Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 25 ottobre 2017, n. 49054. Il rispetto del principio costituzionale ed europeo del contraddittorio deve essere assicurato anche nel caso in cui il giudice procedente decida di modificare la definizione giuridica del fatto oggetto di giudizio

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Orbene, i principi affermati dalla giurisprudenza che si richiama alla sentenza “Drassich” non si pongono in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte che esclude la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, da intendersi sempre come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni.
Fermo restando, dunque, l’incontestabile potere del giudice di attribuire in sentenza al fatto emergente dalle risultanze processuali una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, stante la limpida formulazione dell’art. 521 c.p.p., il rispetto della regola del contraddittorio, che deve essere assicurato all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice nell’esercizio del potere-dovere che gli è proprio, conformemente alla previsione dell’art. 111 Cost., comma 2, secondo la lettura integrata alla luce dell’art. 6, par. 3, lett. a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, come interpretato dalla CEDU, impone esclusivamente che tale diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa”, determinando conseguenze negative per l’imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali e ad una ‘sua diversa e nuova definizione giuridica, rispetto a quanto descritto, in punto di fatto e di diritto, nell’imputazione, della quale pertanto tali sviluppi rappresentino un’evoluzione inaspettata e sottratta al contraddittorio. Condizione che non si verifica in due occasioni.
Da un lato, quando la difesa abbia avuto nella fase di merito la possibilità comunque di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione avverso la sentenza di primo grado in cui viene operata la diversa qualificazione giuridica del fatto.
Dall’altro quando la diversa qualificazione giuridica appare come uno dei naturali e “non sorprendenti” epiloghi decisori del giudizio (di merito o di legittimità), stante la riconducibilità del fatto storico, di cui è stata dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale è stato consentito all’imputato o al suo difensore l’effettivo esercizio del diritto di difesa, ad una limitatissima gamma di previsioni normative alternative, per cui, ricostruito il fatto in maniera conforma alla contestazione, l’eventuale esclusione dell’una comporta, inevitabilmente, l’applicazione dell’altra, non corrispondendo, in tale ipotesi, alla diversa qualificazione giuridica, una sostanziale immutazione del fatto, che, integro nei suoi elementi essenziali, può essere diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile (Sez. 5, Sentenza n. 7984 del 2013, Jovanovic).
Orbene, tali circostanze ricorrono entrambe nel caso in esame.
Infatti, non solo è indubitabile, come emerge dalla semplice lettura dell’originario capo di imputazione, che il fatto finalmente ritenuto in entrambe le sentenze di merito è nel dettaglio identico a quello contestato, ma è altresì certo che il contraddittorio sulla possibile qualificazione giuridica di quelle condotte ai sensi dell’art. 317 cod. pen. è stata oggetto fin dall’inizio del processo, ed ancora in questo grado di giudizio, del pieno contraddittorio tra la difesa e il pubblico ministero, atteso che l’originaria imputazione faceva riferimento, in relazione ai medesimi fatti, proprio alla fattispecie astratta della concussione.
Il ricorrente ha avuto quindi la possibilità di interloquire nella fase di merito in ordine alla diversa qualificazione giuridica del fatto originariamente contestato operata in sentenza dal giudice di primo grado. E tale possibilità gli è stata garantita anche in questo grado di giudizio, in particolare a seguito del rinvio dell’udienza di trattazione appositamente disposto dal Collegio con specifico avviso alla difesa di una possibile riqualificazione del fatto-reato ex art. 317 cod. pen.. Infatti, nel giudizio di legittimità, il diritto del ricorrente a essere informato in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico deve ritenersi soddisfatto quando l’eventualità di una diversa qualificazione giuridica del fatto operata dal giudice “ex officio” sia stata rappresentata al difensore dell’imputato, in modo che la parte abbia potuto beneficiare di un congruo termine per apprestare la propria difesa, posto che l’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, può ritenersi rispettato con l’informazione al solo difensore, tenendo conto della natura tecnica del giudizio di legittimità (Sez. 2, n. 37413 del 15/05/2013, Drassich, Rv. 256653). Il potere della Corte di attribuire una diversa qualificazione giuridica ai fatti accertati non è dunque stato esercitato con atto a sorpresa e con pregiudizio del diritto di difesa, conseguendo tale qualificazione alla comunicazione alle parti del diverso inquadramento prospettabile, con concessione di un termine a difesa, in attuazione del principio di diritto espresso dalla Corte Europea Diritti dell’Uomo nella citata sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia (Sez. 6, n. 3716 del 24/11/2015, Caruso, Rv. 266953).

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