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Non convince, invece, la sentenza dell’11-11-2010, n. 5761, secondo cui “non vi e’ compatibilita’ tra recidiva e continuazione, con la conseguenza che non puo’ tenersi conto della recidiva una volta ritenuta la continuazione tra il reato per cui sia pronunciata sentenza passata in giudicato, valutato come piu’ grave e, pertanto, considerato reato base, e quello successivo, oggetto di ulteriore giudizio, in quanto i reati ritenuti in continuazione costituiscono momenti di un’unica condotta illecita, caratterizzata dalla reiterazione di diversi episodi delittuosi, consumati in attuazione di un medesimo disegno criminoso, con la conseguenza che non e’ possibile ritenere la recidiva per gli episodi successivi al primo”.
Non convince perche’ non tiene conto del fatto che l’unificazione dei reati avviene al solo al fine di determinare il trattamento sanzionatorio (quoad poenam) e non puo’ portare al sovvertimento della realta’. Ne’ pare condivisibile il ragionamento laddove argomenta che “i reati ritenuti in continuazione costituiscono momenti di un’unica condotta illecita”, giacche’ i reati che confluiscono in quello continuato mantengono a tutti gli effetti la propria autonomia, come confermato – tra l’altro – dal regime della prescrizione. La fictio iuris non puo’ eliminare, quindi, il dato che qui interessa: il fatto che il nuovo reato viene commesso da soggetto che, seppure in esecuzione di una deliberazione presa antecedentemente, tuttavia commette il fatto quando ha gia’ riportato condanna – passata in giudicato – per precedente reato, insiste nell’esecuzione del disegno criminoso (nonostante il rimprovero ricevuto) e da’ quindi prova di una maggiore proclivita’ a delinquere. A tanto va aggiunto che la programmazione e deliberazione, a livello essenzialmente “ideale”, di un numero determinato di delitti non esclude che, al momento dell’esecuzione, occorra un nuovo conato della volonta’, diretto a dare forma e sostanza alla programmazione originaria; il che rende evidente sia che la continuazione rimane a livello di finzione giuridica, sia che la contrapposizione – da parte dell’autore – all’ordine normativo si rinnova nel momento in cui viene posto in essere un reato della serie programmata.
Ne consegue che non possono trovare accoglimento le censure del ricorrente, relative sia al diniego di disapplicazione della recidiva che al giudizio di bilanciamento tra circostanze.
4. Il ricorso di (OMISSIS) e’ manifestamente infondato, giacche’ la Corte d’appello, con valutazione unitaria per tutti gli imputati (quindi, anche per (OMISSIS)), ha ritenuto che i numerosi precedenti penali da cui quest’ultimo e’ gravato, reiterati anche nel quinquennio, siano indicativi di una maggiore pericolosita’ e rendano l’imputato immeritevole di attenuanti generiche prevalenti (che, infatti, non sono state concesse nella maniera richiesta). Non e’ corretto affermare, quindi, che il giudice d’appello ha omesso di pronunciarsi sulla doglianza, giacche’, al contrario, ha mostrato di aver bene presente l’istanza difensiva e di volerla disattendere per le ragioni sopra esposte. Nessun accenno vi e’, nella sentenza d’appello, alla “obbligatorieta’” dell’aumento di pena, per cui nessun effetto ha, sulla correttezza del giudizio espresso dal giudicante, l’intervento della Corte Costituzionale, attuato con sentenza n. 185 del 2015, posto che la decisione della Corte di merito riposa non gia’ sulla cogenza dell’articolo 99, comma 5 (nella formulazione antecedente all’intervento del giudice delle leggi), bensi’ sulla ritenuta pericolosita’ dell’imputato e sulla gravita’ dei fatti da lui posti in essere.
5. Il ricorso di (OMISSIS) e’ anch’esso manifestamente infondato.
Nella determinazione della pena nel reato continuato le attenuanti – qualunque esse siano – incidono sulla pena base, nel senso che – se ritenute prevalenti riducono detta pena nella misura ritenuta equa dal giudicante, dopodiche’ gli aumenti di pena per i reati satelliti prescindono dal bilanciamento delle circostanze. Infatti, in tema di reato continuato, il giudizio di comparazione fra circostanze trova applicazione con riguardo al fatto considerato come violazione piu’ grave, e con riferimento alle sole aggravanti ed attenuanti che allo stesso specificamente si riferiscono, sicche’ delle circostanze riguardanti ciascuno dei reati satellite si deve tener conto esclusivamente ai fini dell’aumento di pena ex articolo 81 c.p. (Cass., n. 26340 del 25/3/2014; sez. 1, n. 49344 del 13/11/2013; sez. 5, n. 4609 del 7/3/1996).
Nello specifico, la Carte d’appello ha – con la sentenza impugnata – recepito, confermandolo, il giudizio formulato dal giudice della sentenza del 30/5/2014 (che aveva determinato la pena tenendo conto delle attenuanti, giudicate prevalenti sulle aggravanti); di conseguenza, non era chiamata ad effettuare una ulteriore comparazione tra le circostanze relativamente ai reati satellite, ma doveva, come ha fatto, solo tenere conto degli elementi circostanziali relativi ai detti reati, al fine di calibrare gli aumenti di pena in maniera “adeguata” rispetto alla gravita’ dei reati stessi. La violazione di legge e’ pertanto, insussistente, come pure il vizio di motivazione lamentato.
6. Segue a tanto che il ricorso di (OMISSIS) – infondato, ma non in maniera manifesta, stante il contrasto di giurisprudenza rilevato – va rigettato, mentre vanno dichiarati inammissibili ricorsi di tutti gli altri. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., tutti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, mentre gli autori di ricorsi inammissibili vanno anche condannati al versamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, che, tenuto conto della natura delle doglianze sollevate, si reputa equo quantificare in Euro 2.000 ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 a favore della Cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali.
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