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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 21 ottobre 2014, n. 22280

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido – Presidente
Dott. VENUTI Pietro – rel. Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. LORITO Matilde – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13775/2008 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8551/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/05/2007 R.G.N. 9913/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/06/2014 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Roma (OMISSIS), premesso che in data 13 gennaio 1993 era caduta, durante le incombenze d’ufficio, nei locali dell’Amministrazione Provinciale di Livorno, di cui era dipendente, scivolando su una matita o penna caduta a terra e riportando lesioni permanenti pari al 67%, e che sia INAIL che il Pretore di Livorno, con sentenza confermata in grado d’appello e dalla Cassazione, avevano escluso che l’infortunio fosse indennizzabile ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, sul rilievo che il rischio non era diverso da quello che incombe su ogni altro soggetto che si sposti a piedi per ragioni non di ufficio conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma “il Governo della Repubblica Italiana, Presidenza del Consiglio di Ministri”, deducendo che lo Stato italiano era responsabile dell’infortunio e dei conseguenti danni da lei subiti, pari ad euro 547.011, per non essersi adeguato entro il 31 dicembre 1992 alla direttiva CEE 89/331 del 12 giugno 1989 sulla sicurezza dei luoghi di lavoro.
Chiedeva che, previa sospensione della controversia, la interpretazione dell’articolo 5, commi 1 e 4, della suddetta direttiva circa la responsabilita’ dello Stato italiano in ordine all’infortunio in questione fosse rimessa alla Corte di Giustizia della Comunita’ Europea e, all’esito, la parte convenuta fosse condannata al risarcimento del danno da lei subito nella misura sopra indicata.
Il Tribunale adito respingeva il ricorso e tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza depositata in data 11 maggio 2007.
La Corte di merito ha osservato che la responsabilita’ del datore di lavoro in ordine all’infortunio era stata esclusa con
sentenza confermata dalla Corte di Cassazione e che la ricorrente avrebbe dovuto far valere in quel giudizio “eventuali vizi di costituzionalita’ della legislazione vigente” da sottoporre alla Corte Costituzionale.
Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso la (OMISSIS) sulla base di due motivi. La Presidenza del Consiglio dei Ministri e’ rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, cui fa seguito il relativo quesito di diritto ex articolo 366 bis c.p.c., non piu’ in vigore ma applicabile ratione temporis, la ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., lamenta che la Corte di merito ha omesso di pronunziarsi circa la conformita’ delle norme del Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, alla direttiva CEE 89/391 e sulla conseguente responsabilita’ dello Stato italiano per non essersi adeguato a tale direttiva.2. Con il secondo motivo, cui fa seguito il quesito di diritto, la ricorrente, nel denunziare “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, deduce che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che, per denunciare il contrasto tra la direttiva comunitaria e la norma nazionale, la ricorrente avrebbe dovuto sollevare questione di legittimita’ costituzionale. Le norme del diritto comunitario hanno infatti diretta ed immediata applicazione nel nostro ordinamento in caso di accertata incompatibilita’ di tali disposizioni con quelle della legge nazionale.
3. Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, non e’ fondato.
La ricorrente ha promosso una prima controversia nei confronti dell’INAIL per ottenere, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, l’indennizzo conseguente all’infortunio sul lavoro e la relativa domanda e’ stata rigettata, con sentenza passata in giudicato. In particolare la Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza impugnata, ha escluso la responsabilita’ del datore di lavoro, affermando che la lavoratrice, scivolata su una matita, non era stata esposta ad un rischio diverso da quello che incombe su ogni altro soggetto che si sposti a piedi in circostanze non caratterizzate dall’incombenza a lei assegnata, ne’ il rischio connesso agli spostamenti spaziali, che incombe su chiunque si muova da un luogo ad un altro, era reso, nella specie, maggiore dall’attivita’ lavorativa svolta dall’infortunata.
La ricorrente, a seguito di tale pronuncia, ha convenuto in giudizio lo Stato italiano, addossandogli la responsabilita’ dell’infortunio per non essersi adeguato, entro il 31 dicembre 1992, alla direttiva CEE 89/391 del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, e lamentando che la sentenza impugnata aveva omesso di accertare la conformita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965 a tale direttiva.
Ma, da un lato, tale questione avrebbe dovuto essere proposta in quel giudizio, in cui era in discussione proprio la violazione da parte del datore di lavoro delle disposizioni di cui al Testo Unico dianzi indicato ed essendo l’INAIL l’ente preposto dallo Stato italiano all’accertamento e alla indennizzabilita’ degli infortuni sul lavoro; dall’altro la direttiva CEE sopra indicata, nella parte richiamata dalla ricorrente (SEZIONE II – OBBLIGHI DEI DATORI DI LAVORO, articolo 5), non prevede alcun obbligo specifico a carico del datore di lavoro con riguardo all’ipotesi per cui e’ controversia.
Essa infatti, per quanto qui rileva, prevede al primo comma che il datore di lavoro e’ obbligato a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro e, al quinto comma, che la “presente direttiva non esclude la facolta’ degli Stati membri di prevedere l’esclusione o la diminuzione della responsabilita’ dei datori di lavoro per fatti dovuti a circostanze a loro estranee, eccezionali o imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata”.
Orbene, la disposizione di cui al primo comma e’ norma di carattere generale gia’ esistente nel nostro ordinamento (cfr. articolo 2087 c.c.: il datore di lavoro e’ tenuto ad adottare le misure che, secondo le particolarita’ del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrita’ fisica e la personalita’ morale dei prestatori di lavoro) ; quella di cui al quinto comma consente agli Stati membri, nelle ipotesi eccezionali ivi indicate, di escludere la responsabilita’ del datore di lavoro.
Trattasi quindi di disposizioni non sufficientemente specifiche, in ordine alle quali non puo’ ravvisarsi una inadempienza dello Stato italiano per la mancata loro trasposizione nel diritto nazionale (cfr. Cass. 9 novembre 2006 n. 23937; Cass. 17 maggio 2011 n. 10813, in motivazione; Cass. 12 luglio 2013 n. 17261 circa la necessita’ della sussistenza di una direttiva incondizionata e sufficientemente specifica, ai fini dell’obbligo dello Stato membro di dare attuazione alle direttive comunitarie).
Discende da quanto sopra esposto che la sentenza impugnata, corretta la motivazione nei termini sopra indicati, deve essere confermata, con il conseguente rigetto del ricorso.
Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese di questo giudizio, non avendo la parte intimata svolto attivita’ difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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