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3.2. Il difensore di (OMISSIS) lamenta che la Corte d’appello abbia omesso “qualsivoglia motivazione in ordine alla responsabilita’ dell’imputato” e che abbia “omesso di considerare alcuni dati oggettivi (quali la risalenza nel tempo dei precedenti penali del (OMISSIS), il ruolo del tutto marginale ricoperto dallo stesso nel presunto sodalizio criminoso) che se correttamente valutati avrebbero certamente consentito la disapplicazione della recidiva contestata”.
3.3. (OMISSIS) lamenta la violazione di plurime norme di legge sostanziale e procedurale derivante dal fatto che – riconosciuta la continuazione tra i reati oggetto del presente giudizio e quelli giudicati con sentenza della Corte d’appello di Bari del 10/2/2006 – il giudice dell’impugnazione avrebbe dovuto escludere la recidiva, stante l’incompatibilita’ logica tra i due istituti ed avrebbe dovuto applicare le attenuanti generiche – gia’ concesse dal primo giudice – con giudizio di prevalenza.
3.4. (OMISSIS) lamenta che la Corte d’appello non abbia dato sfogo alla sua richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti, nonostante la Corte Costituzionale avesse, nel frattempo, con sentenza del 23 luglio 2015, n. 185, “decompresso” il potere riconosciuto, sul punto, al giudicante, rendendo facoltativo l’aumento di pena per la recidiva reiterata.
3.5. (OMISSIS) lamenta che, nel rideterminare la pena per il reato continuato, non si sia tenuto conto del fatto che gli erano state riconosciute, con sentenza del 30/5/2014, attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti. Infatti, deduce, la pena base di anni dodici, mesi uno e giorni dieci di reclusione, inflitta con sentenza del 30/5/2014, e’ stata aumentata complessivamente di anni cinque, mesi dieci e giorni venti di reclusione per i reati di cui al presente giudizio, valutando le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che tutti gli imputati avevano rinunciato, in appello, ai motivi di gravame, con esclusione di quelli attinenti al riconoscimento delle attenuanti generiche, al riconoscimento del vincolo della continuazione con i reati di cui a sentenze irrevocabili specificamente indicate e alla rideterminazione della pena (pag. 5 della sentenza d’appello), nessuno dei ricorsi puo’ trovare accoglimento, per quanto verra’ argomentato nel prosieguo.
1. Entrambi i motivi di ricorso di (OMISSIS) sono inammissibili. Il primo e’ tale perche’ dalla rinuncia ai motivi d’appello non era stato escluso quello riguardante la circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, (ora reato autonomo, a seguito dell’entrata in vigore dei Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146 e Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 36, convertiti con modificazioni, rispettivamente, dalle L. 21 febbraio 2014, n. 10 e L. 16 maggio 2014, n. 79). Legittimamente, pertanto, il giudice d’appello si e’ disinteressato della circostanza suddetta. Ne’, d’altra parte, un obbligo di motivazione era derivato – al giudice d’appello – dall’insistenza sui motivi concernente la determinazione della pena, giacche’ la rinuncia ai motivi di appello, ad esclusione di quello riguardante la misura della pena, deve ritenersi comprensiva anche di quei motivi attraverso i quali l’appellante aveva richiesto il riconoscimento di circostanze attenuanti (Cass., n. 53340 del 24/11/2016; sez. 1, n. 19014 del 11/4/2012). Tanto, perche’ e’ da escludere che i motivi relativi alle attenuanti siano connessi, con vincolo di carattere essenziale, a quelli concernenti la determinazione della pena, cosi’ da poter essere comunque sottoposti alla cognizione del giudice del gravame nonostante l’intervenuta l’abdicazione, in quanto trattamento sanzionatorio e concorso di circostanze sono punti della decisione tra loro distinti ed autonomi.
1.1. Il secondo motivo e’ inammissibile perche’ esorbita dai confini del giudizio di cassazione e perche’ e’ manifestamente infondato. Invero, in tema di continuazione, l’accertamento del requisito della unicita’ del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento e’ sindacabile in sede di legittimita’ solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione (Cass., n. 49969 del 21/9/2012). Nella specie, la continuazione e’ stata esclusa – fondamentalmente – per la distanza temporale tra i fatti (quasi tre anni) e per il concorso nel reato di persone diverse (oltre all’ (OMISSIS)), del tutto marginale essendo il riferimento – contenuto in sentenza – al “diverso contesto territoriale”, nemmeno precisato nella sua consistenza, sicche’ e’ da escludere – per il giudicante – che i reati siano il frutto di una medesima risoluzione criminosa. La decisione costituisce puntuale applicazione dei principi sul reato continuato e fa corretta applicazione delle regole della logica, in quanto, effettivamente, l’ideazione di piu’ reati – seppur omogenei non puo’ essere presente, con sufficiente determinazione, alla mente dell’autore molto tempo prima del fatto, specie se alla loro realizzazione concorrono persone diverse (oltre al soggetto presente in tutti e della cui condotta si discute).
2. Anche i motivi di ricorso di (OMISSIS) sono inammissibili. La rinuncia ai motivi di appello concernenti la responsabilita’ esclude – contrariamente all’assunto del ricorrente – che la Corte d’appello dovesse motivare in punto di colpevolezza, stante l’effetto devolutivo dell’impugnazione (come rideterminato dalla rinuncia).
Anche la disapplicazione della recidiva non era consentita, per lo stesso motivo, alla Corte di merito, in quanto la rinuncia a tutti i motivi di appello – ad esclusione soltanto di quello riguardante le attenuanti e la misura della pena comprende anche i motivi concernenti la recidiva, che, pur confluendo nella determinazione della pena come ogni altra circostanza, costituisce capo autonomo della decisione (Cass., n. 11761 del 30/1/2014).
3. Il ricorso di (OMISSIS) e’ infondato. Nonostante un isolato precedente di questa Corte sia in linea con la tesi del ricorrente (Cass., n. 5761 dell’11/11/2010), e’ da escludere, secondo l’orientamento fatto proprio dalla prevalente giurisprudenza di legittimita’, che la recidiva sia incompatibile con la continuazione (Cass., SU, n. 9148 del 17/4/1996; conf.: sez. 2, n. 18317 del 22/4/2016; sez. 4, n. 49658 del 30/9/2014; sez. 5, n. 41881 del 2/7/2013). A tale orientamento il collegio senz’altro aderisce, dovendosi rilevare – in risposta alle censure difensive e all’avversa tesi giurisprudenziale – che nel mondo fenomenico esistono i singoli reati, col loro carico di disvalore. Nel disvalore dei reati e’ compresa anche la circostanza personale costituita dalla recidiva, perche’ per legge e per senso comune il reato commesso dal pregiudicato e’ piu’ grave di quello commesso dall’incensurato, essendo segno di una maggiore propensione al crimine. Puo’ capitare che, per finzione giuridica, i singoli reati vengano unificati in uno solo, ai fini del trattamento sanzionatorio, cosicche’ nella nuova entita’, considerata unitariamente, confluiscono i reati destinati a comporla. Detti reati entrano “nell’insieme” (nel reato continuato) col loro carico di disvalore, che e’ rapportato a tutte le circostanze della condotta, agli effetti che ne sono derivati, alle condizioni personali del reo, a quelle della vittima ed ai suoi rapporti con la vittima. Pertanto, il reato che viene unificato, per fictio iuris, ad altro reato gia’ giudicato, non perde le sue caratteristiche soggettive, che rimangono inalterate anche a seguito dell’unificazione, sicche’ tutte devono contribuire a determinare il complessivo trattamento sanzionatorio.
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