Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 8 marzo 2018, n. 5513. Esclusa la possibilità di estendere (con un’interpretazione conforme alla direttiva 98/59/Ce) ai dirigenti, in caso di licenziamento, la legge 223 del 91 nel testo precedente la modifica apportata con la legge 161/2014

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[…]

4.3. Tanto premesso, come gia’ osservato dal giudice di legittimita’ (v. tra le altre, Cass. 17004/2006 cit. Cass. 3914/2002 cit.), la verifica dell’efficacia (verticale o orizzontale) della direttiva e, quindi, della connessa possibilita’ di disapplicazione della norma interna, impone all’interprete di non arrestarsi al dato formale dell’essere la controversia instaurata tra soggetti privati, ma di prendere in considerazione la reale portata dei contrapposti interessi e la relativa norma regolatrice al fine di stabilire se la disposizione contraria alla direttiva sia destinata alla esclusiva tutela di situazioni meramente private o se coinvolga anche la realizzazione di interessi dei quali sia titolare la Pubblica Amministrazione in quanto ente esponenziale di interessi collettivi.

4.4. In questa prospettiva, ad es. in controversia tra un soggetto privato e l’ente Enasarco, sul rilievo che, pur essendo il rapporto tra agente e preponente innegabilmente di tipo “orizzontale”, doveva tuttavia riconoscersi che la norma imperativa invocata per sostenere la nullita’ del contratto (L. 3 maggio 1985, n. 204, articolo 9) non e’ posta nell’interesse dei privati, ma nell’interesse della Pubblica Amministrazione, riguardando il rapporto tra lo Stato da un lato e gli agenti ed i preponenti dall’altro, e’ stata disapplicata, per contrasto con la direttiva 86/653/CEE, la norma interna che subordinava la validita’ del contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio in apposito albo (Cass. 3914/2002 cit.).

4.5. Con riferimento alla L. n. 223 del 1991, la questione della disapplicazione della norma interna (che, in contrasto con la norma comunitaria, limitava – prima della modifica introdotta Decreto Legislativo 8 aprile 2004, n. 110 – la disciplina suddetta ai soli datori di lavoro imprenditori) e’ stata, come evidenziato anche dalla sentenza impugnata, specificamente affrontata da Cass. 17004/2006 cit. e risolta in senso negativo proprio argomentando dal fatto che “la norma risultante dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, articolo 4, L. 23 luglio 1991, n. 223, articolo 5 e L. 23 luglio 1991, n. 223, articolo 24, in base alla quale le disposizioni in materia di licenziamenti collettivi riguardano esclusivamente il datore di lavoro imprenditore, benche’ di grande rilievo economico e sociale, non regola pero’ rapporti concernenti la pubblica amministrazione quale ente esponenziale di interessi collettivi e non puo’ quindi esser disapplicata, sotto tale profilo”.

4.6. A tale indicazione si ritiene di dare continuita’. E’ infatti innegabile che la disciplina dettata in tema di licenziamenti collettivi e’ destinata a regolare interessi che attengono esclusivamente a situazioni soggettive private (in quanto facenti capo al datore di lavoro da un lato e al lavoratore dall’altro in relazione alla vicenda, anch’essa esclusivamente privatistica, della cessazione del rapporto di lavoro); ne’ tale caratteristica viene meno per il fatto che, in considerazione dell’impatto economico e sociale normalmente connesso all’adozione di una procedura di licenziamento collettivo e’ previsto il coinvolgimento nella medesima delle organizzazioni sindacali – anch’esse soggetti privati.

4.7. A differente conclusione non e’ dato pervenire sulla base della valorizzazione degli articoli 2 e 3 della Direttiva 98/59/CE auspicata dalla parte ricorrente sul rilievo degli obblighi di comunicazione all’autorita’ pubblica prefigurati da dette previsioni a carico della parte datoriale. Cio’ per un duplice ordine di considerazione: la riferibilita’ ad interessi esclusivamente privati, al fine della verifica della possibilita’ o meno di disapplicazione della norma comunitaria, deve avere ad oggetto necessariamente e logicamente la norma interna da disapplicare e non la direttiva (v., sul punto, in particolare, Cass. 3914/2002 cit.); in ogni caso, le richiamate previsioni della Direttiva comunitaria non sono sufficienti a configurare, sulla base di un mero obbligo di comunicazione all’autorita’ pubblica del progetto di licenziamento, la esistenza di uno specifico, diretto, interesse collettivo della Pubblica Amministrazione distinto da quello degli altri soggetti privati coinvolti nella procedura di licenziamento collettivo.

4.8. Il rilievo dirimente delle considerazioni che precedono rende non pertinente il richiamo ai precedenti di questa Corte formulato da parte ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’articolo 378 cod. proc. civ.; invero l’affermazione dell’efficacia vincolante dell’interpretazione di una norma di diritto comunitario in relazione ai rapporti non ancora esauriti (v. in particolare Cass. 08/02/2016 n. 2468) attiene al tema del vincolo scaturente dall’interpretazione della norma comunitaria da parte della Corte di Giustizia, quale fonte di diritto oggettivo, che e’ questione diversa da quella affrontata nel presente giudizio nel quale non viene in considerazione alcuna interpretazione della norma comunitaria confliggente con quella fatta propria dalla Corte di Giustizia ma solo la verifica della possibilita’ di disapplicazione della norma interna. In altri termini, il vincolo in ordine al significato normativo della disposizione comunitaria risultante dalla interpretazione della Corte di Giustizia, non rende tale disposizione direttamente applicabile in assenza delle prescritte condizioni sopra rappresentate.

5. A tanto consegue il rigetto del ricorso e la condanna alle spese della parte ricorrente, secondo soccombenza.

6. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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