Esclusa la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, da intendersi sempre come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni.
Fermo restando l’incontestabile potere del giudice di attribuire in sentenza al fatto emergente dalle risultanze processuali una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, stante la limpida formulazione dell’art. 521 c.p.p., il rispetto della regola del contraddittorio, che deve essere assicurato all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice nell’esercizio del potere-dovere che gli è proprio, conformemente alla previsione dell’art. 111 Cost., comma 2, secondo la lettura integrata alla luce dell’art. 6, par. 3, lett. a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, come interpretato dalla CEDU, impone esclusivamente che tale diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa”, determinando conseguenze negative per l’imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali e ad una ‘sua diversa e nuova definizione giuridica, rispetto a quanto descritto, in punto di fatto e di diritto, nell’imputazione, della quale pertanto tali sviluppi rappresentino un’evoluzione inaspettata e sottratta al contraddittorio. Condizione che non si verifica in due occasioni.
Da un lato, quando la difesa abbia avuto nella fase di merito la possibilità comunque di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione avverso la sentenza di primo grado in cui viene operata la diversa qualificazione giuridica del fatto.
Dall’altro quando la diversa qualificazione giuridica appare come uno dei naturali e “non sorprendenti” epiloghi decisori del giudizio (di merito o di legittimità), stante la riconducibilità del fatto storico, di cui è stata dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale è stato consentito all’imputato o al suo difensore l’effettivo esercizio del diritto di difesa, ad una limitatissima gamma di previsioni normative alternative, per cui, ricostruito il fatto in maniera conforma alla contestazione, l’eventuale esclusione dell’una comporta, inevitabilmente, l’applicazione dell’altra, non corrispondendo, in tale ipotesi, alla diversa qualificazione giuridica, una sostanziale immutazione del fatto, che, integro nei suoi elementi essenziali, può essere diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile
Corte di Cassazione
sezione quinta penale
sentenza 23 giugno – 25 ottobre 2017, n. 49054
Presidente Conti – Relatore Mogini
Ritenuto in fatto
1. S.S. ricorre per mezzo del proprio difensore di fiducia avverso la sentenza ih epigrafe, con la quale la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Ragusa in data 16/1/2015 che ha condannato il ricorrente per il reato a lui ascritto, riqualificata ai sensi dell’art. 319 quater cod. pen. l’originaria contestazione del delitto di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., per avere dal 2006 al marzo 2010, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando della sua qualità di Appuntato scelto in servizio presso la Stazione Carabinieri di (…), indotto il titolare del ristorante “Lo Scoglio”, con l’implicita minaccia di controlli ed ispezioni, presentandosi una o due volte a settimana presso tale esercizio commerciale, anche in divisa e a bordo di autovettura d’istituto, a fornirgli gratuitamente pizze e bevande.
2. Il ricorrente censura la sentenza impugnata deducendo i seguenti motivi.
2.1. Erronea applicazione di legge penale con riferimento all’art. 319 quater cod. pen. in ordine alla apoditticamente ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità in mancanza dei presupposti della pressione morale e del vantaggio indebito del privato.
2.2. Erronea applicazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen. in relazione alla mancata concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità senza procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per procedere a perizia finalizzata alla quantificazione del danno, rilevante anche ai fini dell’accoglimento della richiesta, formulata in appello, volta al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen..
2.3. Omessa motivazione circa la richiesta di declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione della condotta contestata dal 2006 al 2008, alla quale risulta applicabile la più favorevole Legge n. 69/2015.
2.4. Con motivi nuovi depositati in data 2/5/2017 il ricorrente ha illustrato ulteriormente la censura già formulata col primo motivo di ricorso, osservando che il delitto di induzione indebita di cui all’art. 319 quater cod. pen. è reato a concorso necessario e che nel caso di specie manca qualsivoglia concorrente, posto che la presunta vittima non ha mai ottenuto alcun vantaggio e non è mai stata sottoposta a pressione morale.
3. Ad esito dell’udienza dell’8/6/2017, alla quale era presente il difensore del ricorrente che insisteva per l’accoglimento del ricorso, questa Corte disponeva d’ufficio rinvio all’udienza odierna, prospettando l’ipotesi di una possibile riqualificazione del reato contestato ex art. 317 cod. pen..
Il difensore di fiducia del ricorrente depositava dunque in data 14/6/2017 memoria scritta ex artt. 121 e 611, comma 1, cod. proc. pen., con la quale, premesso che la questione della qualificazione giuridica dei fatti in contestazione è stata risolta dal giudice di primo grado, che li ha sussunti nella fattispecie di cui all’art. 419 bis cod. pen., e che tale qualificazione giuridica è stata confermata dalla Corte territoriale, segnala che una eventuale reformatio in peius del nomen iuris del reato per il quale all’esito dei gradi di merito è intervenuta condanna priverebbe il ricorrente della possibilità di difendersi in punto di fatto, poiché il contraddittorio dibattimentale non ha riguardato il sostrato sul quale si fonda la qualificazione giuridica ipotizzata in questa sede di legittimità. Non è infatti possibile in questa sede procedere alla prospettata riqualificazione, stanti i limiti derivanti dalle pronunce della Corte EDU sul punto in relazione all’art. 6 della CEDU, né disporre un annullamento con rinvio della sentenza impugnata ai fini di contestazione del reato di cui all’art. 317 cod. pen., essendo lo stesso più grave di quello per il quale si è proceduto e comportando l’eventuale condanna per i medesimi fatti diversamente qualificati una reformatio in peius delle decisioni di merito, preclusa in mancanza di impugnazione da parte del pubblico ministero.
Considerato in diritto
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