Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 4 gennaio 2018, n. 99. Il giudice di pace non può avere dal ministero della Giustizia i danni per la malattia contratta nell’ambiente di lavoro

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15. I principi innanzi richiamati sono stati ribaditi nelle decisioni di questa Corte n. 17862/2016, n. 22569/2015, n. 9155/2005, che hanno escluso l’inquadrabilita’ della figura giuridica del giudice di pace in quella della parasubordinazione, delineata dall’articolo 409 c.p.c., n. 3).
16. Gli approdi delle decisioni innanzi richiamate risultano ribaditi nella recente sentenza n. 13721 del 2017 delle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno richiamato tra le altre, la sentenza della sezione lavoro di questa Corte n. 17862 del 2016 che ha osservato che la categoria dei funzionari onorari, della quale fa parte il giudice di pace (L. 21 novembre 1991, n. 374, articolo 1, comma 2) ricorre quando esiste un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l’impiego pubblico.
17. Le Sezioni Unite, inoltre, hanno precisato che l’articolo 54 Cost., costituendo l’unica fonte della disciplina costituzionale dell’attribuzione di funzioni pubbliche al cittadino al di fuori del rapporto di pubblico impiego, esclude qualsiasi connotato di sinallagmaticita’ tra esercizio delle funzioni e trattamento economico per tale esercizio, che e’, invece, proprio di quel rapporto; mentre il termine “affidamento”, lungi dal configurarsi come un richiamo a quel connotato, vale, invece, a generalizzare il contenuto della norma, al fine di ricomprendere tutti i casi in cui sia affidata al cittadino, in qualunque modo, – una funzione pubblica, imponendogli che essa sia assolta con disciplina ed onore.
18. Ed hanno affermato anche che l’esclusione di qualsiasi connotato di sinallagmaticita’ tra esercizio delle funzioni di giudice di pace e trattamento economico per tale esercizio e la consequenziale natura indennitaria dell’erogazione erariale per l’esercizio di una funzione pubblica portano il rapporto col Ministero della giustizia al di fuori dal rapporto di lavoro e, dunque, al di fuori del perimetro assistenziale e previdenziale approntato dall’articolo 38 Cost..
19. Hanno evidenziato che di cio’ v’e’ indiretto riscontro nel contenuto della L. 28 aprile 2016, n. 57 (Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace), che all’articolo 2, comma 13, lettera f), indica come principio direttivo, per il futuro, quello di “individuare e regolare un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell’incarico, senza oneri per la finanza pubblica, prevedendo l’acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull’indennita’”, secondo la tecnica non inconsueta della traslazione degli oneri previdenziali a carico del beneficiario (cfr. ad es. legge finanziaria 2006, articolo 1, comma 208).
20. I principi innanzi richiamati, ai quali il Collegio ritiene di dare continuita’, escludono che nella fattispecie in esame possa trovare applicazione l’articolo 2087 c.c., diversamente da quanto opina il ricorrente perche’ detta disposizione trova applicazione soltanto nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinato (Cass. 24538/2015, 27368/2014, 17896/2013, 7128/2013, 8522/2004, 9614/2001).
21. Il secondo motivo e’ inammissibile.
22. Va osservato che la Corte territoriale ha rilevato che l’allegazione e l’impostazione dei fatti posta a base della domanda risarcitoria ponevano in evidenza la rappresentazione di una chiara responsabilita’ contrattuale, e che il riferimento all’articolo 2043 c.c., contenuto solo nell’atto di appello, era stato effettuato al solo fine di invocare la lettura estensiva dell’articolo 2087 c.c., possibile, nella prospettiva, difensiva dell’appellante avuto riguardo ai principi di cui all’articolo 32 Cost., ed agli articoli 1175 e 1375 c.c.. La Corte territoriale ha, in conclusione, posto in evidenza come dalla rappresentazione dei fatti e delle difese emergesse esclusivamente l’inadempimento dell’obbligo contrattuale di diligenza da parte del Ministero con riguardo ai doveri imposti dall’articolo 2087 c.c..
23. Ebbene, il ricorrente, a fronte di questa affermazione, in violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, e articolo 369 c.p.c., n. 4, ha riprodotto nel ricorso in termini eccessivamente sintetici il contenuto del ricorso di primo grado e dell’atto di appello, riportandone un passaggio (cfr. punto 8 di questa sentenza) non idoneo da se’ solo a far comprendere compiutamente le ragioni in fatto ed in diritto poste a fondamento della domanda risarcitoria azionata nei confronti del Ministero della Giustizia e a ricostruire l’intero “devolutum” nel giudizio di appello. Di questi atti processuali, non allegati al ricorso, non e’ specificata la sede di produzione processuale, non potendo ritenersi sufficiente il richiamo contenuto nell’indice del ricorso al “fascicolo di parte di secondo grado (r.g. 277/2010) contenente tutti gli atti e documenti ivi prodotti nonche’ il fascicolo di primo grado (r.g. 1454/2009), contenente tutti gli atti e documenti ivi prodotti”. Risulta, dunque precluso, al Collegio l’esame delle censure formulate nei confronti della sentenza impugnata (Cass. SSUU 5698/2012, 22726/2011; Cass. 9888/2016, 15229/2015, 988/2015, 19157/2012, 15477/2012, 2281/2010).

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