Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 21 novembre 2017, n. 27669. A fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore il risarcimento dei danni connessi all’espletamento dell’attivita’ lavorativa

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V. altresi’ Cass. lav. n. 10834 del 5/5/2010: l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilita’ civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell’azione risarcitoria di quest’ultimo al cosiddetto danno differenziale, nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilita’ di rilievo penale – a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 10 e delle inerenti pronunce della Corte costituzionale – riguarda solo le componenti del danno coperte dall’assicurazione obbligatoria, la cui individuazione e’ mutata nel corso degli anni. Ne consegue che per le fattispecie sottratte, “ratione temporis”, all’applicazione del Decreto Legislativo n. 38 del 2000, articolo 13 la suddetta limitazione riguarda solo il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacita’ lavorativa generica, e non si applica al danno non patrimoniale – ivi compreso quello alla salute o biologico – e morale, per i quali continua a trovare applicazione la disciplina antecedente al Decreto Legislativo n. 38 del 2000, che escludeva la copertura assicurativa obbligatoria.
Cfr. pure Cass. lav. n. 9166 del 25/01 – 10/04/2017: “…I confini posti al concorso di tutele sono quelli fissati, ad un estremo, dal divieto di occulte duplicazioni o indebite locupletazioni risarcitorie in favore del danneggiato, ma, all’estremo opposto, dalla necessita’ di garantire al lavoratore l’integrale risarcimento, tanto piu’ quando vengano coinvolti beni primari della persona, in particolare il nucleo irriducibile del diritto fondamentale alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignita’ umana (Corte cost. n. 309 del 1999).
11. Il precipitato logico del descritto assetto normativo ha indotto questa Corte ad escludere “che le prestazioni eventualmente erogate dall’INAIL esauriscano di per se’ e a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato od ammalato” (Cass. n. 777 del 2015; successive conformi: Cass. n. 13689 del 2015; Cass. n. 3074 del 2016; in precedenza v. Cass. n. 18469 del 2012; Cass. n. 5437 del 2011; tutte in motivazione).
Esaminando il Decreto Legislativo n. 38 del 2000, articolo 13 si e’ rilevato “che la prospettiva della norma non e’ quella di fissare in via generale ed omnicomprensiva gli aspetti risarcitori del danno biologico, ma solo quella di definire i meri aspetti indennitari agli specifici ed unici fini dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali. Infatti, l’erogazione effettuata dall’INAIL e’ strutturata in termini di mero indennizzo, indennizzo che, a differenza del risarcimento, e’ svincolato dalla sussistenza di un illecito (contrattuale o aquiliano) e, di conseguenza, puo’ essere disposto anche a prescindere dall’elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e da una sua responsabilita’”….
Dalla “differenza strutturale e funzionale tra l’erogazione INAIL ex articolo 13 cit. e il risarcimento del danno biologico” ne e’ conseguita la preclusione “a ritenere che le somme eventualmente a tale titolo versate dall’istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato od ammalato, nel senso che esse devono semplicemente detrarsi dal totale del risarcimento spettante al lavoratore”, anche perche’ ritenere il contrario significherebbe attribuire al lavoratore “un trattamento deteriore – quanto al danno biologico – del lavoratore danneggiato rispetto al danneggiato non lavoratore”, con dubbi di legittimita’ costituzionale. Tale esigenza di detrazione e’ confermata da altre recenti pronunce della Corte che hanno chiarito alcuni criteri che presiedono allo scomputo. Cosi’ Cass. n. 20807 del 2016, in continuita’ con Cass. n. 13222 del 2015, ha affermato il principio secondo cui: “in tema di liquidazione del danno biologico c.d. differenziale, di cui il datore di lavoro e’ chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa INAIL in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicche’, dall’ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non gia’ il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza del Decreto Legislativo n. 38 del 2000, articolo 13 il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacita’ lavorativa specifica dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale”.
12. In definitiva, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore il risarcimento dei danni connessi all’espletamento dell’attivita’ lavorativa, il giudice adito, una volta accertato l’inadempimento, innanzitutto dovra’ verificare se, in relazione all’evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive e oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965 (sul punto v., da ultimo, Cass. n. 23146 del 2016; per l’assunto secondo cui per le malattie non tabellate i fattori di rischio comprendono anche quelle situazioni di dannosita’ che, seppure ricorrenti anche per attivita’ non lavorative, costituiscono un rischio specifico cd. improprio v. Cass. n. 3227 del 2011; entrambe in motivazione).
In tal caso potra’ procedere alla verifica di applicabilita’ dell’articolo 10 decreto citato nell’intero del suo articolato meccanismo, anche ex officio ed indipendentemente da una richiesta di parte in quanto si tratta dell’applicazione di norme di legge al cui rispetto il giudice e’ tenuto (in tal senso, circa i criteri di liquidazione del danno differenziale, v. Cass. n. 20807/2016 cit.).
13. Alla stregua delle considerazioni che precedono, in relazione ai motivi del ricorso principale innanzi esposti al paragrafo n. 6, la sentenza della Corte territoriale deve essere cassata in parte qua.
Erra, prima di tutto, detta sentenza laddove, a fronte di una pronuncia di primo grado che aveva condannato la societa’ a risarcire, senza decurtazioni, il danno biologico e morale per patologia contratta in violazione dell’articolo 2087 c.c., accoglie il gravame della societa’ secondo cui, in seguito alla riforma di cui al dl. vo n. 38 del 2000 che ha assorbito le lesioni all’integrita’ psico-fisica nell’ambito della copertura assicurativa obbligatoria, “ogni pretesa in tal senso non puo’ che essere oramai indirizzata nei confronti dell’INAIL”, configurando, cosi’, un “difetto di legittimazione passiva” del datore di lavoro, anche per il danno morale ritenuto “necessariamente una componente del danno biologico”.
Per quanto detto, le prestazioni dovute dall’INAIL a titolo di indennizzo in seguito all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 38 del 2000 non sono a priori integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno in capo al soggetto infortunato o ammalato; il datore di lavoro, anche ove ricorra una ipotesi in cui e’ operante l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, resta debitore e titolare dal lato passivo dell’obbligazione di risarcire i danni complementari e differenziali.
…Si ribadisce invece che, ai fini dell’accertamento del danno differenziale, e’ sufficiente che siano dedotte in fatto dal lavoratore circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, sottolineando che anche la violazione delle regole di cui all’articolo 2087 c.c., norma di cautela avente carattere generale, e’ idonea a concretare la responsabilita’ penale (Corte cost. n. 74 del 1981; Cass. n. 1579 del 2000). Spettera’ poi al giudice il compito di qualificare giuridicamente i fatti e sussumerli nell’alveo della fattispecie penalistica, accertando autonomamente ed in via incidentale la sussistenza del reato.
Inoltre, la richiesta del lavoratore di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dall’inadempimento datoriale, e’ idonea a fondare un petitum rispetto al quale il giudice dovra’ applicare il meccanismo legale previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 10 anche ex officio, pur dove non sia specificata la superiorita’ del danno civilistico in confronto all’indennizzo, atteso che, rappresentando il differenziale normalmente un minus rispetto al danno integrale preteso, non puo’ essere considerata incompleta al punto da essere rigettata una domanda in cui si richieda l’intero danno.
Pertanto, il ricorso va respinto con conseguente condanna della soccombente al pagamento delle relative spese.
P.Q.M.
la Corte RIGETTA il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4000,00 per compensi ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con attribuzione al procuratore anticipatario del controricorrente, avv. (OMISSIS).

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