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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
sentenza 30 settembre 2014, n. 20589
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –
Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11545-2013 proposto da:
G.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. ZANARDELLI 36, presso lo studio dell’avvocato ROMEO GIUSEPPE GIULIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FIRRIOLO FRANCESCO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
CARIME S.P.A. o BANCA CARIME S.P.A.;
– intimata –
Nonchè da:
CARIME S.P.A. o BANCA CARIME S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV 99 INT 14, presso lo studio dell’avvocato FERZI CARLO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati POZZOLI CESARE, CHIELLO ANGELO, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
G.F. C.F. (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 348/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 15/03/2013 R.G.N. 629/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/05/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito l’Avvocato COSSU BRUNO per delega FIRRIOLO FRANCESCO;
udito l’Avvocato FERZI CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo che ha concluso per: in via principale inammissibilità del ricorso principale, in subordine rigetto;
rigetto dell’incidentale.
Svolgimento del processo
1- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 15 marzo 2013), in parziale accoglimento dell’appello proposto da G. F. avverso la sentenza del Tribunale di Palmi n. 1138/2005 del 30 maggio 2005, condanna la BANCA CARME s.p.a. alla corresponsione, in favore dell’appellante, della somma di Euro 9.738, 36 oltre accessori di legge dal novembre 2011 fino a soddisfo.
La Corte d’appello di Reggio Calabria, per quel che qui interessa, precisa che:
a) dalla storia professionale di G. alla dipendenze della CARIME si desume che, fin dall’inizio del rapporto, si è manifestata quella che ne è stata una caratteristica costante, rappresentata dalla dicotomia tra lavoro bancario e attività di insegnamento, quest’ultima ritenuta dall’interessato più consona al proprio patrimonio culturale e per il cui esercizio il G. ha reiteratamente chiesto – e, in genere, ottenuto – di poter godere di periodi di aspettativa di molti mesi, per tutta la lunga durata del rapporto di lavoro con la Banca;
b) a seguito dell’ultima richiesta del genere il ricorrente – dopo varie proroghe richieste ( e ottenute) per potere completare il periodo di prova in seguito alla vincita di un concorso per la stabile immissione nei ruoli dell’Amministrazione scolastica – avrebbe dovuto riprendere servizio il 27 aprile 1998;
c) il 15 aprile 1998 il ricorrente, con una missiva, rinnovava l’invito alla datrice di lavoro già precedentemente fatto, di offrirgli un inquadramento più adeguato alle sue comprensibili aspettative ovvero di valutare anche l’opportunità di una collaborazione libero – professionale, configurando il mancato accoglimento delle sue proposte come un “incoraggiamento a non rientrare” in servizio;
d) il 10 agosto 1998, la Banca, preso atto del mancato rientro in servizio del G. nonostante l’avvenuta scadenza dell’ultima proroga (verificatasi il 27 aprile 1998) e rilevata l’assenza di giustificazioni da parte dell’interessato, lo ha considerato dimissionario;
e) ne deriva che la qualificazione della condotta del lavoratore come “dimissioni” è derivata dall’insieme dei suoi precedenti comportamenti sintomatici della disaffezione per il rapporto con la Banca e specialmente dalle dichiarazioni rese in prossimità della scadenza dell’ultimo periodo di aspettativa, nella quali il lavoratore ribadiva di non voler rientrare in servizio con l’inquadramento posseduto, che riteneva incongruo rispetto al suo diploma di laurea in lettere;
f) l’insieme di tutti gli indicati elementi rende evidente che la qualificazione della condotta del lavoratore come dimissionaria è derivata – diversamente da quel che sostiene il G. – non dalla sola mancata ripresa del servizio in applicazione dell’art. 92 del CCNL per i dipendenti delle aziende di credito del 1994, ma dall’inequivoco comportamento dell’interessato, sicchè risulta superflua la valutazione della nullità di tale clausola contrattuale, richiesta dal lavoratore;
g) in base alle conclusioni della disposta CTU, che appaiono condivisibili e ben argomentate, si deve ritenere che sia le condizioni di lavoro comportanti l’esposizione al fumo passivo sia gli episodi di rapina verificatisi nella Banca abbiano avuto un ruolo concausale per l’extrasistolia stabilizzata e la sindrome ansioso- depressiva cronicizzata diagnosticata il 26 marzo 1992, con postumi valutati nella misura dell’8%, senza che possa rilevare in contrario una predisposizione del lavoratore per tali patologie, visto che il perito ha sottolineato l’incidenza causale di entrambi i suddetti fattori di rischio sulle anzidette patologie.
2.- Il ricorso di G.F., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, la BANCA CARIME s.p.a., che propone, a sua volta, ricorso incidentale per quattro motivi.
Motivi della decisione
Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti perchè proposti avverso la medesima sentenza.
2 – Sintesi dei motivi del ricorso principale.
1.- Il ricorso principale è articolato in due motivi.
1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 2118 cod. civ. e dell’art. 92 del CCNL per i dipendenti delle aziende di credito del 1994.
Si sostiene che il ragionamento in base al quale la Corte d’appello ha ritenuto che il G. abbia manifestato una implicita volontà dimissionaria sarebbe “illogico e minato di carenza o di contraddizione con i riscontri processuali”.
1.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione dell’art. 2118 cod. civ., in riferimento alla nullità dell’art. 92 del CCNL per i dipendenti delle aziende di credito del 1994.
Si sostiene che sarebbe configurabile una “carenza di motivazione” della sentenza impugnata, laddove è stata considerata superflua la valutazione della censura di nullità del suindicato art. 92.
2 – Sintesi dei motivi del ricorso incidentale.
2.- Il ricorso incidentale è articolato in quattro motivi.
2.1.- Con il primo, il secondo e il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa i seguenti fatti decisivi per il giudizio che sono stati dibattuti fra le parti:
– con riferimento al fumo passivo, mancata considerazione delle perfettamente normali e corrette condizioni ambientali di lavoro, come rilevato dai testi escussi (primo motivo);
– mancata considerazione del fatto che il ricorrente, per la metà della durata del rapporto di lavoro in banca, è stato normalmente in servizio per poco tempo e prevalentemente con orario ridotto. Si sostiene che se la Corte d’appello avesse considerato tale situazione avrebbe dovuto escludere il nesso causale tra la extrasistolia del lavoratore e l’asserita esposizione al fumo passivo (secondo motivo):
– mancata compiuta considerazione del fatto che il lavoratore, nell’imminenza delle due rapine in oggetto subite dalla banca, non ha fatto ricorso ad alcuna cura medica (quarto motivo).
2.2.- Con il terzo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione “sotto altro profilo” dell’art. 2087 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa l’idoneità delle misure di sicurezza adottate dalla Banca a “garantire l’incolumità dei lavoratori il giorno della rapina, avendo impedito l’ingresso in Filiale di una persona armata”.
3 – Esame delle censure proposte con il ricorso principale.
3.- Il ricorso principale va dichiarato inammissibile, per plurime concorrenti ragioni.
4.- Dal punto di vista della formulazione va rilevato che le censure dedotte in parte del secondo motivo per “carenza di motivazione” sono inammissibili perchè, in base al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – applicabile, nella specie, ratione temporis (visto che la sentenza impugnata è stata depositata il 15 marzo 2013 e la novella si applica ai ricorsi avverso sentenze depositate dopo il giorno 11 settembre 2012) – ai sensi della suindicata disposizione si può denunciare l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e non più la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Come di recente precisato dalle Sezioni unite di questa Corte (vedi: sentenze 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054) nei giudizi per cassazione assoggettati ratione temporis alla nuova normativa, la formulazione di una censura riferita all’art. 360 cit., n. 5 che replica sostanzialmente il previgente testo di tale ultima disposizione – come accade nella specie – si palesa inammissibile alla luce del nuovo testo della richiamata disposizione, che ha certamente escluso la valutabilità della “insufficienza” o “carenza” della motivazione, limitando il controllo di legittimità all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, “omesso esame” che non costituisce nella specie oggetto di censura.
5.- Tutte le altre censure, proposte nel ricorso, sono inammissibili per quanti di seguito precisato.
5.1.- Come impostazione generale, il ricorso – nella sua lunghezza pari a più di cento pagine, ottenuta attraverso una sovrabbondante riproduzione degli atti processuali, mentre alla esposizione dei motivi di ricorso sono dedicate le ultime dodici pagine, che da sole sarebbero state del tutto proporzionate al tipo di censure proposte – risulta ictu oculi redatto senza il rispetto dei seguenti principi, affermati dalla giurisprudenza di questa Corte e condivisi dal Collegio:
a) il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, che precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675), in quanto è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. 29 agosto 2011, n. 17739; Cass. 30 marzo 2007, n. 7891; Cass. 5 aprile 2006, n. 7882; Cass. 18 marzo 2002, n. 3941; Cass. 7 novembre 2013, n. 25044);
b) d’altra parte, il rispetto del canone della chiarezza e della sinteticità espositiva rappresenta l’adempimento di un preciso dovere processuale il cui mancato rispetto, da parte del ricorrente per cassazione, lo espone al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione (Cass. 22 giugno 2006, n. 19100), principalmente in quanto esso collide con l’obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito, al duplice fine di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, comma 2, e in coerenza con l’art. 6 CEDU, nonchè di evitare di gravare sia lo Stato sia le parti di oneri processuali superflui (arg. ex Cass. 4 luglio 2012, n. 11199; Cass. 30 aprile 2014, n. 9488);
c) ne deriva che in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698);
d) in particolare, in materia di ricorso per cassazione, la pedissequa riproduzione di atti processuali e documenti, ove si assuma che la sentenza impugnata non ne abbia tenuto conto o li abbia mal interpretati, non soddisfa il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto costituisce onere del ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, al fine di evitare di delegare alla Corte un’attività, consistente nella lettura integrale degli atti assemblati finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza della parte ricorrente e, quindi, del suo difensore (Cass. 2 maggio 2013, n. 10244; Cass. 9 luglio 2013, n. 17002); Cass. 21 novembre 2013, n. 26277).
5.2.- A ciò può aggiungersi, per completezza, che tutte le censure – a prescindere dal formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nell’intestazione dei motivi – si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata ma non per errori di logica giuridica – che renderebbero la motivazione stessa incongrua o incoerente e quindi emendabile in sede di giudizio di cassazione – bensì per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti, con l’inammissibile intento di sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito.
Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).
Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice, sicchè la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).
Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico- argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione, sicchè la sentenza non merita alcuna emenda nei punti contestati dal ricorrente principale.
4 – Esame delle censure proposte con il ricorso incidentale.
6.- Anche il ricorso incidentale è inammissibile perchè anche con esso – a fronte della motivata valutazione di merito delle risultanze probatorie di causa contenuta nella sentenza impugnata – la ricorrente incidentale, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto in parte del terzo motivo, finisce in realtà per esprimere un mero dissenso valutativo, inammissibile in questa sede per le ragioni indicate sopra (vedi paragrafo 5.2).
4 – Conclusioni.
7.- In sintesi, entrambi i ricorsi vanno dichiarati inammissibili. La reciproca soccombenza giustifica la integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia del ricorrente principale sia del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 27 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre.