi quanto era stato esposto in precedenza sulla significativita’ della lesione arrecata all’onore di un soggetto additato come responsabile di molestie sessuali piu’ gravi di quelle realmente da lui commesse; nulla, tuttavia, viene argomentato per poter considerare congrua la somma liquidata ove riferita non gia’ al soggetto de quo, bensi’ in quanto determinata come ristoro – per offesa alla memoria – in favore dei suoi prossimi congiunti. Cio’ senza indagare o comunque affrontare il tema di quali fossero state le concrete conseguenze pregiudizievoli della pubblicazione dell’articolo per la parte civile effettivamente costituita (un fratello del (OMISSIS), di cui non si evidenzia neppure se vivesse a sua volta nel medesimo contesto territoriale), anche per la sua peculiare posizione di persona legata comunque da vincoli di affinita’ con la stessa vittima del reato.
5. Si impongono, pertanto, le determinazioni di cui al dispositivo.
Al giudice del rinvio deve intendersi rimesso anche il governo delle spese fra le parti private.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio per nuovo esame sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Rigetta nel resto il ricorso.
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