Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 2 novembre 2017, n. 26061. Sono inefficaci le rimesse alla banca effettuate dalla società poi fallita l’anno prima dell’ammissione all’amministrazione controllata

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Premesso che, in tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo, la cui prova e’ posta a carico del curatore, dev’essere effettiva e non meramente potenziale, a tal fine occorrendo la dimostrazione di concreti collegamenti tra il terzo ed i sintomi conoscibili dello stato d’insolvenza, la Corte ha ritenuto insufficienti gli elementi presi in considerazione dal Tribunale. Ha rilevato infatti che il bilancio di chiusura dell’anno 1992, che evidenziava una grave crisi finanziaria in atto, era accompagnato da una relazione in cui, pur segnalandosi la necessita’ di ulteriore fabbisogno finanziario a fronte di una situazione di pesante indebitamento, si prevedeva un incremento degli ordini e del fatturato. Ha aggiunto che l’avvenuta emissione di un decreto ingiuntivo in favore della (OMISSIS) era conoscibile soltanto attraverso ispezioni ipotecarie, non risultanti da una consultazione della Centrale dei Rischi compiuta poco tempo dopo, osservando inoltre che anche una lettera prodotta in giudizio, con cui una consociata della societa’ fallita aveva chiesto una dilazione nella restituzione di un prestito concesso anche all'(OMISSIS), poteva essere interpretata in senso piu’ favorevole alla debitrice: ha infatti rilevato che tale richiesta, oltre ad essere stata accolta dai creditori, era stata giustificata con la prospettazione di una condizione di difficolta’ meramente transeunte e comunque garantita dall’esistenza di crediti nei confronti di terzi. Ha affermato infine che le riunioni interbancarie convocate per la predisposizione di un piano di risanamento della societa’ fallita e della sua consociata si erano svolte nel periodo compreso tra l’effettuazione delle due rimesse impugnate, mentre non vi era alcuna prova della data del predetto piano e dell’esito della riunione, ne’ delle ricadute del piano ai fini della conoscenza dello stato d’insolvenza in riferimento alla data di effettuazione delle rimesse.
3. Avverso la predetta sentenza il curatore ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. La Banca ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., articolo 67, comma 2, degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., e dell’articolo 115 c.p.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver negato valore indiziario ad elementi sintomatici della conoscenza dello stato d’insolvenza. Richiama in particolare le risultanze del bilancio della societa’ fallita, la cui conoscenza non e’ mai stata contestata dalla Banca, osservando che lo stato patrimoniale evidenziava un pesante indebitamento a breve termine nei confronti sia delle banche che dei fornitori, a fronte di crescenti difficolta’ nella vendita dei prodotti, ed aggiungendo che la stessa relazione sulla gestione segnalava la necessita’ di ulteriore fabbisogno finanziario, per effetto delle dilazioni di pagamento concesse alla clientela e dello incremento degli oneri finanziari derivanti dal ricorso al credito. Premesso che ai fini della scientia decoctionis non assumono rilievo le aspettative di ripresa del debitore, ma la sua incapacita’ di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, sostiene che la sentenza impugnata ha confuso l’atteggiamento psicologico del creditore con quello del debitore, rilevando inoltre che, nel dare per scontata la concessione della dilazione di pagamento richiesta alle banche, la Corte di merito non ha tenuto conto di una lettera prodotta in giudizio, da cui emergeva che la predetta dilazione era subordinata al consenso di tutte le banche creditrici, e dell’intervenuto addebito della somma dovuta, a seguito del mancato rimborso. La sentenza impugnata ha infine omesso di considerare che la prosecuzione del rapporto con la debitrice poteva essere stata determinata anche dall’intento di ottenere pagamenti parziali o maggiori garanzie, nonche’ di rilevare che nel periodo in cui avevano avuto luogo le rimesse il conto corrente aveva fatto registrare solo versamenti volti a diminuire l’esposizione.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente ribadisce la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., articolo 67, comma 2, e degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., nonche’ l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver escluso la rilevanza delle riunioni interbancarie, senza considerare che la convocazione delle stesse, oltre a presupporre normalmente lo stato di crisi del debitore, era significativa di uno stato di allarme del sistema bancario. Nel negare la valenza indiziaria delle risultanze della Centrale dei Rischi e di un decreto ingiuntivo emesso in favore della (OMISSIS), la Corte di merito non ha considerato che attraverso la stessa la Banca era in grado, fin da epoca anteriore alla effettuazione delle rimesse impugnate, di acquisire dati in ordine all’esposizione dei propri clienti verso il sistema bancario, ed ha omesso di rilevare che alcune banche avevano gia’ revocato i fidi concessi alla societa’ fallita. La sentenza impugnata ha infine omesso di spiegare perche’ i predetti elementi, valutati complessivamente, non potevano considerarsi idonei a far presumere la conoscenza dello stato d’insolvenza.
3. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, concernente l’accertamento della scientia decoctionis, sono fondati.
In tema di prova per presunzioni, questa Corte ha ripetutamente affermato che il procedimento che occorre necessariamente seguire ai fini della valutazione degl’indizi si articola in un duplice apprezzamento, costituito in primo luogo dalla valutazione analitica di ciascuno degli elementi indiziari, ai fini dell’eliminazione di quelli intrinsecamente privi di rilevanza e della conservazione di quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravita’, ossia presentino una positivita’ parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, occorre invece procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, al fine di accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi. Alla stregua di tale principio, e’ stata ritenuta viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimita’ la decisione di merito in cui il giudice si fosse limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se gli stessi, quand’anche sforniti singolarmente di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (cfr. Cass., Sez. 6, 2/03/2017, n. 5374; Cass., Sez. 5, 6/06/2012, n. 9108; Cass., Sez. 1, 13/10/2005, n. 19894).

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