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1.- I motivi di ricorso, articolati da (OMISSIS), denunziano i vizi qui di seguito richiamati.
Il primo motivo in via segnata lamenta “violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 29 c.c., L. Fall., articolo 18, articolo 2909 c.c., e articolo 24 Cost.”.
Il secondo motivo assume a sua volta “violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 112 e 115 c.p.c., del principio del ne bis in idem, dell’articolo 19 c.c., in combinato disposto con l’articolo 75 c.p.c., comma 3, del principio del legittimo affidamento del terzo in buona fede, nonche’ dell’articolo 2697 c.c., e articolo 2724 c.c., n. 1”.
2.- Il primo motivo concerne un credito, che (OMISSIS) pretende per lo svolgimento di attivita’ giudiziale avanti al Tribunale Amministrativo Regionale nell’interesse di (OMISSIS), come specificamente intesa a ottenere l’annullamento il decreto di “estinzione” dell’ente disposto dal Prefetto della Provincia di Roma il 30 aprile 2009.
Il Tribunale romano – constatato che l’incarico a difendere l’Ente e’ stato conferito dal legale rappresentante dello stesso (e poi “ratificato” dal Consiglio di amministrazione) in epoca successiva all’emanazione del decreto prefettizio declaratorio dell’estinzione ha rilevato che detto mandato urta contro il divieto di “nuove operazioni” stabilito dall’articolo 29 c.c., per il genere delle persone giuridiche.
Assunta una simile prospettiva, il Tribunale ha poi rilevato che “l’atto compiuto in violazione del divieto inserito nell’articolo 29 c.c., e’ inesistente per l’ente e non ratificabile”; e ha altresi’ aggiunto che “con l’estinzione di (OMISSIS) furono nominati i liquidatori” e che “nessun mandato fu conferito all’avv. (OMISSIS) da parte dei liquidatori”.
Tutto questo per concludere che bene hanno fatto i commissari liquidatori a negare tutela al credito dell’avv. (OMISSIS) in ragione “della nullita’ e/o inesistenza dell’originario mandato”.
3.- Di fronte alla motivazione svolta in tali termini dal Tribunale, il motivo di ricorso assume che il “Tribunale ha fondato la propria decisione su un’erronea interpretazione dell’articolo 29 c.c., ritenendo in sostanza che una persona giuridica, nel caso sia dichiarata estinta mediante un provvedimento amministrativo, nonostante sia direttamente pregiudicata da tale atto, non possa adire l’Autorita’ giudiziaria per tutelare il suo diritto a esistere”. “Una simile soluzione” – si prosegue – “non appare evidentemente accettabile, in quanto comporta palese violazione del diritto di difesa dell’IMAIE, cosi’ come garantito dall’articolo 24 Cost.”.
L’articolo 29 c.c., si riferisce – cosi’ si conclude – “all’impossibilita’ per gli amministratori… di compiere non ogni atto, bensi’ solo nuove “operazioni”, intendendosi… operazioni di carattere economico gestorio e non certo il conferimento di mandato alle liti a un legale per impugnare il provvedimento con cui si e’ illegittimamente dichiarata l’estinzione dell’ente in danno di tutti gli associati, collettivamente intesi”.
4.- Il motivo e’ da ritenere fondato, nei termini che si vengono a esporre.
Non v’e’ dubbio – va rilevato, prima di tutto – che la ratio decidendi della decisione assunta dal Tribunale romano riposi propriamente su una data interpretazione della norma dell’articolo 29 c.c.. Tale interpretazione – va, peraltro, pure subito aggiunto – non puo’ ritenersi corretta.
La funzione del divieto, di cui alla norma, si pone in coerenza con una definitiva destinazione dell’ente alla sua liquidazione; si’ che nell’arco dello stesso non rientrano – secondo quanto comunemente si ritiene, del resto – le attivita’ svolte alla mera gestione e conservazione del relativo patrimonio. A maggior ragione, allora, non puo’ ricadere nell’ambito del divieto l’attivita’ che metta in discussione – sotto il profilo giuridico, naturalmente – la sussistenza dei presupposti che possano legittimare la stessa “soppressione” della persona giuridica. Secondo quanto e’ propriamente accaduto, in effetti, nel caso concretamente in esame.
Per il rilievo che gli amministratori hanno il “potere-dovere di compiere”, dopo l’avvenuto scioglimento dell’ente, “gli atti negoziali… necessari al fine di preservare l’integrita’ patrimoniale” dell’ente si veda, con riferimento alla vicina fattispecie dello scioglimento delle societa’ commerciali, Cass., 5 febbraio 2015, n. 2156. Per la constatazione, poi, che “non rientra nel divieto di nuove operazioni” il conferimento di “un mandato alle liti per la proposizione di un’azione giudiziale volta a incrementare o ripristinare la consistenza patrimoniale dell’ente”, v., sempre con diretto riguardo al fenomeno societario, la pronuncia di Cass., 15 marzo 2012, n. 4143.
5.- Riscontrato che la fattispecie concreta non rientra nell’ambito applicativo del divieto dei cui alla norma dell’articolo 29 c.c., sembra cadere pure l’ulteriore rilievo – svolto dal Tribunale in via per cosi’ dire accessoria (se non contraddittoria, non potendo ipotizzarsi che il divieto di nuove operazioni non valga pure per i liquidatori) -, per cui, comportando la dichiarata estinzione dell’ente la nomina di liquidatori, l’incarico difensivo avrebbe dovuto provenire (semmai) da questi ultimi.
Che’, in effetti, se i liquidatori hanno la funzione di svolgere e portare a compimento la liquidazione dell’ente, agli stessi non compete proprio quella di proteggere la permanenza (e la vitalita’, in prospettiva) dell’ente. Tanto meno se l’azione giudiziale, a cui fa riferimento l’incarico giudiziale, e’ direttamente intesa a far dichiarare l’inesistenza e/o l’invalidita’ del provvedimento prefettizio di (estinzione dell’ente e di correlata) nomina dei liquidatori.
6.- Il secondo motivo di ricorso riguarda l’attivita’ professionale svolta da (OMISSIS) nell’interesse di (OMISSIS) nella successiva fase giudiziale tenutasi avanti al Consiglio di Stato, dopo che il TAR ha accolto l’istanza cautelare di sospensione del provvedimento prefettizio di “estinzione” dell’ente.
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