cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza  29 aprile 2015, n. 8680

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 19.11.11 la Corte d’appello di Roma, in totale riforma della pronuncia n. 15213/07 del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda con cui d.C.E. – quadro direttivo di 1 livello – aveva chiesto dichiararsi l’illegittimità del licenziamento intimatogli il 1.3.2004 da Intesa Sanpaolo S.p.A. nel quadro di una procedura di riduzione di personale ex lege n. 223/91 ed avente efficacia dal 31.3.04.
Per la cassazione della sentenza ricorre d.C.E. affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.
Intesa Sanpaolo S.p.A. è rimasta intimata.

Motivi della decisione

1- Con il primo motivo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 4 legge n. 223/91 per mancato controllo, da parte della Corte territoriale, della specificità, completezza, veridicità, esattezza ed effettività delle ragioni addotte nella comunicazione inviata da Intesa Sanpaolo S.p.A. ex art. 4 cit, comunicazione che si limitava a parlare di un’esigenza di riduzione di personale contenuta in un piano di riorganizzazione di impresa in realtà volto solo ad un generale svecchiamento degli organici, atteso che i licenziamenti collettivi erano stati seguiti da migliaia di assunzioni di giovani nuovi lavoratori.
Con il secondo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 4 co. 9 legge n. 223/91 per non contestualità fra il licenziamento (intimato il 1.3.04) e la comunicazione relativa alle modalità di applicazione dei criteri di scelta del personale da licenziare, inviata solo il 26.3.04.
Con il terzo motivo il ricorso si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’autonoma ragione di illegittimità del licenziamento consistente nella dedotta violazione dei criteri di scelta e nell’essere stato il ricorrente licenziato nonostante che fosse stato già superato il numero di esuberi programmati.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della nullità del licenziamento per discriminazione in ragione dell’età.
2- Il secondo motivo – da esaminarsi preliminarmente perché di per sé idoneo a determinare l’inefficacia del licenziamento per cui è causa- è fondato.
In forza di giurisprudenza ormai da tempo consolidata in tema di adempimento dell’onere di cui all’art. 4 co. 9 legge n. 223/91 (cfr., e pluribus, Cass. n. 7490/11; Cass. n. 7407/10; Cass. n. 16776/09; Cass. n. 1722/09; Cass. n. 15898/05), il requisito della contestualità fra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro dell’elenco dei dipendenti licenziati e delle modalità di applicazione dei criteri di scelta, contestualità richiesta a pena d’inefficacia del licenziamento, deve essere valutato – in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido, analitico e con termini molto ristretti – nel senso di una indispensabile contemporaneità delle due comunicazioni, la cui mancanza può non determinare l’inefficacia del recesso solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, della cui prova è onerato il datore di lavoro.
La sentenza impugnata si è discostata da tale insegnamento rilevando che nel caso di specie la lettera di licenziamento era sì stata inviata il 1.3.04, ma con individuazione dell’efficacia del recesso a partire dal 31.3.04, sicché rispetto a tale ultima data la comunicazione alle organizzazioni sindacali e agli uffici del lavoro, inviata solo il 26.3.04, si sarebbe dovuta considerare come sostanzialmente contestuale al licenziamento medesimo.
Ma a ciò va obiettato che l’avverbio “contestualmente” viene adoperato in relazione alla data di comunicazione del licenziamento, il che è cosa diversa dalla data della sua efficacia.
Ciò è confermato dalla ratio della disposizione in commento.
Infatti, essendo sufficiente che il licenziamento venga comunicato per iscritto senza necessità di ulteriore motivazione (nel regime vigente prima della legge n. 92/2012, che è quello che viene in rilievo nel caso in esame), solo attraverso le comunicazioni di cui all’art. 4 co. 9 cit. l’interessato può apprendere, seppur in via indiretta, le ragioni della sua messa in mobilità (cfr. Cass. n. 11258/2000; Cass. n. 5718/99).
Dunque, la comunicazione ex art. 4 co. 9 legge n. 223/91 risponde alla funzione di rendere visibile – e, quindi, controllabile dalle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche dai singoli lavoratori) – la correttezza del datore di lavoro in relazione alle modalità di applicazione dei criteri di scelta.
La concreta possibilità di tale controllo è l’indispensabile presupposto affinché il lavoratore possa motivatamente sollecitare il datore di lavoro a revocare il licenziamento (magari evidenziando la violazione dei criteri di scelta) e poi, se del caso, impugnare in sede giudiziaria il recesso.
In tale ottica è pur consentito che le comunicazioni precedano l’intimazione dei licenziamenti, così meglio assolvendosi quella funzione di garanzia e controllo di cui s’è detto, il che permette al datore di lavoro di attenuare la rigidità degli oneri posti a suo carico.
Non è – invece – possibile ritenere il contrario, a meno che tale contestualità sia stata resa impossibile per caso fortuito o forza maggiore da dimostrarsi ad iniziativa del datore di lavoro (il che non risulta essere avvenuto nella vicenda in oggetto).
Infatti, decorrendo il termine per impugnare il recesso, secondo il chiaro dettato normativo, in ogni caso dalla sua comunicazione per iscritto, la mancanza delle contestuali comunicazioni già attribuisce all’interessato il diritto di ottenere l’accertamento dell’inefficacia del licenziamento, di guisa che la tardiva comunicazione non può eliminare una situazione di vantaggio per lui già consolidatasi.
A ciò si aggiunga un’ulteriore considerazione: il licenziamento, in quanto negozio unilaterale recettizio, si perfeziona nel momento in cui la manifestazione di volontà del datore di lavoro giunge a conoscenza del dipendente, sicché il termine di decadenza previsto dall’art. 6 legge n. 604/66 decorre dalla comunicazione del licenziamento e non dal momento, eventualmente successivo, di cessazione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 6845/2014).
Pertanto, collegare la contestualità della comunicazione di cui all’art. 4 co. 9, secondo periodo, legge n. 223/91 non all’intimazione del licenziamento, ma alla data di sua efficacia – efficacia che può risultare posticipata anche di qualche mese -indurrebbe il lavoratore o a dover attendere la suddetta comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro per poter apprendere compiutamente le modalità di applicazione dei criteri di scelta del personale licenziato, con il rischio di consumare nel frattempo in tutto o in gran parte l’arco dei 60 giorni entro cui adempiere l’onere previsto dall’art. 6 legge n. 604/66, oppure procedere in via prudenziale sempre e comunque all’impugnativa extragiudiziale del licenziamento anche quando, all’esito della successiva verifica delle suddette modalità, esso si riveli senza dubbio alcuno legittimo.
In breve, una nozione elastica del requisito della contestualità contraddice la funzione di garanzia dei lavoratori licenziati attribuita alle comunicazioni da inviare alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro e si rileva incoerente con il disegno normativo contenuto nella legge n. 223/91.
La riscontrata violazione determina di per sé, ai sensi dell’art. 5 co. 3 legge n. 223/1991, l’inefficacia del licenziamento dell’odierno ricorrente.
Per l’effetto, rimangono assorbite le ulteriori doglianze formulate in ricorso.
3- In conclusione, deve accogliersi il secondo motivo, con conseguente assorbimento delle restanti censure.
Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione che, stante la sopra accertata inefficacia del licenziamento, dovrà pronunciarsi soltanto sulle relative conseguenze ex art. 18 legge n. 300/70.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

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