Il provvedimento di rigetto dell’istanza di’ cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute nella sentenza impugnata ha carattere ordinatorio e non incide sul merito della causa, al quale e’ anzi estraneo e, pertanto, non e’ suscettibile d’impugnazione con ricorso per cassazione.

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Analoghe considerazioni possono inoltre anche valere per quanto concerne le doglianze enunciate con il secondo motivo, laddove poi parte ricorrente non risulta aver adeguatamente dimostrato quanto asserito dalla stessa parte attrice circa l’illiceita’ e l’intento di danneggiare, ipotizzati nei riguardi del comportamento ascritto alla convenuta datrice di lavoro, cui per di piu’ risulta, invero immotivatamente, accomunata la posizione del (OMISSIS). In effetti, trattandosi di obbligazioni derivati da rapporto contrattuale, ancorche’ cessato per dimissioni (la cui eventuale giusta causa non risulta essere stata nemmeno dedotta in giudizio), l’onere probatorio circa l’elemento soggettivo puo’ desumersi soltanto per effetto della presunzione ex articolo 1218 c.c., pero’ limitatamente al solo colposo inadempimento, e nell’ambito di quanto riconosciuto per effetto dell’anzidetto giudicato, sicche’ unicamente nei termini dell’accertato inadempimento contrattuale va contenuta la pretesa risarcitoria azionata dal (OMISSIS), mentre ogni altro nocumento da costui lamentato, imputabile a fatto illecito andava debitamente dimostrato secondo i consueti criteri in materia di responsabilita’ aquiliana ex articoli 2043 e 2697 c.c.. Ne deriva che in tale contesto vanno lette le pur succinte, ma anche essenziali e sufficienti, argomentazioni svolte dai giudici di merito, che escludevano ogni intento discriminatorio o ingiurioso ovvero lesivo nei confronti del ricorrente, il quale invece finisce con il pre4dere in questa sede di legittimita’ inammissibili rivalutazioni in punto di fatto, mentre, come si e’ detto in narrativa, la Corte distrettuale reputava sostanzialmente pretestuosa la pretesa azionata dal dr. (OMISSIS), avendo costui agito per “un ritardato pagamento sostanzialmente determinato da ragioni del tutto prive di ogni volonta’ di non adempiere”. Per giunta, anche sul quantum, l’impugnata sentenza, una volta preso atto del giudicato formatosi circa il riconoscimento del solo danno patrimoniale, commisurato agli interessi dovuti dal 30 agosto al 20 ottobre 2005, non ha evidentemente rilevato estremi utili tali da poter ravvisare danni non patrimoniali a favore del (OMISSIS), in relazione all’anzidetto mero ritardato pagamento (cfr. in particolo Cass. Sez. un. civ. n. 26972 in data 11/11/2008: non e’ ammissibile nel nostro ordinamento l’autonoma categoria di “danno esistenziale”, inteso quale pregiudizio alle attivita’ non remunerative della persona, atteso che: ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono gia’ risarcibili ai sensi dell’articolo 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; ove nel “danno esistenziale” si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtu’ del divieto di cui all’articolo 2059 c.c..
5. in senso analogo anche Cass. sez. un. n. 3677 del 16/02/2009 (il danno c.d. esistenziale non costituendo una categoria autonoma di pregiudizio, ma rientrando nel danno non patrimoniale, non puo’ essere liquidato separatamente solo perche’ diversamente denominato, richiedendosi, nei casi in cui sia risarcibile come danno non patrimoniale, che sussista da parte del richiedente la allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entita’ del pregiudizio), Cass. 3 civ. n. 20684 del 25/09/2009, id. n. 4952 del 02/03/2010, id. n. 3290 del 12/02/2013, id. n. 21716 del 23/09/2013 (il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex articolo 2059 c.c., preclude la possibilita’ di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona – danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc. – che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, pero’, l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalita’ di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione), nonche’ ancora Cass. 3 civ. n. 336 del 13/01/2016.
Cfr. peraltro anche Cass. lav. n. 19785 del 14/04 – 17/09/2010: “Deve premettersi che in tema di demansionamento e di de qualificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non puo’ prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Va ancora aggiunto che, mentre il risarcimento del danno biologico e’ subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrita’ psico-fisica medicalmente accettabile, il danno esistenziale -da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalita’ nel mondo esterno- deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni…. Cio’ che, dunque, va rimarcato e’ che la giurisprudenza e’ ormai consolidata nel senso di ritenere che il prestatore di lavoro, che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico)…, deve fornire la prova dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalita’ con l’inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicche’ non e’ sufficiente dimostrare la mera potenzialita’ lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all’articolo 2697 c.c., …”).
Le precedenti argomentazioni si riconnettono, inoltre, anche alle doglianze svolte con il terzo motivo di ricorso, con riferimento all’articolo 89 c.p.c., laddove tra l’altro si riporta in effetti soltanto un breve passaggio dell’unica comparsa difensiva di costituzione di primo grado nell’interesse dei convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS) (“Invero, le calunniose accuse mosse da controparte ” pag. 32 della comparsa di primo grado – cfr. in particolo pagine 6, 8 e 9 del ricorso, in cui sono riportati poi anche brani della memoria difensiva dei medesimi convenuti, pero’ relativa ad altro contenzioso, iscritto sub. n. 824/07 r.g. presso il Tribunale di Prato, diverso da quello relativo a questo processo, iniziato con il ricorso introduttivo del giudizio iscritto presso lo stesso Tribunale sub. n. 823/07 r.g. – v. il riferimento numerico a pag. 4 del ricorso de quo – anche se poi si accenna pure vagamente una richiesta di riunione – v. pag. 5 del ricorso – di modo che, per difetto di chiare, compiute ed esaurienti allegazioni, invece occorrenti ex cit. articolo 366, nn. 3 e 6, nemmeno e’ possibile comprendere la pertinenza, o meno, delle difese svolte dai resistenti n. proc. n. 823/07 in relazione all’altra causa n. 824/07, presumibilmente connesse ai sensi e per gli effetti dell’articolo 274 c.p.c. e 151 delle relative disposizioni di attuazione). In tal sensi, dunque, appare indubbiamente non autosufficiente quanto testualmente si legge a pag. 8 del ricorso, circa il motivo di appello del (OMISSIS) in ordine al terzo capo della gravata pronuncia, riguardo alle espressioni utilizzate dai resistenti: “Inoltre i resistenti, odierni appellati, “ritengono opportuno” di dare atto al giudicante che pende davanti al tribunale di Prato altra controversia – r.g. n. 824/07 – nella quale (OMISSIS) S.p.A. si e’ costituta e producono nel procedimento di primo grado, richiamandovisi, la memoria difensiva in quel giudizio depositata…”, laddove in sintesi veniva criticata la gestione ad opera del dr. (OMISSIS) nella carica di A. U. circa carenze organizzative e notevoli impegni di spese (v. ulteriori riferimenti alla memoria difensiva di parte convenuta nel distinto proc. n. 824/2007, a pag. 9 del ricorso, circa l’operato del dottor (OMISSIS) dannoso per la societa’, pero’ senza neppure alcuna indicazione di petitum e di causa petendi del suddetto ulteriore contenzioso).
Dalle rilevate carenze deriva l’inammissibilita’, ex articolo 366 c.p.c., comma 1, delle doglianze di cui al 3 motivo di ricorso (pgg. 19-21), laddove, d’altro canto, sebbene mediante stringate argomentazioni, deve escludersi che la Corte di merito abbia omesso di esaminare fatti rilevanti, tali da poter integrare il vizio di cui all’articolo 360, comma 1, n. 5, dello steso codice di rito (pero’ secondo il testo attualmente vigente, nella specie ratione temporis applicabile, trattandosi di sentenza d’appello emessa e pubblicata, con motivazione contestuale, il 30 ottobre 2012), di guisa che la mera insufficienza della motivazione e’ processualmente irrilevante, essendo richiesto in proposito unicamente il c.d. minimo costituzionale (cfr. in particolo Cass. sez. un. nn. 8053 e 8054 del 2014. 5. piu’ recentemente anche Cass. 3 civ. n. 23940 del 12/10/2017, secondo cui in seguito alla riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono piu’ ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorieta’ e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimita’ sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullita’ della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorieta’” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione puo’ essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia). D’altro canto, la conformita’ della sentenza al modello di cui all’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, richiede soltanto che l’esposizione dei fatti di causa riassuma concisamente il contenuto sostanziale della controversia e che nella motivazione sia chiaramente illustrato il percorso logico-giuridico seguito, sicche’ e’ sufficiente che la sentenza consenta di desumere la ragione per la quale ogni istanza proposta dalle parti sia stata esaminata e di ricostruire l’esatto ragionamento posto a base della decisione (v. in tal sensi Cass. lav. n. 21420 del 21/10/2015. Parimenti, secondo Cass. 3 civ. n. 20112 del 18/09/2009, affinche’ sia integrato il vizio di “mancanza della motivazione” agli effetti di cui all’articolo 132 c.p.c., n. 4, occorre che la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioe’ di riconoscerla come giustificazione del “decisum”. In senso conforme v. anche Cass. 3 n. 3596 del 10/12/1971. Vale la pena, altresi’, di richiamare il principio ribadito da Cass. sez. un. civ. n. 22232 del 03/11/2016, secondo cui la motivazione e’ solo apparente, e la sentenza e’ nulla perche’ affetta da “error in procedendo”, quando, benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche congetture).

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