Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 22 marzo 2018, n. 7218.
Il provvedimento di rigetto dell’istanza di’ cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute nella sentenza impugnata ha carattere ordinatorio e non incide sul merito della causa, al quale e’ anzi estraneo e, pertanto, non e’ suscettibile d’impugnazione con ricorso per cassazione.
Non ricorrono i presupposti per il risarcimento del danno ex articolo 89 c.p.c., ove le espressioni contenute negli scritti difensivi non siano dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, cosi’ rivelando un intento offensivo nei confronti della controparte, ma, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilita’ delle sue affermazioni. Ne’ e’ precluso che, nell’esercizio del diritto di difesa, il giudizio sulla condotta reciproca possa investire anche il profilo della moralita’, fattore non del tutto estraneo per contestare la credibilita’ delle affermazioni dei contendenti.
Sentenza 22 marzo 2018, n. 7218
Data udienza 7 novembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente
Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere
Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere
Dott. LORITO Matilde – Consigliere
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5055-2013 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, (OMISSIS) in proprio, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1174/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 08/11/2012 R.G.N. 281/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2017 dal Consigliere Dott. DE GREGORIO FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS), premesso che era stato amministratore unico della S.p.a. (OMISSIS) – dal 29 novembre 2002 sino al momento delle sue dimissioni, rassegnate nel mese di luglio 2005, per cui in data 11 luglio 2005 era stato sostituito nell’incarico da (OMISSIS); che sino al mese di giugno 2005 le sue competenze erano state corrisposte dalla societa’ mediante bonifico bancario, mentre quanto dovutogli per il periodo successivo non gli era stato pagato, se non a seguito di scambio epistolare, mediante ritiro (in data 11-01-2007) di apposito assegno circolare presso la sede della societa’ (per cui si assumevano spese in ragione di 97,40Euro); tanto premesso, conveniva in giudizio davanti al giudice del lavoro di PRATO la S.p.a. (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS), chiedendo di accertare e dichiarare l’inadempimento della societa’ e per l’effetto la condanna di quest’ultima pagamento in suo favore della somma di Euro 51,55 a titolo di interessi legali, oltre ulteriori interessi sino a saldo, della somma di Euro 232,87 a titolo di danno emergente oltre interessi, della somma di Euro 20.000,00 ovvero quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche in tutto o in parte ex articolo 1226 c.c., a titolo di danno non patrimoniale arrecato all’onore e al decoro di esso ricorrente oltre interessi legali; previa ogni necessaria ed opportuna statuizione, anche in ordine all’esistenza del reato di cui all’articolo 594 c.p., di accertare e dichiarare che il comportamento tenuto da (OMISSIS), integrava il delitto di ingiuria e comunque illecito ai sensi degli effetti degli articoli 2043 nonche’ 2059 c.c., con la conseguente condanna di (OMISSIS) al risarcimento del danno patito dal ricorrente, nella componente extrapatrimoniale e morale, all’onore, al decoro, alla dignita’ e all’identita’ personale, nella misura di Euro 20.000,00 ovvero di quella, maggiore o minore, ritenuta di giustizia, anche in tutto o in parte articolo equitativamente ex articolo 1226 c.c., oltre interessi come per legge e con vittoria delle spese di lite.
Radicatosi il contraddittorio con la costituzione dei convenuti, i quali nel resistere alle pretese avversarie chiedevano, altresi’, la condanna dell’attore ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., nonche’ ex articolo 89 dello stesso codice, con la eliminazione inoltre delle frasi ingiuriose, e a favore del solo (OMISSIS) il risarcimento dei danni da costui sofferti.
Il (OMISSIS) replicava mediante comparsa, contenente altresi’ domanda riconvenzionale per la cancellazione della parola “calunniose”, contenuta nella memoria difensiva di controparte, instando inoltre per l’accertamento della natura offensiva delle espressioni usate negli scritti difensivi dei due convenuti, con conseguente condanna.
Con sentenza del 26 marzo 2010 il giudice adito condannava la societa’ convenuta al pagamento in favore dell’attore degli interessi legali maturati sulla somma di Euro 1453 nel periodo dal 30 agosto al 20 ottobre 2005, oltre interessi legali sugli interessi scaduti dalla domanda al saldo; rigettava la domanda proposta nei confronti di (OMISSIS), nonche’ le richieste di cancellazione, avanzate dalle parti e le domande di risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 89 del codice di procedura civile, nonche’ la domanda di risarcimento del danno proposta da (OMISSIS). Rigettata, altresi’, le domande di risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 96 c.p.c. e compensava, interamente, tra le parti le spese di lite.
(OMISSIS) impugnava la suddetta pronuncia e la Corte d’Appello di Firenze con sentenza n. 1174 data 30 ottobre 2012, notificata il 6 dicembre 2012, rigettava l’interposto gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese, osservando preliminarmente che la condanna della societa’ al pagamento degli interessi per il periodo 30 agosto/20 ottobre 2005 non risultava impugnata, con conseguente passaggio in giudicato; che il datore di lavoro poteva considerarsi liberato dal pagamento della retribuzione allorche’ eseguito presso la sede aziendale, regola che nella specie era senz’altro mutuabile, stante l’identita’ delle situazioni; che il pagamento eseguito tramite bonifico bancario nel corso del rapporto non derivava da un obbligo legale o contrattuale, ma era frutto soltanto di una prassi, difettando la prova di un accordo in proposito; che l’attore, una volta dimessosi, aveva omesso di comunicare il mutamento di indirizzo e che le ragioni del pagamento eseguito tramite assegno circolare, evidenziate dalla societa’, apparivano del tutto verosimili; che tali modalita’, siccome risultante per tabulas, erano state utilizzate per tutti i dipendenti, e non soltanto nei riguardi del (OMISSIS); che in base al contenuto della corrispondenza intercorsa tra le parti in epoca successiva alle dimissioni, non emergeva alcun atteggiamento oltraggioso o ingiurioso nei confronti dell’appellante, trattandosi di espressioni che si limitavano ad esplicitare le determinazioni aziendali e del tutto prive di potenzialita’ lesiva; che il riferimento ai dedotti inadempimenti del dr. (OMISSIS), nel corso del suo precedente mandato, sebbene non attinenti alla causa, era del tutto privo di ogni potenzialita’ lesiva dell’immagine e della personalita’ dell’appellante, essendo limitato ad enumerare una serie di contestazioni, la cui fondatezza non apparteneva a questo giudizio; che pertanto la richiesta di ulteriore risarcimento del danno, in ragione di Euro 150.000,00 con la domanda formulata per la prima volta in appello, doveva essere rigettata; che, infine, attesa la sostanziale pretestuosita’ dell’azione esperita dal dr. (OMISSIS), il quale aveva agito in giudizio per un ritardato pagamento sostanzialmente determinato da ragioni del tutto prive di ogni volonta’ di non adempiere, l’appellante andava condannato alle spese di secondo grado.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) con atto in data 4 febbraio 2013, affidato a tre motivi, cui hanno la S.p.A. (OMISSIS) e (OMISSIS) mediante controricorso in data 20/22 marzo 2013.
Non risultano depositate memorie ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente ha lamentato, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione dell’articolo 1182 c.c. e dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 – nonche’ difetto di motivazione; inoltre, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – mancata valutazione delle allegazioni relative alla concreta modalita’ di pagamento tenuta in precedenza.
Secondo il (OMISSIS), la convenzione di cui all’articolo 1182 c.c., doveva desumersi dalle reiterate modalita’ di pagamento mediante bonifico bancario, desumibile quindi da facta concludentia, o comunque dagli usi di cui allo stesso articolo 1182, visto anche che in proposito la stessa Corte d’Appello aveva fatto riferimento ad una “prassi”.
Con il secondo motivo di ricorso e’ stata denunciata, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione degli articoli 1175 e 1375 c.c., nonche’ dell’articolo 132, comma 2, n. 4 del codice di rito – difetto di motivazione, ed ancora, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, mancata valutazione delle allegazioni relative al concreto comportamento di parte resistente, tanto in relazione a quanto opinato dalla Corte territoriale circa la mancanza di atteggiamento oltraggioso o ingiurioso nei confronti dell’appellante, trattandosi di giudizio che non dava conto delle risultanze della valutazione, se non mediante apodittiche affermazioni senza alcun riscontro. L’appellante aveva evidenziato il fatto che l’invio di comunicazioni era stato eseguito dalla societa’ laddove la stessa sapeva che il ricorrente non vi era piu’ e nemmeno poteva essere trovato, mentre la Corte distrettuale non aveva motivato le ragioni per le quali tale comportamento non potesse considerarsi lesivo. Inoltre, il mutamento unilaterale delle condizioni di pagamento per costringere anche il ricorrente a sottostare alla volonta’ e alle pretese della societa’, costringendo il creditore a chiedere l’adempimento, ossia un suo diritto, che doveva avvenire spontaneamente da parte del debitore alla scadenza, lo poneva su un piano di inferiorita’. Anche di cio’ nulla era stato detto a confutazione per negare la lesivita’ di siffatto comportamento. Inoltre, la successiva proposta di procedere, in alternativa all’assegno circolare gia’ emesso, mediante bonifico, per poi una volta scelta tale soluzione, dichiararla impossibile (in quanto l’assegno era stato gia’ emesso e perche’ non erano note le coordinate bancarie per poter eseguire il bonifico) evidenziavano la volonta’ di procrastinare il pagamento. L’inesistente motivazione anche su questo punto impediva di poter censurare l’iter logico giuridico seguito dalla corte distrettuale. Dall’esame del carteggio e del comportamento tenuto dalla societa’ si evidenziava come la stessa avesse inteso procrastinare per quanto possibile il pagamento del dovuto, senza che a fronte del danno procurato avesse tratto alcun vantaggio economico. Anche la volonta’ di costringere il creditore a chiedere cio’ che era suo diritto determinava il dislivello tra soggetti lesivo della dignita’ dell’uno, costringendolo comunque a tenere un comportamento non dovuto, ne’ voluto, aggravandogli la modalita’ del pagamento. Siffatto comportamento contravveniva all’obbligo di correttezza nell’esecuzione di ogni contratto.
Con il terzo motivo, poi, anch’esso variamente formulato ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 5, e’ stata dedotta in primo luogo la violazione o falsa applicazione dell’articolo 89 c.p.c., nonche’ dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, unitamente a difetto di motivazione; inoltre, sono stati lamentati omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e mancata valutazione delle specifiche affermazioni oggetto di censura, tanto con riferimento al terzo motivo di appello concernente la cancellazione delle espressioni utilizzate nella difesa dei convenuti.
Peraltro, la domanda di risarcimento era stata formulata tempestivamente in primo grado mediante memoria di costituzione di risposta contro la domanda riconvenzionale spiegata dai resistenti.
Anche su questo punto si evidenziava l’inconsistenza della motivazione, risultata pressoche’ assente. Nulla era stato detto in merito alla apodittica affermazione circa il rilevato difetto di potenzialita’ lesiva. Per contro, sia in primo che in secondo grado erano state indicate le affermazioni reputate lesive, delle quali era stata chiesta la cancellazione unitamente al risarcimento del danno.
Affermare carenze manageriali, errori professionali, utilizzo disinvolto dei fondi sociali e dei poteri di amministratore unico appariva sicuramente lesivo della dignita’ della persona, dell’immagine e della professionalita’ del ricorrente. Tali affermazioni, contenute negli scritti difensivi di primo grado, nonche’ quelle ulteriori nella comparsa di risposta in appello, erano sicuramente lesive del ricorrente. Proprio l’esplicitazione delle sole contestazioni era lesiva, difformemente da quanto apoditticamente affermato dalla Corte distrettuale.
Le anzidette censure, peraltro in piu’ punti carenti di adeguate e complete allegazioni, invece occorrenti a norma dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, vanno disattese in forza delle seguenti considerazioni.
Ed invero, riguardo al primo motivo, la censura appare inconferente, tenuto conto che la questione puo’ dirsi superata per effetto del giudicato, preliminarmente evidenziato nella sentenza di appello in ordine a quanto deciso dal primo giudicante relativamente agli interessi dovuti per il ritardato pagamento dal 30 agosto al 20 ottobre dell’anno 2005, sicche’ non si comprende quale ulteriore interesse o ragione sorregga le lamentate violazioni. Peraltro, una volta riconosciuti gli interessi legali, con sentenza ormai definitiva, nessuna ulteriore questione puo’ porsi al riguardo, risultando preclusa dal giudicato cosi’ formatosi, visto che anche lo stesso creditore (OMISSIS) non l’ha impugnata, lamentando eventuali ulteriori pregiudizi in proposito, ex articolo 1224 c.c., comma 2, e/o ex articolo 429 c.p.c., comma 3, (cfr. per altro verso Cass. lav. n. 10408 del 04/10/1995: il luogo di pagamento delle prestazioni dovute dal datore di lavoro ai lavoratori e’ quello in cui e’ posta l’azienda presso la quale essi lavorano, sicche’ la mora del datore di lavoro nel pagamento e’ configurabile solo quando il lavoratore si sia, vanamente, presentato nel luogo anzidetto per ritirare le proprie spettanze).
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