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Di peculiare rilievo è la metodologia indicata dalla Corte Costituzionale per procedere ad un adeguato bilanciamento degli interessi confliggenti. La tecnica prescelta non è stata quella di attribuire al giudice la valutazione in concreto del bilanciamento ma di predefinire un modulo procedimentale ritenuto idoneo allo scopo, fondato sulla verifica della volontà e della disponibilità a rimuovere il segreto sulla propria identità da parte della madre biologica in modo da rendere possibile, per la persona che è stata adottata a causa di questa scelta, di completare il quadro della propria genealogia ed identità personale.
11. L’attuabilità del modello sopra descritto, anche senza preventivo intervento legislativo, è stata riconosciuta, infine, nella recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 1946 del 2017. In questa pronuncia si è ritenuto che, rimossa dalla pronuncia della Corte Costituzionale la norma sull’assolutezza ed intangibilità dell’anonimato, potesse procedersi all’interpello materno all’interno di un procedimento garantito dalla massima riservatezza al fine di provocare la revoca dell’originario segreto.
12. Può, pertanto, ritenersi che la procedimentalizzazione del bilanciamento d’interessi sia la modalità, costituzionalmente e convenzionalmente adeguata, al fine di attuare, anche in ipotesi diverse da quella disciplinata dall’art. 28, comma 7, L. n. 184 del 1983, il corretto bilanciamento d’interessi tra l’adottato maggiore di età che vuole conoscere le proprie origini al fine di aggiungere una tessera di primario rilievo al mosaico della propria identità ed i componenti del nucleo familiare biologico-genetico, diversi dai genitori.
13. Deve, al riguardo precisarsi, che, come già illustrato, il diritto ad avere informazioni sui propri genitori biologici, per la persona adulta ultraventicinquenne, ha carattere potestativo, salva l’eccezione di cui al citato c.7 dell’art. 28 che ha dato luogo agli interventi delle Corti Supreme.
L’art. 28, c.5. stabilisce, infatti, che l’”adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici’. L’esame testuale della norma pone la questione, di natura interpretativa, relativa all’ampiezza delle informazioni cui può accedere l’adottato. La norma afferma che l’adottato, raggiunta l’età di 25 anni, può accedere ad informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Occorre, pertanto, stabilire se la formula legislativa possa essere qualificata come un’endiadi e, conseguentemente, esprimere un concetto unitario per il tramite di due termini coordinati ovvero se formula congiunta abbia una valenza pleonastica, o se contenga, invece, due ambiti d’informazioni non necessariamente coincidenti. La prima opzione interpretativa, induce a ritenere che il riferimento normativo all’origine dell’adottato sia soltanto una specificazione dell’ambito delle informazioni che esso ha il diritto di conoscere, da limitarsi all’identità dei genitori biologici, ritenendo,di conseguenza, che questa ultima informazione sia idonea a soddisfare l’esigenza conoscitiva relativa alle origini. Nella seconda, invece, si ritiene che con la formula normativa sopra illustrata il legislatore abbia inteso non limitare esclusivamente all’identità dei genitori biologici il diritto dell’adottato che abbia raggiunto i 25 anni di età (o nei limiti previsti dall’art. 28, c.5 l’infraventicinquenne) a conoscere le proprie origini ma estenderne il contenuto all’intero nucleo familiare originario, in particolare quando questa indagine sia necessaria per integrare il contenuto del diritto che si vuole esercitare. Il riferimento alle origini, congiunto con quello relativo all’identità dei genitori biologici, può implicare uno spettro più esteso d’informazioni, al fine di ricostruire in modo effettivo il quadro dell’identità personale.
Ove si acceda a quest’ultima opzione ermeneutica, occorre, tuttavia, verificare se la posizione giuridica dei componenti del nucleo familiare originario diversi dai genitori biologici, ed in particolare quella delle sorelle e dei fratelli, a fronte di una richiesta formulata dall’adottato ex art. 28 c.5, sia da considerare in modo diverso da quella dei genitori i quali, salva l’ipotesi di cui all’art. 28 c.7 come risultante dall’intervento della Corte Costituzionale e delle S.U. con le sentenze ampiamente richiamate n. 278 del 2013 e 1946 del 2017, non possono impedire l’esercizio del diritto a conoscere le proprie origini a chi ne sia titolare secondo le condizioni previste dal citato art. 28.
14. Ritiene il Collegio che un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della norma possa valorizzare il richiamo testuale al diritto di accedere alle informazioni sulla propria origine in modo da includervi oltre ai genitori biologici, in particolare nell’ipotesi in cui non sia possibile risalire ad essi, anche i più stretti congiunti come i fratelli e le sorelle ancorché non espressamente menzionati dalla norma. La natura del diritto e la funzione di primario rilievo nella costruzione dell’identità personale che viene riconosciuta alla scoperta della personale genealogia biologico-genetica, induce ad accogliere tale interpretazione estensiva.
15. Deve, tuttavia, rilevarsi che l’esercizio del diritto nei confronti dei genitori biologici e nei confronti degli altri componenti il nucleo familiare biologico-genetico originario dell’adottato, non può realizzarsi con modalità identiche.
Nei confronti dei genitori biologici, il legislatore ha svolto una valutazione generale ex ante sulla netta preminenza del diritto dell’adottato rispetto a quello dei genitori biologici tale da escludere alcun bilanciamento d’interessi da eseguirsi ex post. La scelta del legislatore in ordine ai genitori biologici consegue alla peculiare natura del loro ruolo nel complesso processo che conduce allo status filiationis dell’adottato.
La medesima soluzione non è, tuttavia, automaticamente applicabile anche al diritto di conoscere l’identità delle proprie sorelle e fratelli, in considerazione della radicale diversità della loro posizione rispetto a quella dei genitori biologici con riferimento sia alle ragioni della decisione riguardante lo status di figlio adottivo del richiedente sia all’incidenza di questa decisione sullo sviluppo della sua personalità. Può legittimamente determinarsi una contrapposizione tra il diritto del richiedente di conoscere le proprie origini, e quello delle sorelle e dei fratelli a non voler rivelare la propria parentela biologica ed a non voler mutare la costruzione della propria identità attraverso la conoscenza d’informazioni ritenute negativamente incidenti sul raggiunto equilibrio di vita.
Soltanto nei confronti dei genitori biologici, di conseguenza, il diritto del soggetto adottato adulto che voglia accedere alle informazioni sulle proprie origini si può configurare alla stregua di un diritto potestativo.
Nei confronti delle sorelle e dei fratelli deve, invece, ritenersi necessario procedere, in concreto, al bilanciamento degli interessi tra chi chiede di conoscere le proprie origini e chi, per appartenenza al medesimo nucleo biologico familiare, può soddisfare tale esigenza, ancorché riconosciuta come diritto fondamentale.
Per realizzare in questa peculiare ipotesi il corretto bilanciamento tra le due posizioni almeno astrattamente in conflitto si deve ricorrere alla medesima modalità procedimentale che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 278 del 2013, e le S.U. di questa Corte, con la sentenza n. 1946 del 2017, hanno individuato come lo strumento idoneo a non impedire l’esercizio del diritto a conoscere le proprie origini anche nei confronti di soggetti diversi dai genitori biologici i quali, a differenza di questi ultimi, possono non assentire alla richiesta ma devono essere interpellati al riguardo.
Le informazioni che si vogliono conoscere, in quanto legate ad una comune origine biologica, hanno natura ontologicamente riservata, trattandosi di dati personali sensibili e sono, di conseguenza, protette in via generale dalle ingerenze di terzi. D’altra parte, il diritto a conoscere la propria origine da parte dell’adottato adulto (infra o ultraventicinquenne, nel primo caso il diritto è condizionato in funzione dell’esclusivo interesse del richiedente, nel secondo manca di limitazioni) gode di un riconoscimento costituzionale, convenzionale e di diritto positivo (art. 28) non comprimibile (con esclusione dei genitori biologici) se non mediante il dissenso espresso del possessore delle informazioni richieste.
Pur non sussistendo per le sorelle ed i fratelli un divieto espresso a far conoscere la propria identità, come quello che vige (con il forte temperamento individuato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità sopra illustrata) per la madre biologica che ha scelto l’anonimato al momento del parto, deve riconoscersi anche ai predetti componenti del nucleo familiare originario il diritto di essere interpellati in ordine all’accesso alle informazioni sulla propria identità, trovandosi a confronto posizioni giuridiche soggettive di pari rango e di contenuto omogeneo sulle quali non vi è stata alcuna predeterminazione legislativa della graduazione gerarchica dei diritti e degli interessi da comporre, come invece previsto nei commi 5 e 6 dell’art. 28, con riferimento all’adottato maggiorenne che voglia conoscere l’identità dei propri genitori biologici.
Le modalità procedimentali in concreto adottabili possono essere tratte dai numerosi protocolli elaborati dai Tribunali per i minorenni dei diversi distretti giudiziari dei quali si trova ampia illustrazione nel par. 11 delle S.U. n. 1946 del 2017.
Deve aggiungersi che, nel caso di specie, la situazione personale di partenza del ricorrente e delle sorelle è del tutto identica, essendo specificato nel ricorso che anche queste ultime sono state adottate ma da coppie diverse, con conseguente allontanamento e perdita di ogni contatto ed informazione reciproca dall’avvenuta adozione.
Il diritto a conoscere le proprie origini, alle condizioni sopra indicate, è limitato all’accesso, riservato, alle informazioni relative all’identità delle sorelle biologiche, con esclusione di alcun vincolo di parentela o relazionale e con obbligo di trattamento dei dati personali conosciuti non lesivo dei diritti altrui.
16. In conclusione, il ricorso deve essere accolto nei limiti di cui in motivazione e la pronuncia impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice del merito perché si attenga al seguente principio di diritto: ‘L’adottato ha diritto, nei casi di cui all’art. 28,c.5., I. n. 184 del 1983, di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti, non solo l’identità dei propri genitori biologici, ma anche quella delle sorelle e fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto’.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione
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