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Gli elementi a carico dell’imputato, dichiarato colpevole dei delitti di cui agli articoli 485 e 624 c.p., articolo 625 c.p., n. 2, articolo 61 c.p., n. 7, venivano individuati nelle seguenti circostanze: il suddetto conto corrente era normalmente seguito dal (OMISSIS), tanto che il (OMISSIS) (nelle occasioni in cui si era effettivamente recato in banca) si era sempre rivolto a lui; le operazioni connesse ai prelevamenti in rubrica erano state sempre effettuate dalla sua postazione di lavoro; in prossimita’ delle operazioni medesime, talora in date perfettamente coincidenti, egli aveva curato versamenti di contanti su rapporti a lui intestati (sia pure se per importi inferiori). Al contrario, secondo i giudici di merito non poteva assurgere a prova liberatoria il rilievo che l’autore delle false firme del (OMISSIS) non fosse personalmente l’imputato, come emerso sulla base di accertamenti peritali: cio’ valeva solo a dimostrare il verosimile concorso in quegli stessi reati di terzi rimasti ignoti, ipotesi confermata anche una delle operazioni sopra ricordate aveva avuto luogo in un giorno nel quale il (OMISSIS) risultava assente dal lavoro (ma sempre utilizzando la sua postazione).
La declaratoria di penale responsabilita’ era intervenuta all’esito di giudizio abbreviato, con contestuale condanna in solido dell’imputato e della (OMISSIS) s.p.a., citata quale responsabile civile, al risarcimento dei danni subiti dal (OMISSIS), da liquidarsi nella sede competente.
2. Avverso la pronuncia della Corte territoriale propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che deduce la violazione dell’articolo 192 cod. proc. pen., nonche’ la manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata.
Nell’interesse del ricorrente si fa rilevare che i testimoni escussi (i dipendenti della medesima banca, talora anche di grado superiore a quello del (OMISSIS)) avevano tutto l’interesse a scaricare su di lui l’esclusiva responsabilita’ dell’accaduto, quando invece la realta’ e’ che egli si interesso’ del conto intestato alla (OMISSIS) solo perche’ sollecitato dall’amministratore di sostegno del (OMISSIS), che aveva la necessita’ di attingere alle somme ivi giacenti per far fronte alle spese funerarie dell’anziana. Inoltre, dalle risultanze processuali sarebbe emerso non solo che le firme false dovevano attribuirsi a mano diversa, ma anche che chiunque avrebbe potuto facilmente accedere alla postazione lavorativa del ricorrente.
Il difensore dell’imputato sottolinea altresi’ che nel corso delle indagini preliminari venne rigettata una richiesta di sequestro dei conti riferibili al (OMISSIS), sul presupposto della ritenuta carenza di gravita’ indiziaria: malgrado il Tribunale e la Corte di appello abbiano sostenuto che quella decisione potesse superarsi in ragione degli esiti dei successivi accertamenti, non e’ dato comprendere quali elementi ulteriori sarebbero stati acquisiti in chiave accusatoria rispetto al quadro valutato dal Gip nei termini anzidetti.
3. Un distinto ricorso appare avanzato nell’interesse della (OMISSIS), nella suddetta qualita’ di responsabile civile.
3.1 Con un primo motivo, nell’interesse dell’istituto bancario si deducono carenze motivazionali della sentenza impugnata e violazione di legge, avendo la Corte territoriale espressamente affermato che nel caso in esame vi sarebbe stata necessita’ di approfondimenti investigativi a causa di “discrasie logico-fattuali”: percio’, risulta attestata per tabulas l’inidoneita’ del materiale probatorio acquisito a fondare una decisione di condanna, con palese inosservanza del disposto di cui all’articolo 530 c.p.p., comma 2. A tale riguardo, la difesa del responsabile civile evidenzia che:
– il (OMISSIS) non si dedico’ mai ad una effettiva e stabile gestione del conto della defunta, avendo solo curato le operazioni conseguenti alle necessita’ di copertura delle spese del rito funebre, dietro richiesta dell’amministratore di sostegno della parte civile;
– nulla sarebbe stato acclarato a proposito delle circostanze in cui, gia’ prima della morte della (OMISSIS), ebbero inizio le condotte di spoliazione del conto corrente, condotte date per pacificamente ammesse dagli stessi giudici di merito;
– nel periodo che sarebbe stato interessato dai fatti contestati all’imputato, vi fu un prelievo certamente ad opera del (OMISSIS) (in data 27/08/2009);
– lo stesso erede della (OMISSIS), a dispetto di condizioni ed abitudini esistenziali riferite come precarie, risulto’ in possesso di una somma in contanti niente affatto trascurabile.
3.2 Identici profili di vizio vengono segnalati dalla difesa della (OMISSIS) s.p.a. con riguardo al ritenuto concorso del (OMISSIS) con persone non identificate. Sul piano logico, secondo la tesi del responsabile civile ricorrente, dovrebbe intendersi dimostrato non gia’ che l’imputato agi’ avvalendosi di ignoti complici, bensi’ che egli rimase estraneo agli addebiti: infatti, in almeno un caso la firma del (OMISSIS) sulla distinta del prelevamento appare autentica, ed in altre tre circostanze (non gia’ una sola, come si legge nella motivazione della pronuncia) le operazioni furono compiute quando il (OMISSIS) non era presente in ufficio. Quanto meno, i rilievi appena segnalati avrebbero dovuto leggersi come indicativi della sussistenza di un dubbio ragionevole, in antitesi rispetto alla ricostruzione accusatoria.
Inoltre, anche i versamenti di denaro da parte del funzionario, su conti personali, non dimostrerebbero alcunche’, visto che non ebbero a coincidere quasi mai per data – e mai per importo – rispetto ai presunti prelievi indebiti; del resto, sarebbe illogico ritenere che un bancario realizzi condotte tanto sprovvedute, men che meno sapendo di attingere a somme soggette a rendicontazione (a causa dell’amministrazione di sostegno in atto sull’erede di chi ne era titolare).
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